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Quando ero piccola, ricordo che una delle cose che più odiavo fare era andare a trovare papà al lavoro.

Ancora oggi, nonostante non sia più una bambina, ancora non riesco a capire come faccia mio padre ad adorarlo tanto: insomma, passare giornate intere – inclusa la notte – in un ospedale, non è esattamente ciò che potrebbe essere definito dalla maggior parte delle persone come un lavoro "divertente".

Ho sempre sentito Dane parlare di "vocazione", e sinceramente sono soltanto contenta di non aver avuto la stessa chiamata mistica che mi avrebbe imposto anni ed anni di scuola di medicina soltanto per poi ritrovarmi giorno e notte in un ospedale di provincia. Ho i brividi solo a pensarci.

«Papà – richiamo la sua attenzione mentre attraversa a passo svelto il corridoio – pensi che ci vorrà ancora molto?» chiedo con un mugugno.

Maledetta la me stessa di qualche ora fa che si è scordata le chiavi di casa e si è chiusa fuori.

Mamma è a Savannah per una trasferta, e l'unico con le chiavi di casa è ovviamente Dane, che in teoria doveva staccare alle quattro, ma in pratica sta ancora gironzolando per l'ospedale alle sei e cinque.

L'ho implorato di darmi il suo mazzo di chiavi e permettermi di uscire da questo Inferno che puzza di disinfettante, ma ha preferito lasciarmi qui ad aspettare di modo che la prossima volta "ci penserò due volte prima di dimenticare le chiavi" o qualche cazzata educativa del genere che, nonostante abbia ventitré anni, Dane cerca ancora di esercitare su di me.

«No tesoro, massimo mezz'ora e andiamo, promesso – mi rassicura, mettendo una mano nel taschino del camice in cerca di qualcosa – tieni, prenditi qualcosa di caldo mentre aspetti» continua, allungandomi la sua chiavetta per il distributore.

Sospiro: nella lingua di mio padre, darmi la sua preziosa chiavetta significa che ne avrà ancora per molto tempo.

Afferro il piccolo oggettino di plastica e mi alzo dalla sedia, trascinando i piedi fino al distributore.

«Non hai nessun diritto di essere qui»

So che non si dovrebbe fare, ma sono talmente annoiata che ascoltare le conversazioni altrui da dietro la macchinetta del caffè sembra davvero la cosa più interessante della serata. Che tristezza...

«Okay, mi fai passare adesso?»

Sento un grugnito di scontento mentre prendo il mio caffè bollente, attenta a non scottarmi le dita.

«Se sei qui per creare questioni lascia perdere: sta morendo, lo vuoi capire? Lasciagli vivere questi ultimi mesi in grazia di Dio e smettila di fare il parassita. Se hai debiti per la droga non sono problemi miei e della mia famiglia»

Incuriosita, mi sporgo leggermente per osservare la scena: davanti a me ci sono Reggie e Sweet Pea, intenti a discutere animatamente nel corridoio dell'ospedale.

Mi assicuro di restare ben nascosta, curiosa di sentire la loro discussione.

Dopo aver scoperto che i due sono fratellastri non ho detto niente a nessuno, nemmeno a Jug.

Lo ho scoperto per caso e per uno stupido errore: se avranno mai intenzione di dire qualcosa, saranno loro a doverlo fare. Non voglio creare pettegolezzi rivelando segreti che non mi riguardano.

Ho già la mia schiera di cose da nascondere a cui pensare.

Le ultime settimane sono state tragicamente noiose, ed è meglio così.

«Non voglio creare questioni, Reginald – ribatte il più alto in tono canzonatorio, facendo alzare gli occhi al cielo all'altro – Voglio soltanto i soldi che mi spettano, tutto qui. Poi sparirò dalle vostre perfette vite patinate e lascerò il vecchio libero di morire tra atroci sofferenze in pace. Da morto non mi servirà più a niente» conclude con un'indelicatezza tale da farmi stringere i pugni lungo i fianchi. Non capisco come possa parlare in questa maniera ad una persona che sta per perdere il padre.

Thin White Lies - 𝘚𝘸𝘦𝘦𝘵 𝘗𝘦𝘢 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora