Sigaretta

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Sei sempre rimasto in silenzio.
Lo hai fatto di fronte alla delusione, di fronte alla morte.
Lo hai fatto davanti ad un giuramento assurdo.
Lo hai fatto mentre strisciavi nell'ombra e mentre ti travestivi per sempre da mostro senz'anima.
Lo hai fatto mentre pronunciavi una promessa impossibile, e mentre tenevi fede ad essa, facendoti a brandelli la carne ed il cuore.
Lo hai fatto mentre mi ostinavo a salvarti da una morte assurda e stupida.
Lo hai fatto quando hai aperto gli occhi in un letto di ospedale, non sapendo se maledirmi o ringraziarmi per quello che avevo avuto l'ardire di fare.
Lo hai fatto quando ti chiamavano traditore e lo hai fatto quando ti chiamavano eroe.
Sei sempre rimasto in silenzio.
Così come stai facendo adesso, mentre mi guardi con quei tuoi occhi fatti di abissi, di tenebra e di tanto di quel fuoco da sentirmeli bruciare sulla pelle delle guance.
Ti ho baciato senza pensarci.
Ti ho baciato perché non potevo più continuare a raccontare fandonie a me stessa.
E tu sei rimasto tu.
Anche mentre sentivo il tuo cuore battere talmente forte da zittire il silenzio.
E adesso sei immobile su una poltrona che ti ha sempre fatto da contorno, mi guardi con un sopracciglio alzato e il mento poggiato sulle mani incrociate.
I gomiti ben piantati sui braccioli, come se avessi paura che quella dannata poltrona sparisse, e ti lasciasse da solo, in questa stanza, con me davanti.
Io non so se hai paura.
Un uomo che ha paura non guarda il suo carnefice come tu guardi me, in questo momento.
Non gli punta negli occhi uno sguardo capace di polverizzare la materia e di interdire la ragione.
E allora, se paura non è, cosa ti tiene immobile ad osservarmi in silenzio?
Sospiro.
Quanto vorrei essere capace di affrontarti.
Di parlarti come mille volte ho sognato di fare.
Ti ho baciato.
Ed è stato più facile che riuscire a trovare una maledetta parola per scalfire il tuo silenzio.
Rovisto frettolosamente nella borsa.
C'era, so che c'era!
Sposto pergamene, penne, libri e chiavi che non so esattamente cosa aprano.
Lo trovo.
Lo apro.
È vuoto. Maledizione!
Ti vedo muoverti impercettibilmente sulla poltrona. La mia attenzione viene attirata dal tuo gesto quasi invisibile.
Sorridi.
Non so se sia un sorriso vero.
È il tuo sorriso. Quello che ti solleva in modo impertinente un angolo delle labbra.
Quello che mi riservi da quando ero solo una bambina, e cercavo di scaricarti addosso il mio sapere appiccicato alla bene e meglio da qualche libro che ritenevo degno della tua stima.
Fai un cenno della mano, indicando un cassetto della libreria accanto alla quale, poco fa, sono riuscita a catturarti.
Non capisco.
«Sono lì.» sussurri.
Tu non parli mai.
Sussurri, sempre.
Con quel misto di sensualità e freddezza che è riuscito a farmi perdere la ragione.
«Cosa?»
«Le sigarette, sono lì, in quel cassetto.»
Ti guardo interdetta.
Forse vorrei chiederti perché.
Non ti ho mai visto fumare una sigaretta in vita tua.
O forse invece vorrei solo evitare qualsiasi domanda e riempirmi la bocca di nicotina.
«Ne dimentichi qui dentro due pacchetti a settimana, Granger.»
Non serve che io ti chieda niente. A quest'ora dovrei averlo imparato.
Possiedi quella maledetta capacità di leggermi l'anima. Di sentire i miei pensieri.
Mi avvicino al cassetto, lo apro di scatto.
Una fila di pacchetti spiegazzati fa bella mostra di sé sul legno invecchiato dall'umidità.
Ne afferro uno. Lo apro.
La gestualità riesce da sola a calmarmi i nervi.
Estraggo una sigaretta, la accendo con un colpo di bacchetta. Ne do una lunga boccata.
Il fumo si libra nell'aria, addolcendo i contorni di un sotterraneo illuminato dal fuoco.
«Perché le hai tenute? Non è da te...»
Lo dico guardandoti negli occhi.
Forse è la domanda più giusta per farti definitivamente scappare.
«Molte cose non sono da me, da un po' di tempo a questa parte.» lo dici freddo, ma lo fai guardandomi negli occhi.
Sorrido.
Forse sorridi anche tu, ma io non ho il coraggio di guardarti.
Ho così paura di capire che è solo una frase che ho immaginato uscire dalla tua bocca.
Che non l'hai mai detta veramente.
Un'altra boccata.
«Mi hai sempre detto che detesti l'odore delle mie pessime sigarette.»
«Lo detesto, infatti.»
Rido. Questa volta ti guardo.
No, tu non ridi. Ma mi osservi come se volessi inchiodarmi alla libreria, senza più permettermi di scappare.
Forse è questo tutto quello che potrò mai ottenere da te. Uno sguardo capace di farmi capire che no, non credi che io sia solo una ragazzina insopportabile, diventata insegnante troppo presto.
Che in fondo la mia presenza chiassosa nel tuo sotterraneo gelato non ti riserva solo fastidio.
Che forse quel bacio che ti ho dato senza permettermi di pensare non è stato un errore grande come credevo che fosse.
«Perché le hai tenute?» lo chiedo ancora. «Hai eliminato con stizza qualsiasi mia dimenticanza, nascondendo a stento la soddisfazione di cogliermi in una ricerca affannosa. La soddisfazione di vedermi imprecare tra i denti...»
Continui a guardarmi.
Vedo il fastidio per una domanda scomoda sedimentarsi sotto le tue palpebre, lasciate scendere per un istante a coprirti le iridi nere.
«Hai intenzione di arrenderti o pensi di continuare a molestarmi con domande inutili?» lo chiedi freddo, cercando di farmi paura.
Hai smesso di farmi paura, Severus.
Ed è il caso che tu te ne renda conto una volta per tutte.
Mi ecciti, mi affascini, rubi ogni spazio lasciato libero dai pensieri a cui mi costringo per provare a vivere senza averti.
Ma non mi fai paura. Purtroppo non più.
Perché se così fosse potrei ancora trovare la forza di scappare e di concedermi una vita libera dall'ossessione della tua assenza.
E invece sono qui. E cerco di farti parlare.
Cerco di farti confessare quel sentimento che ho visto di sfuggita, mentre si nascondeva tra frasi sarcastiche e occhiate gelide.
«Perché le hai tenute? Pensi di dirmelo prima o poi?»
«Ovviamente no.»
«Sei disposto a sopportare il mio interrogatorio ancora per molto?»
«Ovviamente no.»
Faccio un passo. Mi avvicino sorridendoti maliziosa.
Tu resti immobile. Mi guardi come mi stai guardando da quasi mezz'ora.
Ti raggiungo.
Mi chino verso di te. Avvicino le labbra al tuo volto, sentendo il calore del tuo respiro.
«Perché le hai tenute? Rispondimi!»
«No.»
Mi guardi, restando in silenzio.
Proprio come hai sempre fatto. Come forse farai per sempre.
Aspiro una nuova boccata. Ti sono talmente vicina da temere di bruciarti la pelle con il poco di sigaretta che mi resta tra le dita.
Ti soffio il fumo in faccia senza pensarci.
Le tue mani si muovono velocemente.
Mi afferri le braccia. Mi tiri sulla poltrona.
Il mio corpo si abbandona sul tuo, tramortito dal tuo gesto inaspettato.
Mi baci.
Dischiudi la bocca cercando la mia.
Le tue mani si stringono sulle mie spalle. Il tuo respiro si fa affannoso.
Ti allontani. Tieni gli occhi chiusi. Appoggi la fronte sulla mia.
«Perché le hai tenute?»
Sospiri.
«Se ti dico che l'ho fatto per sentire l'odore della tua bocca, stai zitta per cinque minuti?»
«Se mi dici che lo hai fatto per sentire l'odore della mia bocca, posso anche pensare di stare zitta per sempre, professor Piton!»

Un attimo prima di arrendersiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora