Janette mantenne il sorriso anche dopo l'uscita di Bryan e smise solo quando arrivò un'altra detenuta.
La giovane donna sperava che questa volta potesse andare meglio, ma non sapeva che chi indossava la divisa nera e aveva le mani già legate dalle manette, era davvero pericolosa.
"Mi raccomando, comportati bene." disse una voce femminile alla detenuta, che entrò e si accomodò nella sedia in modo rumoroso.
Aveva un cappuccio e degli occhiali da sole, questo non permetteva di distinguere i tratti del suo volto.
"Ciao, mi chiamo Janette Lee e sono qui per aiutarti."
La donna tolse gli occhiali e subito dopo il cappuccio, rimanendo a fissare la psicologa con quegli occhi castani che minacciavano di far cadere qualche lacrima.
Aveva i capelli chiari e ricci raccolti in una coda bassa e gli occhi immobilizzati alla vista di qualcuno che ha fatto parte della sua vita per tanti anni.
Nel frattempo, Janette aveva ceduto ed era scoppiata a piangere, si alzò e si avvicinò alla detenuta per abbracciarla.
"Meredith!"
"Janette, sei proprio tu!"
"Sono io." disse Janette, prendendo la manica del suo dolcevita beige e asciugandosi le lacrime, che avevano appena cessato di scendere.
Non si vedevano da undici mesi, nonché il tempo che passò Meredith al Saint-Moore fino a quel momento.
"Quanto ti resta da scontare?" le chiese la sorella, preoccupata della risposta.
"È tutto incerto, dicono che starò qui per almeno altri due anni."
"Perché indossi questa divisa nera?"
Era la domanda che voleva farle dal momento in cui era arrivata, senza sapere ancora chi fosse.
"Ho spaccato la testa ad una mia compagna di cella l'altro giorno."
Janette fu sconvolta da quella risposta, se era stata in grado di spaccare la testa a qualcuno e parlarne in modo così tranquillo, poteva benissimo essere la reale colpevole di quell'omicidio.
"C-cosa diavolo hai fatto?"
Meredith rimase in silenzio, senza un espressione nel volto, aspettando che fosse Janette a riprendere parola.
"L'hai uccisa tu? Quella donna intendo, sei stata tu a spararle?" la voce, nel pronunciare quella frase, le tremava.
"No, certo che no..."
Janette non sapeva se crederle, tutte le prove andavano contro di lei e affermavano ciò che aveva fatto.
"Janette guardami, mi credi, vero?"
La voce di Meredith rappresentava esattamente ciò che stava provando: voleva comprensione.
"Non so se riesco a crederti..."
"Fai schifo esattamente come tutti gli altri" disse Meredith, poi si alzò e si diresse davanti le grate, premendo il pulsante per aprirle.
"Perché cazzo non funziona questo stupido pulsante!"
Si mise a gridare e diede un pugno al tasto blu e un calcio alle grate, attirando l'attenzione delle guardie lì fuori, che aprirono la cella e la portarono in isolamento, dove stava dal giorno in cui aveva fatto del male ad un'altra detenuta.
Da quest'ultima frase, Janette poteva arrivare alle uniche due conclusioni a cui era già arrivata: la prima era che Meredith era innocente e voleva soltanto che qualcuno le credesse, mentre la seconda, riguarda il fatto che sua sorella era colpevole e per non ammetterlo se la prendeva col mondo intero, soprattutto con l'unica persona che sperava le desse un appoggio.
C'erano delle prove schiaccianti, che dimostravano che era stata lei a premere quel grilletto, ma Janette sperava fosse tutto un equivoco.
Ancora un ultima goccia salata scese dall'occhio della signorina Lee rigandole il viso.
Singhiozzando prese il suo cellulare e chiamò la madre, in attesa dell'arrivo della prossima detenuta.
"Pronto?" la donna rispose già al secondo squillo.
"Mamma, come stai?"
C'è molto da dire sulla madre di Janette, a partire dal fatto che quando ha saputo di Meredith, ha avuto un crollo emotivo, che l'ha portata a prendere dei farmaci e fare delle cure settimanali necessarie.
Laura si stava però riprendendo, ma Janette temeva che, se le avesse detto dell'incontro con la sorella, avrebbe potuto avere una ricaduta.
"Sto bene. Tu? A lavoro? Tua sorella dov'è? Sta bene? Dimmi qualcosa di lei."
"Io sto bene e ho visto Meredith, sta bene anche lei, presto si risolverà tutto."
Per non ferire i sentimenti della madre malata, Janette aveva ormai da tempo imparato a mentire, solo per farle del bene.
"Oh, grazie a Dio!"
"Devo andare, il lavoro mi aspetta." disse infine la signorina Lee.
Poi riattaccò, dopo aver ricambiato il saluto di Laura.
Era già quasi ora di pranzo, il tempo era volato e aveva ancora tanto lavoro con le detenute.
Ne conobbe delle nuove, che raccontavano le loro storie: alcune erano più arroganti e pericolose, altre cercavano soltanto di scontare la loro pena senza polemiche e rispettando le regole.
In particolare, prima della sua pausa pranzo, entrò una ragazzina, che si svelò avesse appena diciotto anni, con una faccia innocente e angelica.
Janette si chiese cosa potesse farci qui e la risposta la ottenne dalla ragazza stessa, che si accomodò nella solita sedia e cominciò a parlare: "Il mio nome è Vanessa Gilbert, ho diciott'anni fatti da appena due mesi e sono qui da soli venti giorni, anche se sembra passata un eternità. Perché sono qui? Perché ho rubato un auto per andare da mio fratello e farmi dare un po' di erba, lui spaccia da tanto.
Quindi, non solo ho rubato un auto costosa ad un pezzo di merda, ma mi hanno anche trovata con l'erba. Fortuna che non hanno scoperto Louis, altrimenti sarei fottuta non appena uscita di qui."
Janette vide qualcosa di buono nei suoi occhi, come se ci fosse una valida spiegazione per quello che ha fatto.
"Perché fumi?" le chiese la signorina Lee.
"Tutto quello che avevo da dirti, l'ho detto, posso andare?!"
Nonostante il suo volto mostrasse semplicità e innocenza, aveva lo sguardo di pietra, era fredda, come se le avessero portato via un pezzo della sua vita, che non potrà mai tornarle indietro.
"No che non puoi, devi dirmi perché fumi."
"Perché...mia madre è morta un anno fa, un colpo di pistola da una figlia di puttana che sta proprio qui in questo carcere, la ammazzerò."
"Un colpo di pistola hai detto? Al petto per caso?"
Janette iniziò a collegare le cose e arrivò a capire che la madre di Vanessa poteva essere la donna che sua sorella aveva ucciso.
"Si, ora posso andare?"
"S-si, ti faccio uscire, ci vediamo."
La giovane capì di voler indagare sul caso della madre di Vanessa, di voler scoprire se sua sorella è un'assassina e perché l'ha fatto.
Voleva andare a fondo, anche se la paura di scoprire la verità la tormentava.
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Saint-Moore
ActionUna giovane psicologa decide di conciliare la famiglia con il lavoro, occupandosi dello stato d'animo delle detenute del Saint-Moore, penitenziario dove si trova la sorella Meredith. Gestire quelle donne in preda alla disperazione, non è facile e Ja...