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«Non puoi dire sul serio»

Annuisco con vigore, gettando la crosta della mia fetta di pizza sul cartone ormai vuoto.

«Hai servito Will Smith da Starbucks e tu non me lo hai mai detto!?» domanda Archie, facendomi scoppiare a ridere.

«Gli ho solo detto "sono otto dollari e cinquanta" e "arrivederci e buona giornata", non è che ci sono uscita a cena. Non credevo fosse un evento degno di essere raccontato»

Archie assottiglia gli occhi, guardandomi come fossi un alieno.

«Era Will Smith! Tutto ciò che lo riguarda è degno di nota» afferma con convinzione, appoggiandosi allo schienale del divano.

La pioggia batte con insistenza sulla finestra del piccolo ufficio di Archie, dove alla fine abbiamo deciso di passare la serata visto che il rosso è stato costretto a restare qui fino a tardi.

Mi sento tranquilla, come fossi in una bolla di sapone: questo ufficio prima era di suo padre, e da piccoli, quando i miei genitori non potevano badare a me e il Signor Andrews si proponeva di buon grado di tenerci d'occhio, io e Archie passavamo interi pomeriggi a disegnare e inventare storie qui dentro.

Appese alle pareti ci sono tante fotografie, tra cui quella che io, Arch e Jughead ci siamo fatti scattare al ballo di Primavera del terzo anno, quando ci siamo andati insieme. È incredibile come una sola fotografia possa smuovere così tanti ricordi.

«Veronica non c'è questa sera?» chiedo, osservando una fotografia sulla scrivania che li ritrae abbracciati in riva al mare.

«No, no – risponde prontamente il rosso, chiudendo il cartone vuoto della pizza – È andata da dei suoi parenti a Brooklyn, tornerà martedì sera. Sai, per gli inviti al matrimonio» spiega, una nota quasi impercettibile di nervosismo nella sua voce.

«A proposito – si alza in piedi, gettando il cartone nel cestino e pescando qualcosa dalla giacca – Tieni. Veronica ha insistito perché te lo dessimo insieme, ma credo sia più giusto che lo faccia io» continua, porgendomi una busta sigillata con la ceralacca.

La apro, e come immaginavo, si tratta del famigerato invito al matrimonio dei due.

Deglutisco, fingendo che la cosa non mi smuova particolarmente.

«Sette giugno. È una buona data» dico soltanto, riponendo l'invito nella busta.

Archie ha un'espressione indecifrabile; annuisce appena, passandosi una mano tra i capelli fulvi.

«Cosa vuoi sentirti dire esattamente, Thea?» domanda, cogliendomi alla sprovvista.

«Non voglio sentirmi dire proprio niente. È la scelta giusta quella che stai prendendo. Sono io a non capire cosa vuoi che ti dica, Archie. Vuoi che mi butti ai tuoi piedi e ti preghi di non sposare Veronica? Mi dispiace ma dovresti conoscermi ormai: le scenate di gelosia non fanno per me» affermo, il tono più tagliente di quanto non voglia.

È frustrazione la mia: possibile che non ci sia una sola persona disposta a prendere un rischio per me? Archie, Sweet Pea, persino mio padre non ha mai lottato per me, non ha mai rinunciato a nulla pur di rendermi felice.

Continuo ad infilarmi in queste stupide situazioni in bilico tra la felicità e la solitudine, finendo sempre inevitabilmente dalla parte sbagliata, la parte di chi alla fine non ottiene niente.

Forse non ne valgo la pena.

«Sai cosa, forse una scenata di gelosia aiuterebbe, almeno capirei cosa provi davvero – controbatte, alzando leggermente la voce – Io non riesco a capirti, sul serio. A volte mi sembra quasi di essermelo immaginato ciò che è successo a New York. So che parlare dei tuoi sentimenti non è mai stato facile per te, ma lo vedo il modo in cui il tuo sguardo si rabbuia quando parliamo del matrimonio, come cerchi di cambiare discorso ogni volta che provo a spiegarti cosa provo... cosa provo per te» la sua voce è diventata quasi un dolce sussurro mentre si avvicina a me, prendendomi la mano.

Thin White Lies - 𝘚𝘸𝘦𝘦𝘵 𝘗𝘦𝘢 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora