3. L'albero di Aegini

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Si sedettero tutti attorno al fuoco, in modo da potersi guardare bene negli occhi e potessero onorare la loro più bella tradizione. Ogni sera Traist raccontava una o due storie ai suoi allievi, in modo tale che potessero conoscerlo meglio e capire di più gli Dei, loro progenitori.
«Come ben sapete» incominciò Traist «Gli Dei sono molteplici, con personalità differenti e talvolta contrastanti. Non tutti vanno d'accordo, e non sempre, ma...»
C'era un tempo, prima che il loro occhio venisse attirato da questo piccolo astro, in cui essi amavano divertirsi creando e distruggendo, in modo tale da sperimentare il loro potere. Innumerevoli civiltà ogni giorno venivano create e altrettante venivano distrutte.
Un guerriero rappresentava il loro orgoglio: paladino di giustizia, corretto e nobile sotto ogni aspetto, egli sapeva renderli desiderosi di tenerlo in vita dandogli nuovi nemici da distruggere e compagni da salvare. Nell'ultimo giorno della propria vita vide realizzarsi il più grande desiderio che avesse mai espresso verso i Celesti. Lui non voleva fama, che già aveva, non desiderava l'amore, che lui nutriva solo verso i suoi Dei, e non bramava la vita, che aveva votato agli altri e a coloro che amava.
Quel giorno si trovò appena sveglio, di fronte alla statua di Noigdaae, in posizione di preghiera
«Mio signore» cominciò «Cavalcatore del tempo, mi trovo oggi dinnanzi alla vostra magnificenza, per chiedervi di essermi messaggero verso tutti i Celesti e vostri fratelli. Cedetemi l'onore di essere portatore di immensa ed infinita pace verso i miei di fratelli e sorelle.» la sua voce era rotta da un pianto colmo di disperazione e ammirazione. «Vi chiedo di fare in modo che le mie gesta rendano felice e prospero il mio amato popolo, e che tutti coloro che vogliono distruggerlo si rendano conto che niente può sconfiggervi, e che il vostro volere è assoluto ed innegabile.» il suo volto era corrucciato, con una smorfia di disperazione presente negli occhi chiusi, il suo animo rivolto a coloro che lo stavano ascoltando. «Vi prego ascoltate...»
Mentre parlava una luce aveva iniziato ad illuminare l'interno del tempio di Noigdaae, ma lui ancora non se ne era reso conto. Lentamente Aerynija stava comparendo alle spalle di quel glorioso guerriero, ignaro della mistica presenza. La Dea avanzò verso il mortale, con aria radiante e una luce immensa che le pervadeva lo snello corpo divino. Allungò la mano verso la spalla del guerriero, e questi smise di parlare all'istante. Non si guardò intorno ma si alzò in piedi e si girò in direzione della presenza magica alle sue spalle. La Dea era alta un capo più di lui, e ciò le conferiva un aspetto ancor più regale e onnipotente. Ella avvicinò il viso a quello del giovane, e gli stampò un bacio sulle labbra. Egli non lo percepì, ma il suo destino era appena stato cambiato, secondo la sua richiesta e secondo il volere della Celeste di fronte a lui.
La Dea si staccò e come era apparsa se ne andò.
Traist fece una breve pausa. Bevve un sorso di idromele e poi ricominciò la narrazione.
L'uomo riempì i suoi polmoni di aria nuova e rinnovata. Poi prese la via del ritorno. Scese le scale del tempio, e attraversò le porte del villaggio.
Non fece in tempo ad imboccare la strada di casa sua che il generale delle forze del villaggio gli si parò dinnanzi. «Ti chiedo di perdonarmi, mio signore, ma devo informarti che le milizie nere...»
Il guerriero alzò la testa verso il cielo e osservò le nuvole. Poi lo scorse. Il grigio fumo che accompagnava sempre i suoi nemici. «Grazie mille generale. Procedi come sempre e riforma le linee di difesa.»
«Signorsì, signore.» il generale così si congedò e corse verso la tenda di comando dove gli ufficiali aspettavano con ansia.
Solo allora il nostro protagonista si mosse, estraendo la sua spada. Di manifattura reale, con un simbolo al centro della lama. Il pomello era di un colore viola intenso, mentre la guardia era quasi completamente assente. L'elsa era di metallo, senza nessun effige o scanalatura. L'intera arma era di un nero opaco, rappresentante della morte imminente di qualunque nemico si fosse trovata dinnanzi.
Egli si mise a correre verso il confine opposto del villaggio, dove erano situate delle buche con all'interno dell'olio, da infuocare al momento opportuno. Saltò con un formidabile balzo l'intera trincea, come anche il piccolo muretto appena dopo i buchi. Si mise a camminare verso la linea del fronte nemico.
Nessun uccello volava. Erano tutti appollaiati al limitare della prateria dove sorgeva il villaggio, in attesa che egli compisse il suo destino. Il cielo era azzurro, tinto di un tenue color grigio portatore del nemico e della sventura. Il vento non soffiava, simbolo che lo sguardo divino era rivolto verso quella scena tanto attesa. Nessun suono si percepiva nell'aria, neppure lo scorrere del tempo era minimamente percepibile. Il color giallo dei sassi di cui era composta la ghiaia della prateria, rifletteva la luce del sole, indirizzandola verso il corpo dell'eroe solitario.
Con l'arrivo del primo corvo, si iniziò a sentire anche il leggero ed impercettibile sferragliare delle armature dei soldati nemici. Armature fatte di bronzo tinto di nero, così create al solo scopo di incutere paura nei loro nemici.
Egli alzò la sua arma. Il piccolo trotto dei soldati del villaggio partì solo in quel momento. Anche gli avversari iniziarono la loro carica, con il solo scopo di annientare quel singolo mortale.
Egli caricò un fendente, chiudendo gli occhi. I soldati amici si disposero a imbuto, facendo sì che i nemici centrali dovessero per forza indirizzarsi verso di lui. Un leggero urlo di battaglia iniziò a sentirsi nell'aria, simbolo della forza bruta che gli avversari stavano mettendo nella loro carica. Anche gli uomini con gli stendardi partirono in corsa verso di lui, convinti della loro forza e della loro potenza.
Lui aprì gli occhi e li rivolse al cielo, dove una nuvola si era formata attorno al sole impedendogli di scorgersi per vedere la scena. I nemici correvano velocemente, senza dare la minima sensazione di volersi arrestare o rallentare.
Erano ad appena poche braccia da lui, quando una luce dorata illuminò la sua figura, interrompendo così l'avanzata nemica.
Verrebbe da ipotizzare che i nemici si sarebbero arresi, ma vi sbagliereste come non mai.
La luce scomparve, dando il permesso ai nemici di continuare il loro attacco. Purtroppo per loro, il guerriero protagonista di questa storia, era rimasto in posizione di attacco per tutto il tempo. Lanciò il primo fendente verso il nemico che aveva di fronte.
Una luce scaturì dalla lama nera, andando ad inondare l'avversario volatilizzandolo all'istante. Caricò, poi fendette di nuovo. Stavolta prese tre dei suoi nemici, che, sbigottiti dall'accaduto, erano rimasti a bocca aperta. Lui però non si prese nessuna pausa e caricò di nuovo, fino a quando il nemico successivo non si trovò a tiro. Poi fendette di nuovo. Uccise molti più guerrieri di prima. Poi ricaricò, aspettando più tempo. Fendette di nuovo, uccidendo quasi trenta nemici con un solo colpo di spada.
Man mano che i suoi colpi partivano, per terra andava formandosi un albero enorme, fatto di luce di un bianco puro.
I suoi colpi andavano a ripetizione.: fendeva, caricava fino all'arrivo del successivo nemico, fendeva di nuovo uccidendo quasi il doppio dei nemici. L'albero a terra era sempre più grande. E s'ingigantiva ad ogni nuovo colpo di spada che egli dava. Era un albero senza rami né foglie. Aveva solo un tronco, e benché fosse fatto di luce, non emanava altro che tristezza e solitudine.
L'avanzata nemica si fermò. Fu allora che il suo popolo urlò all'unisono: "Aegini". Aegini partì, caricato dell'energia dei suoi uomini che avevano riposto la loro fiducia in lui soltanto. Percorse una miriade di strada, un vuoto causato dal suo ultimo attacco. Caricò la sua spada e saltò, tagliando a metà la testa del suo avversario. Dai piedi di quest'ultimo partì un raggio di luce a completare l'albero. Una quercia, con una fronda enorme. Tutti coloro che si trovarono sopra alla quercia vennero uccisi.
Sul campo di battaglia rimanevano quasi solamente i soldati del villaggio, e questo albero inciso per terra.
«Aegini si accasciò a terra divenendo un tutt'uno con l'albero, andando a formare un singolo nodo al limitare del tronco.»
Il crepitio del fuoco accompagnò quest'ultima frase di Traist, fungendo da cornice come se fosse stato un bellissimo quadro.
Tutti i giovani erano seduti in cerchio attorno al loro maestro, come se stessero aspettando che una luce divina lo illuminasse come aveva fatto con la Dea del suo racconto.
Lui elogiava spesso gli Dei nei suoi racconti, esaltando le loro imprese rendendole più belle e avvincenti di quanto già non fossero di loro. Il primo a tornare in sé fu Traist, che si schiarì la voce a significare che non avrebbe più detto una sola parola sulla storia appena finita di raccontare.

