"Vanessa Gilbert"

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La fine è qualcosa di contrastante: dichiara la sconfitta di alcuni e la vittoria di altri.
Janette aveva perso sua sorella e, con lei, anche la possibilità di aiutarla.
Vanessa, invece, era la vincitrice della battaglia, o almeno, pensava di esserlo.

Le lacrime di Janette cadevano sul pavimento in modo secco e si mischiavano al sangue di una donna sbagliata in tanti aspetti, tranne in quello per cui l'avevano uccisa.
Era irascibile e con un animo forte, desiderava avere tre figli, tutti maschi: era affascinata dal genere maschile, voleva crescere tre possibili giocatori di calcio.
Era una scrittrice di romanzi rosa e sognava di fare successo, eppure aveva un'espressione costantemente spoglia, non trasmetteva niente.
Nonostante ciò, aveva ovvie ragioni per trasmettere il suo dolore: all'età di diciassette anni, avvertì un malore mentre era in casa, si ammalò di tubercolosi e ne guarì dopo anni, per miracolo.
Dio le aveva concesso una seconda opportunità, che stava cogliendo, nel modo più sbagliato forse, ma lo stava facendo e Vanessa glielo ha impedito.
Le ha impedito di tornare a vivere al di là delle sbarre.
Una cosa era certa: qualsiasi grave errore avesse commesso nella sua breve vita, non avrebbe dovuto scontarlo così.

La signorina Lee osservava il corpo della sorella mentre i medici la portavano via.
Aveva già assunto un colorito strano, che assumono i corpi in decomposizione.
Si era spenta un'altra luce nella famiglia della giovane.
Restava sua madre, che però, fragile per com'era, se avesse saputo della morte della figlia maggiore, sarebbe morta lei stessa dal dispiacere.
Janette, nonostante il dolore che aveva da affrontare, doveva trovare la forza di andare avanti e il coraggio di avvisare la madre.
Una vita si era fermata, ma tutte le altre continuavano a scorrere.
Le pattuglie erano appena giunte al Saint-Moore e le detenute erano spaventate nel rivedere quel posto.
Tra quest'ultime dominava l'ansia, dovuta alla fuga, allo sparo e alle conseguenze che avrebbero dovuto subire.
Stavano di nuovo varcando i cancelli del penitenziario, ma nessuna di loro avrebbe immaginato tutto questo.
Ebbero le loro divise, che però quesa volta erano tutte nere.
Erano evase in cinque, ma a tornare dietro le sbarre in isolamento, furono solo in tre: Elisa era ancora in città con Bryan e Janette.
Bryan accompagnò Janette a casa e si fece lasciare da questa le chiavi della sua auto, per potergliela portare una volta terminato il suo turno lavorativo.
Poi tornò al Saint-Moore con Elisa, a cui spettò una semplice tuta arancione come prima.
Se non fosse stato per lei, non avrebbero ancora trovato il corpo di Meredith, né la sua assassina.
Le voci iniziarono a girare tra le varie celle, ma in isolamento, Hannah, Trina e Vanessa erano esonerate da qualsiasi novità.
Non sapevano che tutti avevano appena scoperto chi fosse l'assassina di Meredith.
«Vanessa?!»
In ogni cella d'isolamento, in basso c'era una piccola grata comunicante con la cella accanto.
Per sua fortuna, Trina, aveva la cella vicina a quella di Vanessa e stava tentando di parlare con lei.
«Si?..» rispose una voce calma dall'altra parte della grata.
Vanessa si avvicinò con l'orecchio destro per sentire bene ciò che stava per dire Trina.
«Come va da quelle parti?» disse e poi concluse con una risata isterica.
«So che lo chiedi solo per avere il permesso di poterti infilare sotto questa tuta nera, Smirnov.»
«Sarei maleducata se ammettessi che è vero?»
«Un po'.» Vanessa fece un sorriso, che però Trina non poteva vedere.
«Mi importa sul serio sapere come stai.» Si fermò, fissò il vuoto e poi continuò: «Ma non escludo la questione della tuta...»
Vanessa rise di nuovo e questa volta fece in modo che Trina la sentisse.
«Ho ucciso una donna.» disse la diciottenne tornando improvvisamente seria.
Diventava sempre più cosciente dell'enorme errore che aveva commesso.
«L'hai fatto per tua madre, non pensarci più.»
«Pensi che io abbia fatto bene?» chiese a Trina.
"Potevi evitare di arrivare a tanto, ma che importa ormai?»
"Trina, sono seria. Ho fatto una cazzata."
"Non dovresti pentirtene, lo sai?" Trina assunse un atteggiamento materno.
Se Vanessa si fosse pentita -cosa piuttosto comprensibile- si sarebbe rovinata la vita, oltre ad aver rovinato quella di altra gente.
«Lo so, ma ho paura delle conseguenze.»
«Lo sapevi a cosa andavi in contro.»
Ed era così, Vanessa ne era consapevole, ma forse non abbastanza da tirarsi indietro in tempo.
«Come facevi ad avere quella pistola?»
«Smettila di farmi domande come se fossi superiore a me, hai fatto delle stronzate anche tu.»
Vanessa si allontanò dalla grata e si stese nel sottile e scomodo materasso grigio.
Quella stanza faceva paura, induceva le detenute a riflettere e spesso le faceva impazzire.
Era cupa, tutta grigia, una stanza vuota e fredda.
Vanessa, benché avesse avuto il coraggio di premere un grilletto, era comunque una ragazzina e aveva paura di quel posto.
Le portava brutti ricordi e la faceva sentire in colpa.
«Ti prego,Vanessa! Cambiamo argomento, ma torna qui.»
Trina aspettò con ansia una risposta e quando stava per arrendersi, sentì un rumore proveniente dalla grata.
Vanessa si avvicinò per una seconda volta e disse:
«E di che vorresti parlare, Smirnov?»
«Ci risiamo...mi chiami sempre per cognome.»
«Chiedo scusa, non è colpa mia se il tuo nome fa cagare.»
Vanessa concluse la frase, strizzò gli occhi e prese fra i denti il labbro inferiore attendendo che Trina controbattesse.
«E neanche mia, Gilbert
Sarebbero state ore e ore a parlare ed è quello che fecero.
Parlare di cose futili, senza uno scopo.
Trina non desiderava altro da quando l'aveva vista per la prima volta, ma Vanessa...
Qual era il suo orientamento sessuale?
Ad ogni battuta, sembrava stare al gioco, ma a dire il vero non aveva mai detto niente che facesse capire cosa volesse davvero.

Erano le 00:00 esatte quando Bryan riportò a Janette la sua auto, lasciando un bigliettino sul sedile del guidatore.
Al Saint-Moore era calato il silenzio.
Molti dormivano e altri cercavano di ammazzare il tempo in qualsiasi maniera.
In isolamento non avevano la più pallida idea di che ora fosse, ma anche loro avvertivano la stanchezza e la voglia di dormire e dimenticare tutto per un po'.
Era finita la prima giornata di lavoro di Janette ed erano finite tante altre cose.
Adesso però, l'assassina senza cuore e dignità, non era più Meredith Lee, ma Vanessa Gilbert.

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