2: Benvenuti a Cruz del Norte

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Mentre guardava scorrere il paesaggio attraverso le grate del furgone blindato, si chiese perché la stessero portando proprio a Cruz del Norte. Insomma, c'erano molti altri penitenziari nei dintorni di Madrid. Invece, avevano scelto un carcere privato nel nord della Spagna.

Da quando erano partiti dalla tenda di fronte alla Banca di Spagna, Raquél non aveva fatto altro che pensare a Sérgio ed a quello che la sua cattura comportava per lui, per la banda e per il piano. Lei era un tassello fondamentale per la riuscita del colpo ed ora stava finendo dritta in gattabuia. Ma, se anche ci fosse stata una possibilità che i suoi compagni uscissero vivi e liberi da quel casino, ciò che la tormentava di più era il futuro della sua relazione con il Professore. Indubbiamente, se fosse riuscito a cavarsela dopo quell'enorme fallimento, lui avrebbe cercato in tutti i modi di tirarla fuori, ma a quale prezzo? Fuggire da un carcere poteva sembrare logisticamente più semplice rispetto a rapinare la Zecca di Stato o la banca più importante di Spagna, se non fosse che all'interno non ci sono ostaggi, bensì persone. Detenute, in attesa di una preda abbastanza debole da poter manipolare e sfruttare. Di cui poter abusare. In tutti i sensi. Ed in quelle condizioni, coordinarsi con l'esterno non sarebbe stato affatto semplice (sempre nell'eventualità che un esterno potesse esserci).

I suoi pensieri furono bruscamente interrotti da una guardia che aprì la porta del furgone. La fecero scendere e la accompagnarono in quella che sarebbe stata la sua nuova casa per i prossimi mesi. O anni, forse.

La condussero in una stanza completamente asettica, con 5 postazioni composte da uno sgabello ed una cesta in plastica. Una donna le ordinò di spogliarsi e di volarsi verso la parete, con le mani appoggiate al muro, per poterla perquisire.

Quello fu il momento che segnò l'inizio dell'inferno. Il momento in cui capì che la sua vita sarebbe diventata inutile, e lei una nullità. Perché la perquisizione, per i novellini che entrano in carcere, non è mai fine a sé stessa. Ti violano per farti capire che non hai più alcuna libertà, che la tua vita non ha più valore. Che non sei più nessuno. E per Raquél, quella violenza fu intollerabile. In passato, aveva promesso a sé stessa che non avrebbe permesso più a nessuno di farla sentire così. Invece, era successo, e questo la annientò emotivamente, più di quanto già non lo fosse.

La donna che l'aveva perquisita la invitò a rivestirsi fornendole una tuta gialla e della biancheria. Quando fu pronta, venne condotta di fronte ad un cancello ed una sirena ne segnalò l'apertura. Di fronte a lei, si stagliava un corridoio enorme, cosparso di celle da entrambi i lati e con una scala centrale, che portava ad una balconata con altre celle.

Appena varcò la soglia, vide una miriade di persone gialle voltarsi verso di lei, lo sguardo un po' incredulo ed un po' beffardo. Qualcuna rideva, qualcuna la insultava. La verità era che non era un giorno di arrivi e tutte erano un po' disorientate.

- Beh, che avete da guardare?! Tornate nelle vostre celle! - sbraitò la donna che la stava scortando.

Alcune detenute obbedirono, altre rimasero ad osservare, in silenzio.

- Ora ti accompagno nella tua cella - aggiunse la guardia.

Salirono le scale, circondate da bisbiglii ed occhiate furtive, e proseguirono lungo la balconata finché non arrivarono a destinazione. Cella 212.

- Forza, entra - le ordinò la guardia.

Ma prima que Raquél potesse varcare la soglia, una ragazza le si parò davanti.

- E tu chi sei? Non puoi entrare qui! -

Era alta, aveva i capelli lunghi e neri raccolti in una coda di cavallo.

- Entra - ripeté la guardia alle sue spalle, dandole una spinta sulla schiena.

- No, non entrare! Questa cella è privata! -

- Togliti dai piedi Vargas. La vostra cella è l'unica rimasta ed avete addirittura due letti. Vuoi finire in isolamento? -

La ragazza non rispose, ma si voltò a fissare uno dei due letti a castello sul quale era sdraiata un'altra detenuta.

- Zule? Qui c'è qualcuno che ci vuole disturbare. -

La donna si mise a sedere sul letto e fissò la scena. Aveva i capelli neri come la notte e due occhi penetranti che trafissero Raquél, facendola rabbrividire. Il suo volto, solcato da una linea nera che le attraversava lo zigomo sinistro, non tradì nessuna emozione.

Dopo secondi interminabili, durante i quali nemmeno la guardia osò proferire parola, la donna parlò.

- Non importa. Non mi sembra niente di che. Nel giro di due giorni si farà mandare in isolamento da sola per la disperazione. Vero, novellina? - si lasciò sfuggire una risata colma di irriverenza e si ributtò sul letto, tornando a fissare il soffitto.

- Bene, la Regina Araba ha parlato, mademoiselle. Benvenuta nella nostra incredibile reggia! - la sbeffeggiò la ragazza di nome Vargas, spostandosi di lato e facendo un inchino caricaturale di benvenuto.

Raquél si voltò in cerca della conferma della guardia, ma era già sparita. Si avviò verso il centro della stanza disorientata dalla scena a cui aveva appena assistito. Si guardò intorno e vide che la cella era composta da due letti a castello, ed erano liberi solamente i letti di sotto. Non sapendo quale fosse destinato a lei, e con il timore di indispettire ancora di più le sue nuove compagne, iniziò a chiedere:

- In quale letto... - ma fu bruscamente interrotta dalla voce della detenuta di nome "zule".

- In quello che vuoi, novellina. Basta che non russi. -

A mi me van a recordarDove le storie prendono vita. Scoprilo ora