Si alzarono tutti simultaneamente, come se avessero una sola mente collettiva ad unirli. «Sarà meglio che ci muoviamo, cosicché possiamo percorrere più strada possibile prima del levarsi del Sole.» Il vecchio si abbassò il cappuccio mostrando il volto e sistemandosi i lunghi capelli lisci sulle spalle. Anche Kahlst si abbassò il cappuccio, mentre Eost e Dest se li sistemarono bene a coprire la testa.
Quest'ultimo era l'unico a non avere i capelli lisci, sfoggiava invece una chioma mossa e relativamente corta. «Sarà meglio di si, Maestro» Si sistemò il mantello sulla schiena, a coprire lo spadone a lama larga e lo scudo situati il primo sotto al secondo. «Vogliamo portarci anche l'ultima coscia di cervo, o sarebbe meglio lasciarla a qualche predatore?»
«Lasciamola pure qui, tanto non avremo bisogno di cibo per un altro po' di tempo» rispose prontamente Eost.
«Lasciamola qui» sentenziò Kahlst.
Traist sorrise ma non disse nulla, lasciando quella piccola decisione al suo gruppo di allievi, che non avevano preso in considerazione la sua opinione.
Si lasciarono il campo alle spalle, spargendo le ceneri del fuoco ancora calde sul terreno bruciato. Si mossero quindi all'unisono come un sol corpo. Kahlst a fianco di Est, la portatrice della mappa (futile data l'esperienza che aveva il loro maestro della zona), mentre Traist e Dest fungevano da "retroguardia" del gruppo.

Le Cronache dei Cavalieri di YaelngonhDove le storie prendono vita. Scoprilo ora