Capitolo Tredicesimo.

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«Magari dovrei andarmene.» propose Paul. «Mh, no, non subito. Potresti conoscerlo...» buttai lì, imbarazzata. Poi vidi il suo sguardo puntare alle mie spalle. «Come hai detto che è fisicamente? Alto, capelli neri, molto "modello"?» «Perché? È già arrivato?» «Date le occhiate di quelle ragazze temo proprio che sia lui.»
Avvertii montare su del fastidio. Forse ero io quella gelosa. Sentii una presenza avvicinarsi me, così mi voltai appena per vedere se fosse realmente lui.
Tolse i RayBan che indossava e li appese alla maglietta grigia con scollo a V che sbucava da sotto alla solita giacca. Accennò appena un sorriso. «Anastasia...» «Ian.» risposi solamente. «Ragazzi, penso dobbiate parlare, perciò me ne vado.» «Paul, giusto? Piacere di conoscerti.» Ian tese cordialmente la mano a mio fratello ed io guardavo la scena senza parole. Si stavano conoscendo davvero senza nemmeno che le cose fossero chiare. Mio fratello gli strinse la mano. «Sì, suo fratello. Piacere mio finalmente.» Ian mi guardò con un'espressione soddisfatta, visto che mio fratello, tutto sorridente, aveva chiaramente lasciato intendere che gli avessi fatto pubblicità. «A quanto pare la fama mi precede.» «Siediti, Ian. Forse potrei aspettare ancora un po' ad andarmene, che dici, sorellina?» «Fa' come vuoi, Paul...» Si accomodò con noi e ordinò semplicemente un caffè.

«Mio padre non vive in zona e ho approfittato di questi giorni liberi per andarlo a trovare.» «Ti dò un consiglio: se non vuoi avere a che fare con l'indole ingovernabile di mia sorella quando si spazientisce, la prossima volta dovresti avvertirla.» scoppiarono a ridere. «Paul dovresti smetterla davvero però, vi conoscete da un quarto d'ora e già siete culo e camicia.» mi imbronciai e sentii la mano di Ian posarmisi sul ginocchio. Vi diede un buffetto rassicurante e poi restò lì. Non seppi se Paul se ne rese conto o meno. Quando finì il suo Gin Tonic si alzò per andare via.
«Potresti passare a cena, tra l'altro ho fatto scorta di birra e volendo c'è un partitone di calcio italiano stasera!» «Paul, è proprio necessario?» «Ne sarei molto felice.» ribattè Ian, ignorando la mia obiezione. Alzai gli occhi al cielo e mio fratello sorrise soddisfatto, poi mi baciò fra i capelli e se ne andò, lasciandoci soli.

«Scusa se sono sparito.» mi disse con serietà prendendomi una mano. Volevo cercare di fare la sostenuta, volevo capirci di più in tutta quella situazione. «Come ha detto Paul, potevi avvisare.» «Non sapevo come avrei potuto spiegare...» «Cosa c'è da spiegare? Abbiamo lavorato insieme, poi abbiamo passato una bellissima giornata. Ci siamo divertiti, ci siamo baciati, è finita lì, ho capito!» probabilmente quei sogni avevano davvero condizionato la mia ottica riguardo alla situazione.

Lasciai dei soldi sul tavolo e poi mi alzai di scatto.
Sentii subito il rumore della sua sedia che scattava all'indietro, ma ero già fuori dal dehor. Camminavo svelta, avevo paura ad affrontare quella conversazione. Improvvisamente mi sentii insicura, spaventata dalla verità.
Avevo paura avesse deciso di prendere le distanze, avevo paura di dirgli che il sig.Michael mi aveva richiamata per incontrarci ancora, avevo tremendamente paura di affrontare la realtà, dove io probabilmente mi stavo innamorando e lui, altrettanto probabilmente, voleva allontanarmi.

«Ana, fermati, per favore! Ma ci senti? Ti ho chiamata mille volte.» Mi afferrò per un braccio per farmi voltare, appena mi fu abbastanza vicino. «Certo che ci sento. Se una persona mi chiama io gli rispondo, non come qualcun'altro di mia conoscenza.» indurì la mascella infastidito da quella frecciatina. Ripresi a camminare dandogli di nuovo le spalle. «Dobbiamo parlare.» affermò. Io mi fermai di colpo, sentendo un tonfo al cuore. «Cosa vuoi Ian? Hai cominciato tu tutto questo. Adesso cosa vuoi?» chiesi duramente. Lui venne di fronte a me, ma io non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi. «Potrebbe essere un rischio enorme per la tua carriera, ne sei consapevole?» «Quindi hai già parlato con Michael... o magari ci sei di mezzo tu, un'altra volta. Ti sono grata per ciò che hai fatto, ma voglio sapere in quale posto devo stare se dovremo lavorare di nuovo insieme.» lo guardai.
«Non c'entro assolutamente niente stavolta e sì, mi ha chiamato poco fa dicendo che avevi accettato l'incontro. Sono qua per parlare apposta. Stavo venendo a casa tua quando ti ho visto passeggiare con quel tipo.» Alzai gli occhi al cielo. «Ora sai che è mio fratello. Sei geloso? Geloso di cosa? Cos'è successo che ancora non mi è chiaro?» volevo delle spiegazioni plausibili.
Mi guardò a lungo negli occhi, ed io guardai i suoi, così carichi di umanità, così profondi. Come poteva un ragazzo con degli occhi del genere, poter fare del male a qualcuno? Venni colta da un improvviso senso di colpa. «Mi dispiace, forse sono stata troppo dura nei tuoi confronti... è che...» abbassai di nuovo lo sguardo. Quando iniziai a modermi il labbro perché ero indecisa su come continuare, il suo indice mi sollevò il mento e con il pollice liberò il labbro, delicatamente, dalla tortura dei miei denti su di esso.
«È che?» presi un bel respiro. «È che tengo a te, Ian. Non voglio che tu sparisca. Non voglio nemmeno lavorare con te se ciò può voler significare che devo far finta di non conoscerti o che devo ignorare ciò che sei... e ciò che sei per me.» mi accarezzò una guancia sorridendomi dolcemente.
«Oh, Anastasia. Faccio letteralmente schifo a parole... sono felice che abbia espresso tu ogni mio pensiero.» sgranai gli occhi stupita. «Che significa?» chiesi. «Usciamo. Esci con me, quando vogliamo e come vogliamo. Giovedì sera ti porto a cena dopo l'incontro, ti rapisco per una sera.» ero completamente assorta da tutto quello che stava accadendo. «Ma con l'accordo come faremo?» «Ti chiedo di sopportare ancora un po', giusto il tempo di ingranare con lo stage. Poi vedremo come dirlo agli altri. Te lo prometto, sarà solamente all'inizio.» «Quindi, tu stai dicendo davvero che vorresti frequentarmi?» quasi si mise a ridere. «Non lo stavamo già facendo?»
Non so quale fu la forza che mi spinse a farlo, ma gli gettai le braccia al collo, stringendolo forte a me. Le sue braccia mi cinsero la vita.
Mi sentii come in paradiso. «Non hai idea di quanta paura abbia avuto che volessi andartene.» «Non posso, non voglio andarmene.».

Imperituro.   ||I.S.||   Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora