➴➴➴𝐀𝐑𝐓𝐇𝐔𝐑
«Apri i tuoi occhi incollati e stappati le orecchie, Hamilton. In giro le voci corrono e tu sei l'unico che non le sente»
Cosa voleva dire Clary con quelle parole? Stava accadendo qualcosa intorno a me di cui non ero a conoscenza? Oppure era solo un tentativo dei Campbell per confondermi?
Rilasciai un sospiro, lasciandomi cadere sulla sedia del tavolo della mensa. Charlotte era di fronte a me, vicino a Lewis. Non avevamo parlato della sera prima, quella mattina. Anzi, a dire il vero non avevamo parlato quasi per niente.
«Cos'hai? Quel sospiro era... pesante», mi fece notare Brandon. Voltai lo sguardo verso di lui, sulla mia destra, e vidi il suo sguardo segnato dalla sua ruga di preoccupazione. Scossi la testa e feci in modo che un sorriso mi comparisse sulle labbra.
«Niente è tutto okay», gli risposi, nel tentativo di tranquillizzarlo.
Ricambiò il sorriso e mi diede delle pacche sulla schiena. Mi sembrò che potesse rompermi qualche osso con tutta la forza che impiegava.
«Su con la vita, Arthurino».
Sul mio volto, inevitabilmente, comparve una smorfia.
«Non mi piace questo soprannome, lo sai», brontolai e lui scoppiò a ridere. Lo seguii a mia volta, trasportato dalla sua risata gioiosa e contagiosa.
Non tendevo mai a far notare ai miei amici le mie preoccupazioni, né tantomeno quando fossi triste. Pensavo che essere miei amici fosse già abbastanza problematico, principalmente per via dei paparazzi, e quindi, addossare anche i miei problemi, mi sembrava inutile e pensate. Egual cosa valeva per Charlotte: preferivo mascherare le mie emozioni negative in positive per evitare di farla preoccupare.
«Dovreste ridere anche voi!», esclamò Brandon, mimando il movimento delle labbra che Lewis e Charlotte avrebbero dovuto intraprendere per sorridere e ciò fece scappare un sorriso a Lotty, aggravando il mio.
«A proposito di felicità, Brandon, che cosa ti ha detto Clary?» domandai alzando, curioso, il sopracciglio. Il suo sorriso si stirò ancora di più sul suo volto, facendomi capire quanto fosse felice che gli avessi posto quella domanda.
«Prima mi dici di che cosa avete parlato tu e Clary», disse, calcando il nome di lei come per prendermi in giro. Sentii un leggero calore sulle guance, ma scomparve subito dopo aver udito il suono dell'unica voce che mi dava fastidio.
«Si stavano comportando proprio come due fidanzatini», disse con la sua voce irritante. «Io ti consiglio di stare attenta, Charlotte. A Campbell non ci ha messo due minuti a trovarle un soprannome che usa solo lui, per te invece utilizza un soprannome che praticamente utilizzano tutti», continuò.
Mi girai e guardo la grandissima testa di cazzo di Harry. Nella mia vita non ero mai stato ostile con nessuno, a maggior ragione, ho utilizzato parolacce per descrivere una persona – anche se quelle non le utilizzavo in generale –, ma Harry era quel soggetto che scatenava in me un profondo, profondissimo – non si vedeva neanche la fine – sentimento negativo.
«Oh, guarda un po' chi ci è venuto a trovare: un coglione!». Il sarcasmo nella voce di Brandon arrivò dritto verso Harry, fendendo l'aria; e io dovetti trattenere a fatica una risata, notando la faccia contrariata del castano.
«Oh, guarda un po' cosa vedono i miei occhi: un succhia cazzi!». Brandon rise di gusto e io mi girai verso il mio amico per accertarmi non fosse pazzo.
«Che cazzo hai da ridere?» chiese Harry senza il minimo garbo.
La risata del moro si placò per qualche secondo, per poi riprendere più sonora di prima. «Senti testa di cazzo, mi spieghi perché minchia ridi?» gli domandò nuovamente e lui scosse la testa cercando di fermarsi di ridere, senza riscuotere alcun successo.
STAI LEGGENDO
Un inizio diverso
ChickLit⚠ IN CORSO Consigliata ad un pubblico consapevole e/o maturo Nati e cresciuti per odiarsi l'un l'altro perché niente è più importante della famiglia, neanche l'amicizia. Come per alcuni poeti, secondo cui il muro per arrivare all'autenticità della...