Capitolo Trentaduesimo.

41 1 0
                                    

Ero disteso su un grosso letto matrimoniale dalle lenzuola color panna, di un tessuto che sembrava seta, e lentamente accarezzavo quella superficie tanto morbida da impigrirmi al solo pensiero di poter passare lì sopra ancora le due notti che ci aspettavano, senza alzarmi più, lasciandomi cullare dalla comodità. Ero in accappatoio, tranquillo a godermi il benessere di quel momento, dopo un giro alla Spa dell'albergo e dopo aver fatto una doccia con la donna che amavo. Infatti, lei, una delle donne più belle che avessi mai visto, la donna più empatica, comprensiva, seducente e decisa che avessi mai conosciuto, era in piedi davanti allo specchio del comò, in vestaglia di raso bordeaux, con il ferro per i capelli fra le mani. Lo usava sapientemente, perfezionando le sue già naturali onde, fino alla punta di quelle lunghissime ciocche rosse. La sua immagine a tre quarti nutriva i miei occhi come un piatto prelibato nutre il palato di un affamato; nutriva la mia mente di progetti, il mio stomaco di entusiasmo, ed il mio cuore veniva smosso da battiti rapidi ed eccitati all'idea di essere insieme, ancora, e per sempre. Le sue mani compivano movimenti lenti e regolari, con grazia e delicatezza acconciava i capelli come una vera professionista. Diceva che, in quel modo, si sarebbe sentita più a suo agio standomi accanto quando andavamo ad uno dei tanti ricevimenti ai quali eravamo oramai soliti partecipare, a causa e grazie alla mia fondazione, o ci concedevano una serata intima a cena fuori; mai aveva capito quanto per me fosse splendida e perfetta sin dal mattino con gli occhi assonnati e la capigliatura in disordine, con il suo corpo disegnato da un artista maestro coperto da un tenero pigiama che finalmente non si vergognava più a sfoggiare in mia presenza. Quella donna, la mia donna, era un capolavoro. «Amore mio, non credo che sia necessario, dobbiamo solo andare fuori a cena.» le dissi. «No, Ian, non andremo "solo fuori a cena", hai prenotato in un ristorante da capogiro, non prendermi per i fondelli.» ribattè convinta. Mi alzai dal letto e la raggiunsi. «Ma a me vai bene così come sei...» sussurrai al suo orecchio. «Dai Ian, lasciami finire, ho bisogno di un po' di spazio.» affermò in un tono che non ammetteva repliche. «Cosa c'è? Ho sbagliato qualcosa? Se il ristorante non ti piace ti porto da un'altra parte, davvero amore.» mi affrettai a proporre. «Non è che il ristorante non mi piaccia... -iniziò, voltandosi verso di me, con uno sguardo che non avevo mai visto - sei tu che inizi a starmi stretto, sai?» i suoi occhi non tradivano alcun velo di emozioni, al contrario dei miei, tramite i quali cercavo di esporle la mia profonda confusione. Non capivo cosa stesse accadendo, non si era mai rivolta così a me. «Cosa stai dicendo? Io? Spiegami, per cortesia.» «Ma tesoro, è tutto così semplice...» continuò, avvicinandosi a me per poi accarezzare il mio profilo. «Non capisco.» replicai. «Io non ti amo più, "Amore".» e come se avesse detto che mancava il latte nel frigo, con la leggerezza di una bambina al parcogiochi, come se quelle parole fossero la più bella dichiarazione al mondo, sorrise, voltandosi poi nuovamente verso lo specchio.

«Anastasia!» mi svegliai di colpo, urlando il nome della mia ex fidanzata. Avevo il respiro decisamente affannato e la mia pelle era cosparsa da piccole goccioline di sudore. Era luglio inoltrato e si moriva di caldo, perciò fare incubi del genere sicuramente non giovava al sonno. Avevo nuovamente sognato Anastasia, dopo mesi e mesi che non accadeva più. Tutto ciò non aveva senso, per niente! Una location mai vissuta, una situazione riciclata da un album con dozzine di altre situazioni così simili. Passai le mani sul viso per rinsavire da quel pessimo sogno, ma sarebbe superfluo ammettere quanto quel gesto si rivelò inutile. Rivolsi lo sguardo al comodino per prendere l'acqua, che tenevo lì a portata di mano, e notai l'orario della sveglia: 4.45 del mattino. Perfetto. Avrei avuto la sveglia di lì a due ore e trovavo difficile riuscire a riprendere sonno.
Passai la successiva mezz'ora a rigirarmi sotto al lenzuolo sottile che mi copriva a malapena senza riuscire a togliermi dalla mente quegli occhi cioccolato. Iniziai a scocciarmi. Avevo deciso di ricominciare, di togliermi dalla testa quella ragazza, di ricominciare a vivere come volevo una volta per tutte. Ma il mio subconscio forse non era così pronto o, forse, avrei dovuto interpretarlo come un segno, quasi come se qualcosa avesse voluto dirmi che anche lei era della mia stessa opinione, decisa come non mai a proseguire con la sua vita, dopo la lettera che mi aveva scritto. Quella lettera che conservavo in fondo ad un cassetto, incapace di liberarmene e pronto al fatto che mi sarebbe potuta servire da promemoria, un giorno. Non era facile andare avanti dopo una storia come la nostra, ma iniziavo a credere che qualche opportunità avrei potuto iniziare a coglierla. Non mi sentivo più così confuso tra il passato ed il presente, ma i ricordi non li potevo cancellare, potevo solo relegarli in uno scomparto a parte e ben sigillato della mia mente, lasciando che vivessero lì indisturbati senza lasciare che mi disturbassero più.

Imperituro.   ||I.S.||   Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora