Capitolo Terzo.

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L'aria fresca finalmente mi smuoveva i capelli, dopo un'intera giornata passata a scattare foto sotto al sole.
Sinceramente, alla fine, mi ero pure divertita. Avevo scambiato qualche chiacchiera con alcuni degli invitati e il tempo era volato tra scatti rubati e pose perfette. Non credetti che Valerie mi avesse riconosciuta, e fui felice di vederla nel suo abito bianco. Le stava d'incanto, sarei stata bugiarda ad ammettere il contrario. Anche Zack, il suo fresco marito, era un figurino niente male. Formavano una coppia perfetta.

Dopo il taglio della torta e il lancio del bouquet la pista da ballo si animò con canzoni moderne, dal forte ritmo ed io decisi che era finalmente arrivato il momento di bere qualcosa.
Anche i fotografi hanno bisogno di una pausa ogni tanto, no?

Mi diressi al bar al piano terra, facilmente scovabile date le enormi vetrate che lo costeggiavano.
Era un bar molto vecchio stile, dal bancone in legno scuro e massiccio, gli scaffali e la bottigliera specchiati, i barmen vestiti con camicia bianca, gilet nero e papillon. C'erano vecchi signori e vecchie signore che sorseggiavano qualche martini, c'era anche chi ne divorava l'oliva di guarnizione con voracità, come se svaligiare il banchetto allestito in giardino non fosse bastato.

Mi accomodai su di uno sgabello dal sedile ricoperto in vinile color mattone e trovai fosse una delle sedute più comode dove avessi preso posto nell'arco di tutta la giornata. «Cosa le servo signorina?» sentirmi dare dei "lei" così cordialmente da un ragazzo con il quale saremmo potuti essere coetanei, mi mise evidentemente a disagio. Così balbettai un semplice: «B-bourbon, liscio. Grazie.» si accigliò per la richiesta così decisa e mi servì. Il personale aveva diritto all'open bar. Meravigliosa notizia.

Riguardando gli scatti di quella giornata mi rilassai e nell'arco di una mezz'oretta finii anche la mia consumazione. Poi mi venne voglia di una sigaretta, così la estrassi dalla borsa ed uscii all'esterno, senza mai abbandonare la mia macchina fotografica, ovviamente.
Dopo aver aspirato qualche tiro, il mio cellulare suonò. Sapevo chi era, colui che mi aveva mandato un bel po' di messaggi in tutto il giorno, e ai quali avevo risposto  solo in parte.
«Josh?» «Ehi Ana! Mi stavo preoccupando, va tutto bene?» sbuffai. «Sì, che va tutto bene Josh. Sto lavorando, non posso stare attaccata al cellulare tutto il giorno, lo sai come funziona...» «Lo so, speravo solo di riuscire a sentirti un po' di più. Hai conosciuto qualcuno? Sei in compagnia?»  ecco la sua estenuante gelosia. Per un attimo mi tornarono alla mente quegli occhi blu, ma mi morsi la lingua. «No, Josh. Ho solo scambiato quattro chiacchiere con gli invitati, ma non ho conosciuto nessun adone dagli occhi blu!» merda! Ma cosa mi era preso? Sarà stato il bourbon. «Sai, Anastasia, non so mai quando posso fidarmi e quando no. Quando scherzi e quando non lo fai, se mai mi nascondi qualcosa... ho paura che il fatto che io sia geloso ti porti a fuggire, a non raccontarmi neanche delle banalità. Lo sai perché lo faccio, vero?» «Sì, perché non ti fidi degli altri ma non di me... me lo ripeti in continuazione ma, se posso essere sincera, il tuo timore è più che fondato!» sbuffai stizzita. «Anastasia, hai bevuto?» seconda volta di fila che ripeteva il mio nome per intero. «Sono ad un matrimonio, tu che dici? Comunque solo un bicchiere di champagne per il brindisi e del bourbon poco fa. Contento?» ponderò la mia risposta, poi continuò addolcendosi. «Non dovresti bere senza di me.» «Ho quasi ventisei anni, mi reputo libera di fare ciò che voglio a prescindere che tu ci sia o meno. Scusami Josh, ma stai seriamente esagerando ed io devo lavorare, non è né il luogo né il momento per discutere degli affari nostri.» «Bene, allora buona serata Anastasia.» e chiuse la comunicazione. E certo! Perché poteva chiamarmi, farmi la ramanzina e poi pure avere il coraggio di riattaccare il telefono. «Che stronzo!» esclamai tra i denti.

Mi voltai e tornai al bar ordinando un altro bourbon. «E così, sarei un adone dagli occhi blu?» sgranai gli occhi ancora prima di voltarmi. Quella voce... «Scusami? Lo sai che non si origliano le telefonate altrui?» risposi fredda e distaccata. Ero già su di giri per gli affari miei, ci mancava solo un affascinante e strafottente ficcanaso. «Quindi? Non hai risposto.» incalzò lui, accomodandosi sullo sgabello accanto al mio. «Non gira tutto intorno a te, Ian. Non so come tu sia abituato...» ghignò ancora, notando che mi era ricordata il suo nome. «Bene, Anastasia. Perché non proseguiamo all'esterno? Sta per calare il sole e c'è una vista fantastica.» feci l'errore di posare lo sguardo nel suo, sentendo subito la mia sicurezza lasciare il posto ad uno stato di trance. Annuii debolmente ed uscimmo dal bar.

«Allora, Ian, cosa vuoi?»
«Ma quanto siamo sgarbate... comunque, sei tu che mi sei piombata addosso quest'oggi.» «Non sono sgarbata, sei tu che sei arrogante! E non ti sono piombata addosso, anche tu eri distratto e andavi a passo svelto!» rise. Ma cos'aveva da ridere?! «Quindi, ora vorresti dire che la colpa è mia?» «E tu vorresti dirmi che chiedi di vedere il tramonto a qualsiasi ragazza con la quale ti scontri casualmente da qualche parte?!» ribattei.

Sembravo davvero poco socievole, ma quel gioco mi stava piacendo da morire. Insomma, non capitava mica tutti i giorni che ragazzi del genere mi rivolgessero la parola.
Il problema era che avevo un ragazzo, e per giunta geloso, ed io ero lì a ... a fare cosa? A flirtare? Sì, una cosa del genere. Con uno sconosciuto. Con un bellissimo sconosciuto che, probabilmente, poteva avere qualsiasi donna volesse in qualsiasi momento e modo desiderasse.

Quel ragazzo aveva ragione: ciò che avevamo davanti era davvero una vista mozzafiato. Intorno a noi, infatti, c'erano distese enormi di prato, con l'erba corta e curata in alcuni punti, e coltivazioni in altri. Le luci rosse dovute al tramonto creavano lunghe ombre sul terreno e rendevano tutto più bello, nostalgico ed affascinante allo stesso tempo.
Mentre facevo tutte le mie congetture lui mi osservava, con il suo bicchiere di bourbon nella mano destra e la mano sinistra posta svogliatamente in tasca.
Indossava un completo nero, con camicia bianca e cravatta, anch'essa nera. Sentivo ogni parte di me punta da spilli, un miscuglio tra brividi e scosse elettriche. Mai mi ero sentita così in presenza di una persona che non conoscevo, la diffidenza era una delle mie caratteristiche primarie. Ma lui, con quegli occhi così azzurri e, allo stesso tempo, così profondi ma schermati, riusciva ad essere tremendamente affascinante ed intrigante.
Improvvisamente lo vidi fare qualche passo verso di me. «Lo so a cosa stai pensando... pensi che io sia uno dei soliti che si mette ad abbordare ragazze, così, per divertimento. Diciamo che non avresti tutti i torti a vederla in questo modo. Ma rimango un galantuomo.» deglutii. Si stava davvero avvicinando di molto. «Ah sì? Un galantuomo?» fu l'unica cosa che fui in grado di dire, a mezza voce, fissandolo negli occhi, rispondendo al suo sguardo fin troppo vispo. «Chi è Josh?» mi chiese, ad appena una spanna di distanza da me. Cosa? Davvero aveva origliano tutta la telefonata da riuscire anche a capire il nome? Era psicopatico forte. «Cosa? Josh è il mio fidanzato.» sorrise. «Ecco perché sono un gentiluomo. Prima di chiederti di uscire ho voluto sapere se fossi impegnata. Gesto carino, non trovi?» ancora arroganza. «Sarebbe ancora più carino se ti allontanassi da me.» affermai, improvvisamente lucida. Fece scorrere delicatamente un dito lungo tutto il profilo del mio volto, suscitando una serie di irrefrenabili brividi sulla pelle. Poi, finalmente, si distanziò. «Una bambolina come te non dovrebbe bere bourbon.» ma per favore, stava dicendo sul serio? Voleva davvero prendermi in giro? «Ora dovrei andarmene, salutare tutti e andarmene.» «Cos'è, non ti piaccio?» chiese sarcastico. Sapeva benissimo la risposta, ed io sapevo benissimo di averglielo lasciato intendere fin troppo. «Ma chi ti credi di essere?» rise. Non ce la feci più, quindi finii in due sorsi quel poco bourbon che mi rimaneva nel bicchiere e me ne andai, lasciando lì da solo.

Poco dopo ero a bordo della mia auto, già alla seconda sigaretta di fila.
Quel ragazzo mi aveva fatto qualcosa ed io dovevo fuggire, tornare a casa dal mio fratellone Paul e dimenticare tutto.






Eccovi il terzo capitolo.
Che Ian abbia esagerato un po'? Chissà, ma sicuramente Anastasia ha i nervi un po' deboli! ahah
E Josh, che ne pensate di questo personaggio? Un po' invadente, non trovate?
Aspetto ansiosa le vostre opinioni, sperando di riuscire a prendervi in questa storia.

Una bacio!

Imperituro.   ||I.S.||   Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora