Capitolo 30. Un tè con la Signora

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Quando Cailean aprì gli occhi, era seduto davanti a un modesto tavolino da giardino avvolto in una candida tovaglia di pizzo. Le braccia poggiavano sui braccioli della sedia in vimini su cui era accomodato e, sulla superficie davanti a lui, un'invitante tazza in porcellana decorata con motivi floreali di mille colori faceva da contenitore a un liquido ambrato, ancora bollente a giudicare dal rivolo di vapore che emetteva.

Una leggera brezza di primavera gli mosse il ciuffo davanti agli occhi e l'immortale spostò la mano verso l'alto per scostarsi i capelli dal viso, come era abituato a fare ormai da molti secoli. Alzò lo sguardo al cielo, incontrando i raggi caldi del sole di mezzogiorno che illuminavano lo sconfinato prato fiorito che circondava lui e la sedia su cui era sprofondato.

Mentre seguiva con lo sguardo i petali dei fiori che tappezzavano il terreno, Cailean provò a ricordarsi come fosse arrivato lì. Non ricordava proprio di aver pianificato una gita e, meno che meno, ricordava di aver desiderato bere del tè. Da che aveva memoria, aveva sempre rifuggito il sapore acre di quell'insulso infuso; alcuni gli avevano consigliato di metterci più zucchero, ma era una pratica che aveva trovato sempre senza alcun senso: a che serve coprire un sapore fino al punto di snaturarne la sua essenza? Quello era il sapore del tè, lo si doveva amare o odiare nella sua forma più pura e originale, senza contaminazioni esterne di altre sostanze. Non aveva mai perso occasione per guardare con disprezzo all'abitudine prettamente inglese di servire il tè con il latte; proprio loro, poi, che andavano così fieri del loro tè!

Si spostò sulla sedia, cambiando posizione alla gamba sinistra, e abbassò lo sguardo sulla tazza ancora fumante. No, non aveva alcuna intenzione di accettare quell'invito, perché avrebbe dovuto? Per cortesia? E verso chi? Era da solo, e l'unica cosa che era riuscito a scorgere era quell'immensità di colori che continuava a perdita d'occhio, anche oltre l'orizzonte. Potevano esistere solo lui e quella solitaria tazza in ceramica in tutto il mondo, per quel che gli era dato di vedere.

«Non gradisci il tè?»

La voce femminile ruppe l'assoluto silenzio.

Cailean alzò lo sguardo verso l'altro capo del tavolo, dove era comparsa una seconda tazza, stretta tra le mani ossute di una donna. Il suo lungo vestito nero era un pugno in faccia, se accostato ai colori pastello che riempivano il circondario; i fluenti capelli scuri le cadevano oltre lo schienale, scomparendo alla vista, nascosti dal bordo del tavolo. L'immortale evitò anche di spostare gli occhi verso il volto, perché sapeva che non avrebbe visto nulla di definito. All'improvviso gli tornò tutto in mente; come un ordigno atomico che esplodeva, i ricordi di tutti quegli anni trascorsi lo investirono, scuotendolo e lasciandolo interdetto sul cuscino che copriva la sedia, a bocca aperta a fissare l'attaccatura del collo della Signora.

«No, non lo gradisci, evidentemente,» disse lei, laconica, alzando la tazza per portarsela alle labbra.

Cailean non ne seguì il movimento. Non ci riuscì: era paralizzato, come sotto l'effetto di un veleno che aggrediva il sistema nervoso.

Era successo? Era davvero successo quello che si augurava da millenni? Era morto? Quello era l'aldilà?

«Sì, sei morto,» gli rispose la Signora, poggiando la porcellana su un piattino bianchissimo, «ma non come desideravi tu.»

«Ti ho attesa per secoli,» sussurrò Cailean.

Alzò gli occhi su di lei, ma si ritrovò a fissare qualcosa che la sua mente non era in grado di tradurre in immagini reali e coerenti. Era un miscuglio di mille colori e forme, di luci e ombre, di gioia e di dolore; una mescolanza turbinante di emozioni che lo travolsero come un TIR e lo spinsero all'indietro, ad appiattirsi contro lo schienale di legno foderato, senza fiato. Appena riuscì a tornare padrone del suo corpo, distolse lo sguardo e serrò le palpebre sopra gli occhi brucianti.

L'Attesa della SignoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora