06. Debolezze

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➴➴➴


𝐂𝐋𝐀𝐈𝐑𝐄

Mi ero sempre chiesta il motivo per cui i sogni più belli dovessero durare pochi istanti, o quantomeno il loro ricordo persisteva per una manciata di minuti, mentre gli incubi rimanevano all'interno dei nostri pensieri per giorni, mesi, se non persino anni. Mi ero anche sempre chiesta come fosse possibile che, quando nella realtà si manifestava l'emozione della paura, questa oscurasse quasi ogni cosa e lasciasse tutto nel nostro inconscio, ma come ciò non accadesse anche con gli incubi. Perché erano così nitidi nella mia mente? Come sezionava la mente tutto ciò che meritava di essere ricordato e ciò che era troppo banale per rimanere in un cassetto?

«Come mai oggi non sei venuta a lezione?».

Una voce conosciuta mi arrivò all'orecchio con un soffio e come un leggero sussurro. Scattai seduta e mi ritrovai davanti il moro del giorno prima.

Alzai gli occhiali da sole e lo guardai scioccata. Mi trovavo nel cortile della scuola, sdraiata sotto un albero a riposare gli occhi, ma ero finita in una sorta di dormiveglia. La mattina che avevo trascorso non era stata una delle più calme, infatti avevo seguito una lezione di quasi due ore e mezza che aveva completamente buttato giù le mie forze.

Di norma sarebbe dovuta durare due ore con dieci minuti di pausa tra un'ora e un'altra, ma non solo ciò non avvenne, ma la professoressa si prese anche più tempo del dovuto. Quindi, dopo quella esperienza che non avrei voluto ripetere nei miei prossimi anni di studio, mi ero diretta verso il cortile e mi ero distesa all'ombra.

«Che lezione, scusa?», domandai aggrottando la fronte. Avevo solo quella di armocromia quel giorno.

Un sorriso divertito nacque sulle labbra del moro. «Te ne sei davvero dimenticata? Madame Dubois è rimasta molto delusa dalla tua assenza», disse.

Sbarrai gli occhi e quasi ebbi un mancamento. «Eleonore? Eleonore Dubois?»

«Sembra che tu la conosca», tirò ad indovinare.

«No, non sono io a conoscerla, ma mia nonna»

Come sempre dopotutto.

Lo vidi trattenere una risata sonora nel pronunciare la sua domanda. «Bigfoot?»

«Proprio lei» risposi.

Non me la farà passare liscia.

Riflettei e mi lasciai a un sospiro sconsolato. Mi maledii e poi mi sdraiai nuovamente sul telo che mi ero portata dietro. Non osai guardare il telefono, semplicemente mi passai le mani tra i capelli e li strinsi.

Avrei voluto che in quel modo il flusso dei miei pensieri si potesse interrompere, ma questi non passavano attraverso i capelli e quindi mi fu impossibile pensare a quante domande, quanti rimproveri e quanta morbosità avrei dovuto ricevere per quel mio sbaglio. Un misero, fottutissimo, sbaglio.

Quanto tempo avrei impiegato per imparare? Quanto tempo in quell'inferno mi aspettava ancora? Riportai gli occhiali sul mio naso e strinsi forte gli occhi, cercando di impedire agli occhi di lacrimare davanti a un perfetto sconosciuto.

Non essere fragile. Non essere fragile. Non essere fragile.

Mi dissi.

Cosa risolverai piangendo? Niente. Ingoia quelle lacrime, fai in modo che nulla ti possa toccare, fa in modo che nessuno possa avere più potere su di te.

Feci un respiro profondo.

Odia. Odia e smetti di pensare agli altri. Sii menefreghista.

Sentii il corpo iniziare a tremare.

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