I miei occhi guizzavano da un lato all'altro della stanza, alla disperata ricerca di una figura a me estranea e indefinita, ma che evidentemente loro conoscevano bene. Non distinguevo nulla, tanto il paesaggio scorreva veloce nella mia visuale, lasciandomi brevi impressioni sulla mente e macchiando i miei ricordi di tinte nuove.
Quei colori, quella gente, quegli oggetti; nulla mi era familiare, eppure sentivo che tutto era dove doveva essere. Finalmente i miei occhi si fermarono, interessati ad un unico oggetto della piccola e angusta stanza che osservavano.
Uno specchio.
Era dunque quello ciò che cercavo disperatamente. Perché mai i miei occhi si erano interessati ad un oggetto di cui mai e poi mai avevo colto l'utilità? Perché rispecchiarsi su una lastra di vetro?
Le ragazze la usavano per pettinarsi, farsi belle, vedere come apparivano, per poi fare a gara per essere la più curata e andare a sguazzare sulle pozzanghere come tutti. I maschi, invece, lo usavano meno e solo per essere minimamente decenti per la società e per le bramate ragazze, di cui cercavano di accaparrarsi anche un solo sguardo o un solo occhiolino. Era il massimo di ciò che si potesse sperare dalle ragazze: di degnare un ragazzo del loro sguardo sbarazzino e limpido.
Io. Io non l'avevo mai usato, men che meno posseduto uno specchio.
Ma in quel frangente, fui messo alle strette dai miei occhi, che non volevano sporgersi verso un altra visuale; non accennavano a muoversi per imitare gli altri e ammirare le ragazzine sedute sul prato, lì apposta per farsi desiderare.
"GUARDATI"
Tuonò una voce nella mia testa, imponendomi ciò che i miei occhi volvano compiessi. Perché? Perché il mio corpo si stava ribellando a me? Io non volevo guardarmi allo specchio.
Non l'avrei data vinta ai miei occhi, non avrei guardato. E se fossi stato costretto al buio del nulla per il resto dei miei giorni, ben venga, pur di non assecondare quegli occhi folli a compiere qualcosa di insensato.
Niente da fare, venni trafitto da un dolore lancinante. Il mio animo stava venendo lacerato da aghi affilati che lo strappavano come le forbici tagliano i fogli. Mi abbandonai il dolore e, pochi secondi prima di soccombere, notai gli occhi rossi di rabbia, velati d'azzurro di pianto rispecchiati che mi urlavano in una lingua sconosciuta.