1. Una Sorpresa Inaspettata

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Se al tempo avessi potuto avvisare la mia salvatrice di ciò che avrebbe dovuto subire nei successivi anni, forse le avrei risparmiato un bel po' di guai.
Non che fosse colpa mia ciò che avveniva intorno a me- non completamente, perlomeno-, ma tutti quei sogni manifestati nella realtà erano, per quanto ne sapevo, frutto di una forza che niente, neanche i rosari del cappellano, poteva fermare.

Già a partire dai tre anni, quando cominciai ad elaborare pensieri più complicati, si erano manifestate stranezze di tutti i tipi: cavalli che correvano lungo i corridoi e svanivano all'improvviso; piccole scimmie che saltavano sulle teste delle suore durante i pasti e, come ciliegina sulla torta, dipinti che uscivano dalle proprie cornici e mi salutavano amorevolmente, ignorando il terrore negli occhi di tutti. Se in un primo momento si pensò a demoni o a spiriti maligni, successivamente fu chiaro che alla base di tutto vi era la sottoscritta. Suor Simon, mia mentore, aveva notato come, ogni qual volta avvenivano quelle strane visioni, io mi trovassi nella stanza e bisbigliassi qualcosa con un sorriso divertito.
-Questa bambina è dotata di strani poteri, forse sa fare addirittura i miracoli, ve lo dico io!- aveva detto di fronte alla madre superiora che, stupefatta, le aveva lasciato il compito di istruirmi, di modo che non avvenissero più certe stranezze.
E così, giorno dopo giorno, mentre crescevo al fianco dei miei compagni normali, acquisivo sempre più consapevolezza di avere una particolarità, una specialità che mi rendeva diversa. Sapevo tramutare il pensiero in realtà, seppur in modo del tutto casuale e a seconda del mio umore.
Suor Simon si impegnò con forza per farmi controllare i miei poteri: meditavamo insieme, controllavamo il mio flusso di pensieri e, ogni qual volta avveniva un episodio, facevamo in modo che durasse il meno possibile. E sebbene all'età di 10 anni fossi già piuttosto brava, altro mi rese sempre più insicura sulla mia identità. Le domande cominciarono ad annidarsi nella mia testa, tenendomi sveglia la notte per ore ed ore, senza che trovassi una risposta.
Chi ero?
Perché avevo certi poteri?
Anche i miei genitori avevano tali visioni?
Ero forse una specie di mostro?
Non avevo nessun indizio, neppure un ricordo di quella che era stata la mia vita precedente: solo una lettera che attestava il mio status di orfana e che, d'altronde, non dava alcun dettaglio sulla morte dei miei. Ero dunque convinta che sarei rimasta per sempre nel convento e che, presto o tardi, mi sarei dedicata completamente alla vita clericale. Quei poteri, che durante l'infanzia avevano intrattenuto i bambini con cui vivevo, si sarebbero persi per sempre con la crescita.
O così credevo.

Il giorno 20 settembre 1934, con il fiatone per la corsa, le guance rosse e le ginocchia tremanti, suor Maria si presentò di fronte all'aula di catechismo in uno stato spaventoso. Alcune mie compagne si lasciarono sfuggire risatine divertite, venendo riprese all'istante da suor Teresa, stretta nella sua espressione di totale serietà.
-C'è qualche problema, sorella?
L'altra passò in rassegna i banchi e, quando fu su di me, mi fissò attentamente. Qualcuno emise un:"Ohhh" e vari bisbigli si propagarono nella stanza.
-La madre superiora vuole parlare con la signorina Hopkins- annunciò. Perplessa, agrottai le sopracciglia e mi alzai lentamente dal mio posto. Cosa avessi fatto questa volta, non lo sapevo affatto. Era da tempo che non adoperavo i miei "poteri", precisamente dal 25 dicembre 1932- avevo tenuto conto sul mio diario -, quando per sbaglio feci spuntate fuori dal presepio un vero e proprio bue.
-Coraggio signorina Hopkins, vada con suor Maria!- esclamò la donna alla cattedra, sbattendo il suo bastone a terra. Colta alla sprovvista, drizzai le orecchie e corsi verso la porta, seguendo la povera donna sfinita lungo il corridoio.
-Cosa vuole da me la madre superiora?- chiesi, mentre scivolavamo lungo le scale. In risposta ottenni un'altra occhiata sorpresa e, prima che potesse accompagnare i gesti con parole, fummo di fronte all'ufficio principale. Da dentro non proveniva altro che il silenzio, interrotto solamente dall'orologio a pendolo. Suor Maria bussò leggermente, ottenendo in risposta un "avanti" severo. Entrammo.
Nella stanza angusta, sedute ai due lati della scrivania, si trovavano la madre superiora Abigail e suor Simon. Quest'ultima, volgendo lo sguardo su di me, cercò di rassicurarmi come poteva, ma capii che c'era qualcosa di grosso dietro quell'incontro.

