La Statuetta

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Polvere, sangue e arsura. L'immensa nube di polvere che si alzava al passaggio del nemico era tale da nasconderlo agli occhi. Il sangue di quello stesso nemico imbeveva la terra a tal punto da trasformare la sabbia bollente in una fanghiglia rossa. L'implacabile sole d'Asia batteva incessante sulle bronzee armature, che illuminavano le fila dei compagni di luce riflessa, come fossero déi. Le lunghe picche formavano un muro di morte micidiale che, ad ogni passo, sempre in avanti, frantumava la compagine nemica e la faceva indietreggiare atterrita. I barbari continuavano ad abbattersi sulla lunga falange e come un fiume continua a premere sulla diga senza mai sfondarla, così l'esercito del Re dei Re non era in grado di far breccia nella formazione compatta dei compagni. Poi calò il martello sull'incudine: calarono i nostri cavalieri superbi, schiantandosi sul nemico intrappolato nelle lunghe sarisse, distruggendolo come un fulmine che colpisce un albero. I soldati gioivano, esultavano e combattevano con sempre più coraggio, mentre i nemici, terrorizzati, fuggivano gettando a terra le armi e abbandonando i loro fratelli perché era arrivato lui, sul suo maestoso cavallo nero:

Alessandro era arrivato. Mio padre mi raccontò spesso di come il nostro esercito, soverchiato dal nemico, sconfisse il potente re dei persiani nella grande piana di Gaugamela. Avrei voluto essere là anche io, per ammirarlo nella sua gloria divina, per combattere per lui, per udire la sua voce e le sue parole, che avrebbero parlato anche a me. Avrei voluto esserci anch'io.

Lo avevo visto, in patria, quando ero piccolo. Il nostro re, l'araldo del mondo ellenico.

I suoi capelli, biondi e lucenti come il sole splendente, danzavano nel vento sinuosi come le fronde degli alberi; l'armatura lampeggiava alla luce del giorno, mentre alzava la spada trionfante e impennava il cavallo, pronto a partire alla volta del grande impero d'oriente, per spingersi fino ai confini del mondo.

Mio padre diceva che, durante le lunghe marce, quando ci si fermava per accamparsi e riposare, lui era l'ultimo ad entrare in tenda, l'ultimo a mangiare e l'ultimo a dormire e quando, al mattino, era l'ora di ripartire, lui usciva dalla sua tenda maestoso, protetto dalla sua meravigliosa armatura, pronto a montare il grande Bucefalo e si metteva in testa alla colonna. I soldati, diceva mio padre, non osavano nemmeno guardarlo, tant'era al di sopra di ogni uomo. Quanto avrei voluto seguire un re come Alessandro, la cui ombra si posava, solitaria, di fronte al mare.

La Macedonia, infine, mi aveva chiamato e io montavo fiero in sella al mio fedele compagno, Andreios, dalla manto bruno e crine nerissimo, forte e veloce. Alessandro, poiché uomo era, si ammalò anni prima e morì nella lontana Babilonia. Io servivo il re Antigono, che fu uno dei più fidati generali, nonché amici, del grande Alessandro. La Macedonia, però, soffriva: non eravamo più un grande impero, ma ci eravamo divisi ed ora chi prima era amico ora era un nemico.

Qui cominciarono i fatti che portarono me, Antifonte, alla soglia di mondi tenebrosi e ignoti, cui solo gli déi possono osare.

Appena diciannovenne, venni convocato a palazzo assieme ai miei compagni, l'élite della guardia reale, la punta di diamante degli eteri, la superba cavalleria del re. Il re in persona ci diede il benvenuto nel giardino interno, dove noi entrammo in ranghi ordinati e presentammo le armi in saluto, vestiti dell'intera panoplia cerimoniale. Il giardino era gradevole, sebbene abbastanza austero: c'erano pochi alberi, per lo più cipressi e ulivi, circondati da esili strati d'erba ben curata e ghiaia; la piazzola centrale, sprovvista di qualsivoglia decorazione o monumento, era formata da piastrelle bianchissime in cui era incastonato un mosaico, rappresentante il sole macedone; il tutto era circondato da un porticato non troppo ampio, agli angoli del quale bruciavano incensi ed altre erbe aromatiche all'interno di grossi bracieri di bronzo bugnato.

Il re vestiva a sua volta la splendida armatura, adornato dalla spada lucente cinta al fianco. Portava i capelli all'indietro, lunghi fin quasi le spalle, ancora nerissimi nonostante l'età.

L'Egida di AlessandroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora