NICOLÒ WC - CAPITOLO I: Un vagone di feci

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L'essere umano è, per sua natura, costretto e costipato da desideri primordiali e segreti inconfessabili. I desideri e i segreti del nostro protagonista, che chiameremo Nicolò WC, sono questi. E non sono gli unici.




Nicolò WC è un ventisettenne di pelle scura, di media statura, amante della musica pop e del membro maschile. Per farla breve, il classico gay romagnolo trasferitosi a Milano in cerca di fortuna. La sua vita si snoda tra aperitivi mondani con amici effemminati e fortuite scopate occasionali con uomini trovati in note app di incontri. Il suo viaggio, il sottile filo marrone che lo ha condotto alla scoperta di se stesso, è cominciato proprio in una tiepida giornata primaverile alla stazione di Milano Centrale.


Dopo aver chiesto un permesso al lavoro in modo da poter raggiungere i parenti in Romagna, Nicolò WC si stava affannando per fare il biglietto alle macchinette, sperando così di poter arrivare alla carrozza per tempo. Il suo treno era già stato annunciato al binario designato, la partenza era imminente. In quel momento di foga Nicolò fece cadere il suo portafoglio e, mentre si chinava per raccoglierlo notò, a pochi metri di distanza, un ragazzo prestante che lo fissava: alto, maglietta bianca attillata che ne evidenziava gli addominali, nonché quelli che sembravano dei turgidi capezzoli piantati su pettorali scolpiti. "Vorrei proprio leccargli le palle", pensò Nicolò in un lampo di eccitazione che gli gonfiò brevemente il cavallo dei jeans strappati. Nicolò dovette scacciare quella visione peccaminosa e si precipitò, correndo, al binario. Quello che non sapeva è che in stazione non aveva solo abbandonato una fantasia erotica ma, con la caduta del portafogli, anche un biglietto da cinquanta euro, ossia gli unici soldi di cui disponeva.
Trafelato, Nicolò WC si accomodò sulla poltroncina del treno, si infilò le cuffie nelle orecchie e fece partire una playlist compilata svogliatamente la sera prima. Nel bel mezzo di una canzone romantica, Nicolò notò che il muscoloso sconosciuto di alcuni minuti prima era seduto pochi posti più in là, e fissava con aria assorta il finestrino che dava sulle imponenti volte d'acciaio della stazione. Nicolò si domandò come mai il bel ragazzo non lo guardasse più. Il treno cominciò la sua corsa.


Si assopì. Svegliatosi di soprassalto, pensò di aver perso la sua fermata, per poi rendersi conto, guardando l'orologio, di non essere neanche a metà tragitto. Ma non fu l'unica sorpresa. Provò un turbamento profondo alla vista di quel dio greco materializzatosi alla stazione, ora seduto proprio di fianco a lui. Perché si era spostato? Seppe subito, in quel preciso istante, che avrebbe dovuto fare di tutto per conquistarlo, e al diavolo tutto il resto! I suoi parenti avrebbero potuto attendere. C'è da dire che il nostro ha sempre avuto le idee chiare su quali fossero le priorità nella vita.

- Che cazz' t' guard'? - chiese lo sconosciuto con un forte accento napoletano.

Nicolò fece per chiedere scusa, ma non potè trattenersi dal mordersi il labbro inferiore alla sensazione del gonfio bicipite che premeva contro di lui.
- No, niente, avevo notato i tuoi muscoli. -, fece Nicolò con un'insolita sfrontatezza.
- Che femmenella che sei. Scommetto che sei una passiva arrapata di cazzo.
- Ma cosa dici!
- Sì proprio na femmenella.
Dopo questo breve scambio di battute, Nicolò si sentiva confuso. Era davvero una "femmenella"? Non ne aveva idea. Ma era arrapato di cazzo, questo sì. E voleva il suo.

- Lo sai come mi chiamano a me? Peppe 'o cricco, perché alzo le macchine con la spalla accussì 'e cumpagne miei possono arrubbare le ruote.

"Dunque è così che ti chiami", pensò Nicolò WC, assaporandone con le labbra ogni lettera del nome: P - E - P - P - E. Sentì un formicolio familiare al basso ventre, un ricordo più intenso di quanto era già capitato in stazione alla vista del bel fusto, ora a disposizione a pochi centimetri. In quel momento, sperò che in bocca non gli sarebbe rimasto solo il nome di Peppe. Ma Nicolò otterrà, come vedremo, molto di più.

- Ma stai sulo a guardà? Me pare nu cazz' all'erta. Senti, com'è che ti chiami?
- Nicolò.
- Che nome da puttana. A Milano avete tutti nomi da puttane. Ieri mi sono fatto una troia barbuta che si chiamava Alex. L'altro ieri una che si fa chiamare Brooke e si mette i tacchi. Dopo l'hanno picchiata in metro. Ma stai sempre a guardare? Dai, fai una cosa utile. Vieni al cesso che mi fai un pompino.

Giunti al bagno, chiusero la serratura della porta che ruotò dal verde, libero, al rosso, occupato. Anche Nicolò vedeva rosso, ed era altrettanto occupato a tirare giù la zip dei pantaloni di Peppe. Infilò una mano nella fessura e, con bramosa cautela, estrasse un cazzetto che, anche se ancora flaccido, era di modeste dimensioni. "Shock, ma è piccolo! Comunque meglio di niente", pensò Nicolò WC, infilandosi il pisellino di Peppe in bocca per lavorarlo voracemente a suon di labbra. Nonostante le arti orali per cui Nicolò era noto, non c'era verso di far diventar duro Peppe, e non avrebbe potuto donargli, così pompando, le generose schizzate di cui era ghiotto. Invece, Peppe gli afferrò la testa e lo spinse via. La forza esercitata fu tale che la testa di Nicolò sbattè contro la porta del bagno.

- Eh, vabbuò, non mi si arrizza. Stamattina aggio pigliato troppo nandrolone per gonfiare il petto.
Scavalcato Nicolò, Peppe uscì dal bagno, lasciandolo così riverso sul pavimento e con le labbra tumide. Una volta rialzato, si guardò allo specchio: una lacrima gli solcava il viso. Si fece un selfie che pubblicò in una Instagram story con la didascalia "Nessuno mi amerà mai". Pochi secondi dopo, alcune amicizie milanesi gli scrissero cose che si possono riassumere con "Tutto bene, amo?". Ai numerosi messaggi, Nicolò WC rispose che veniva sempre deluso, ovvero la solita costante della sua vita. La tristezza, tuttavia, durò poco, e per due motivi. Il primo motivo è che Nicolò, abituato ad essere trattato come un fazzoletto usato e pieno di sperma, si consolò pensando che chi sopravvive al cazzo di oggi può sempre rifarsi con il cazzo di domani. Il secondo motivo è che il treno fece una brusca frenata, e Nicolò perse l'equilibrio finendo con la faccia dritta nel water. I bagni dei treni, si sa, non sono mai troppo puliti. Quello non faceva eccezione: l'acqua era giallastra e mischiata a residui di urina piuttosto odorosa. Spostandosi dalla bocca del cesso, Nicolò WC fece un'espressione disgustata. Un breve pensiero affiorò, insinuando nella sua coscienza che quell'odore non gli dispiaceva poi così tanto. Nicolò si scrollò quell'idea dalla testa, così come tanti altri prima di lui avevano fatto con il loro cazzo davanti a quel gabinetto.


Il treno era fermo da ormai un'ora. Nicolò, ritornato al suo posto, lanciava occhiate furtive a Peppe, che lo ignorava rivolgendo tutta la sua attenzione al cellulare. Nicolò cominciò a sentire dei forti crampi allo stomaco dovuti al bisogno di cibo, d'altronde era da quella mattina che non mangiava nulla. "Se solo Peppe mi avesse sborrato in gola" sospirò Nicolò WC nel turbine dei suoi pensieri "ora non sarei così affamato". Così si decise a fare un giro per il treno alla ricerca di cibo.

Camminando per i vagoni, si accorse che il treno era poco affollato e occupato quasi esclusivamente da uomini. L'unica eccezione era una grassissima signora bionda che sgranocchiava grissini. I morsi della fame si fecero più intensi. Alla fine, trovò un inserviente che trasportava il carrello con il cibo. Era piuttosto carino: magro, slanciato, labbra carnose e di chiare origini nordafricane. 

- Vorrei un sandwich con la mortadella.

- Due euro, grazie.

Nicolò estrasse il portafogli e, quando lo aprì per consegnare i soldi all'inserviente, sia accorse di essere senza soldi. Era disperato. Dove potevano essere finiti? Li aveva, forse, scordati a casa? Non era possibile. Li aveva sicuramente persi in stazione, quando gli era caduto il portafogli e aveva visto Peppe per la prima volta. Al pensiero di Peppe, il suo cuore e il suo cazzo fecero un sobbalzo. Ma lo stomaco aveva la precedenza: avrebbe mangiato qualsiasi cosa.

- Non ho soldi, la posso pagare appena scendo dal treno...

- Non se ne parla!

- Dai, le faccio un pompino top. Sono bravo a succhiare! La prego!

- Schifoso frocio! -, urlò l'inserviente marocchino mollandogli un pugno in faccia.

Reggendosi il lato della faccia dolorante, Nicolò WC si avviò sconsolato verso il suo vagone. Nonostante l'aggressione subita lo avesse turbato, il suo scopo più urgente era quello di cibarsi. Se il treno fosse rimasto fermo ancora a lungo, cosa assai probabile dal momento che il capotreno non si era degnato di fare neanche un annuncio, sarebbe sicuramente morto di fame. Così, avviandosi verso il suo vagone, iniziò a chiedere ai vari passeggeri di offrirgli del cibo. Tutti si rifiutarono, forse per reale mancanza di roba commestibile, o forse perché lo avevano scambiato per un mendicante. Nicolò si ricordò della corpulenta signora che mangiava i grissini. Giunto davanti a lei, le chiese se potesse gentilmente dargliene almeno uno.

- Mi dispiace, questo è il mio ultimo grissino all'aglio... -, disse la grassona mentre sgranocchiava, con un tono che poteva essere sia sincero che sarcastico.


Sconsolato, tornò al suo posto. Peppe sembrava più interessato alle necessità di Nicolò WC, tanto da rivolgergli più di uno sguardo.

- Peppe, aiutami, ho fame!

- No, ho già mangiato dieci uova strapazzate prima di salire in treno. Anzi, adesso secondo me stanno facendo effetto perché sento lo stimolo di andare a cacare al cesso.
- Devo mangiare, non ce la faccio più!

Peppe sembrava piuttosto spazientito dal comportamento di Nicolò. Solo una femmenella non sarebbe stata in grado di dominare la fame. Un vero uomo, invece...

- Mo m' 'e rutt' 'o cazz'. Miettete 'nderra! -, ordinò Peppe.
E Nicolò WC fece quanto richiesto, stendendosi supino nel corridoio del vagone. Peppe montò a cavalcioni sul corpo di Nicolò, facendo ben attenzione nel posizionarsi all'altezza della sua faccia. Dopodiché si slacciò i pantaloni, rivelando delle natiche sode e scolpite da anni di squat. Nicolò aprì le chiappe di Peppe, rivelandone il buco accuratamente depilato, e cominciò a leccarlo e a succhiarlo come se la sua bocca fosse una ventosa. A onor del vero, da bravo passivo, la pratica denominata rimming ha sempre preferito riceverla che farla. Ma il motto di Nicolò WC, come si è visto, è sempre quello: meglio di niente. A quel punto, Peppe mollò una potente scoreggia direttamente nella bocca di Nicolò, che risuonò sulla sua lingua con un rumore sordo, talmente forte che gli gonfiò le guance. Nicolò WC fu preso alla sprovvista. Era davvero quello che voleva? Era pronto per quello che stava per succedere? Era un gabinetto umano? La risposta è sì.
L'ano di Peppe cominciò a dilatarsi, rivelando un grosso, duro e scuro stronzo marrone. L'ironia della sorte fu che questo era persino più grosso del suo cazzo. La merda di Peppe si infilò direttamente tra le labbra di Nicolò, che cominciò a pomparla come se fosse un bel cazzo nigeriano. Peppe controllava sapientemente lo stimolo, facendo fare al suo escremento un su e giù dal buco del culo alla bocca vorace di Nicolò, permettendogli così di succhiare. Mentre faceva ciò, Peppe non riuscì a non pisciare, tanto che il suo piccolo pene cominciò a zampillare urina che finì per inzuppare i jeans strappati di Nicolò, per poi spargersi in rivoli che si affacciavano dai buchi dei jeans strappati. Dopo diversi minuti di questo perverso pompino, Peppe non riuscì più a trattenere la merda dentro al suo corpo, finendo per depositarla nella sua interezza all'interno della gola di Nicolò WC. Quest'ultimo la mandò giù tutta in un colpo, ma non si sentiva ancora sazio. Un mangiamerda era nato.


Peppe si allacciò i pantaloni. Nicolò cominciò a notare che intorno a loro si era radunata una piccola folla composta da una decina di passeggeri. La loro reazione, però, non era inorridita. Tutt'altro. Questi uomini, per lo più di mezza età, si toccavano il pacco oppure, con il cazzo già fuori, si masturbavano ferocemente alla vista del giovane coprofago. Fu Peppe a prendere in mano la situazione e a dirigere i giochi.

- Jamm' bell', venite accà. Nce nnè pe' tutte quante! Questa zoccola tiene proprio fame. Uno alla volta, però!

E così fecero. A turno, si svestivano e si accovacciavano su Nicolò WC, non tutti necessariamente sulla faccia (ma molti sì), e si dedicavano a depositargli addosso stronzi di varia consistenza. Nicolò era diventato come un campo arato nel periodo della concimazione. Ormai interamente ricoperto di merda, Nicolò si accorse di essersi eccitato. Zuppo di feci e pisciate, estrasse dai suoi jeans il cazzo duro e cominciò a masturbarsi, sporcandosi il pene di grumi escrementizi.

A un certo punto, sopraggiunse anche l'inserviente nordafricano, che osservò dall'alto il viso di Nicolò, ormai ridotto a una maschera di merda. 

- Ah, se me lo dicevi subito ti avrei accontentato. Per il cibo si paga, ma la merda è gratis!

Fu così che l'inserviente, dall'alto del suo culo, fece cadere un pesante stronzo dall'odore forte e speziato. Questo atterrò sulla fronte di Nicolò come uno schiaffo, e finì per colargli sugli occhi e su parte del volto, rendendolo ancora più difficile da riconoscere come essere umano (ma non come latrina).


Turbata dall'insolito via vai all'interno del treno, la signora bionda e sovrappeso si domandò cosa stesse succedendo. Così seguì la corrente in senso contrario per risalire alla fonte di quel caos, come un salmone obeso che sfidava le rapide di un fiume. Man mano che si avvicinava al punto zero del misfatto, la donna avvertiva sempre più distintamente un forte odore di cloaca. Con sua grande sorpresa, trovò Nicolò WC disteso in mezzo al vagone, interamente ricoperto di feci umane ma impegnato a riceverne ancora. In mano reggeva il pene duro, dritto come una candelina su una torta al cioccolato. La pancia della signora cominciò a gorgogliare.

- Mi sento male! -, gridò la cicciona, e si mise a correre verso Nicolò WC che, preso dalla frenesia merdosa, non si accorse di nulla.

I passeggeri si spostarono lanciandosi lestamente sui sedili, facendole strada, pensando che la signora dovesse raggiungere il bagno per vomitare. Invece, rallentò nei pressi del corpo disteso, sporco e maleodorante di Nicolò. Quindi si sollevò le sottane e scaricò diversi fiotti di diarrea sul volto del ragazzo, la cui potenza si poteva misurare con la virulenza degli schizzi che colpivano ripetutamente i lati della faccia.
- Lo sapevo di non dover mangiare quei grissini all'aglio -, affermò sollevata la corpulenta, - mi fanno sempre male alla pancia!


Quando tutto sembrava finito, in un momento di silenzio imbarazzato che accomuna tutti i peccatori dopo aver commesso una trasgressione, si presentò il capotreno. Era un uomo baffuto, con striature di grigio che si presentavano sia nella folta peluria sopra il labbro che sulle tempie. Alla vista di quello scempio, di quel ragazzo utilizzato come gabinetto vivente, che era poi la vera essenza di Nicolò WC, trattenne a stento i conati di vomito.

- O mio Dio! Qui cagano! -, esclamò il capotreno portandosi il fischietto alle labbra in modo da richiamare i colleghi.

Nicolò, Peppe e i passeggeri erano terrorizzati. Sapevano che se la notizia fosse trapelata, non solo sarebbero finiti in galera, ma avrebbero anche avuto un posto d'onore nei più squallidi tabloid della penisola.

Invece, l'anziano capotreno esitò. Si fece strada attraverso il corridoio, facendo attenzione a non scivolare sui liquami che si erano sviluppati in estuari marroni e gialli, colando per tutto il vagone. Avvicinatosi a Nicolò con fare paterno, con quell'aura salvifica da dolce nonnetto che lo contraddistingueva, il capotreno si fece prendere dalla corruzione. Sbottonatosi i pantaloni della divisa, defecò rumorosamente e a singhiozzo, in piccole dosi di merda miste ad aria, sul corpo di Nicolò, ormai vibrante dagli ultimi spasmi di piacere. Il cazzo di Nicolò cominciò a schizzare tra gli ansimi e i gemiti del ragazzo, e la sua sborra descrisse un arco a partire dalla punta del pene per frantumarsi, in altri schizzi, sul corpo smerdato. Lo sperma di Nicolò WC, ora, si depositava in piccole pozze nelle conche fecali disseminate ovunque sulla sua persona. 


- È giunta l'ora della pisciata addosso finale a questa troia! -, sentenziò il vegliardo capotreno girandosi e puntando il pene semi eretto, di dimensioni decisamente sopra alla media, verso la faccia di Nicolò.
Cominciò a pisciare, lavando con un getto caldo gli occhi di Nicolò, che fino a quel momento facevano fatica a restare aperti a causa del peso della merda degli altri. Con l'aiuto del getto di piscia e delle sue stesse mani, Nicolò WC si liberò parte del volto, che rimaneva comunque parecchio impastato di vari escrementi. Aprendo gli occhi, vide un mondo nuovo in cui poteva finalmente esistere come il gabinetto umano che era sempre stato, ma che solo quel giorno, grazie all'aiuto dei tanti amici incontrati sul treno, aveva scoperto di essere.


È una verità universalmente riconosciuta che un coprofago provvisto di un considerevole gabinetto debba essere in cerca di merda.


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