-Signorina Hopkins, vedo che ci ha impiegato poco. Coraggio, si sieda.
Indugiando, presi posto al fianco di suor Simon che, inspiegabilmente, aveva l'espressione più rammaricata che le avessi mai visto addosso. Non provò neppure a darmi una delle sue pacche sulla spalla, e trovai la cosa allarmante.
-Perché sono qui?- chiesi, dopo aver trovato il coraggio di interrompere il silenzio. La madre superiora mi scrutò da dietro i suoi spessi occhiali di vetro, sistemando delle scartoffie dinnanzi a lei. Mi concentrai proprio su quei tappi di bottiglia, sperando che così facendo avrei sbollito la tensione.
-Non mi piace fare giri di parole, per cui te lo dirò e basta: questa mattina una donna ha fatto richiesta di adozione.
Sentii la mascella cadermi in avanti e, scuotendo il capo, cercai di elaborare ciò che aveva appena detto.
-Adozione? Mh, sì. Ci sono molte bambine carine quest'anno.
-Ha chiesto di te specificatamente.
Tossii per nascondere una risatina che era esplosa fuori come un vulcano, ritrovando il contegno solamente negli occhi severi della suora di fronte a me. Avevo capito benissimo: qualche folle si era accorta di me.
-Non sappiamo neppure noi il motivo, ma la signora ha scartato tutte e ha puntato il dito sul tuo nome. Ma non farti illusioni : per quanto ne sappiamo, miss Circaetus non ha alcun legame con te- spiegò. Riflettei sul buffo cognome della strana donna e scavai nel passato. Non era il nome scientifico di un rapace quello?
-Onestamente, Ophelia, non ti celo il mio riserbo per questa sconosciuta: che voglia necessariamente te lo trovo strano.
-Non è che abbia trovato interessante il modo in cui suona il mio nome?- commentai non troppo ironicamente. Era già successo che qualcuno, curioso del mio nome, si era fatto avanti per adottarmi. Tuttavia era rimasto scioccato, se non addirittura terrorizzato, di fronte alle storie che circolavano sul mio conto anche fuori dal convento. Nessuno nell'arco di chilometri avrebbe avuto la geniale idea di prendermi quale propria pupilla.
-No, Ophelia, non è questa la ragione. La signorina Circaetus è un'esperta in, come dire, bambini Speciali- spiegò la donna e, nel farlo, mi porse un biglietto da visita in carta marrone. Su di esso, inciso a caratteri argentati, vi era scritto:

"Miss Katherine Circaetus, esperta in educazione minorile e in casi speciali"

-Madre, se permette, io avrei da ridire sulla faccenda- cominciò suor Simon al mio fianco. Il suo labbro inferiore tremolava leggermente, le dita affusolate si stringevano insistentemente all'orlo dell'abito monacale. Segni che mi dimostrarono che qualcosa non andava affatto.
-Questa... Signorina non ha ancora incontrato Ophelia di persona e già pensa di adottarla? Mi pare alquanto sospetto. Inoltre il suo biglietto da visita non mostra alcun numero o indirizzo. Come possiamo lasciare questa bambina nelle mani di una  sconosciuta, nubile d'altronde?!
Mi irrigidii sulla sedia, fissando uno dei quadretti di Cristo sopra alla scrivania. Non sapevo come decifrare ciò che stavo provando in quel momento: ansia, paura, eccitazione o forse rabbia? Tutto ciò che sapevo per certo era che non volevo trovarmi lì, ad ascoltare passivamente del mio destino.
-È la procedura, sorella. Non possiamo verificare tutte le famiglie che richiedono un bambino! Dobbiamo fidarci di questa signora- sospirò la madre superiora. Istintivamente sbattei le braccia sulla scrivania, ponendo temporaneamente il silenzio.
-Ophelia!- mi riprese suor Simon, ma bastò uno sguardo per capire cosa provavo. Ero semplicemente angosciata.
-Vi prego, posso parlare?
Attesi un loro cenno di assenso e, quando arrivò, proseguii. Avevo il cuore in gola e la testa leggera.
-Prima di prendere una decisione, ecco... Potrei incontrare miss Circaetus? Se si dimostrerà una buona persona, potrete mandarmi via. Ma se non fosse affidabile, ecco... Potreste prendere in considerazione l'idea di tenermi ancora un po'?
Soppesai le parole, sperando di ottenere un minimo di approvazione da entrambe. E, sebbene fosse complesso accomodare sia la madre superiora e sia suor Simon, a conclusione del discorso entrambe annuirono parzialmente soddisfatte.
-Fisserò un appuntamento per questo mercoledì. Spero solo che tu ponderi bene la decisione, signorina Hopkins- concluse la donna, prima che suor Maria aprisse la porta. Mi alzai e, ancora sotto shock, diedi un'ultima occhiata a suor Simon, la quale mi sfiorò una mano sorridendo forzatamente.
-Torna pure in classe, ne riparleremo.
Sfrecciai via come se ne andasse della mia vita, gli occhi lucidi per la trepidazione. Mancavano solamente due giorni.

Ophelia Hopkins And The Wind Of DeathDove le storie prendono vita. Scoprilo ora