Capitolo 3

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Sul pullman, la mattina, continuavo a pensare al cappottone che mi ero preso. Arrivati a Locorotondo, tutti stavano facendo sedere le persone che salivano e presto anch'io dovetti liberare il sedile accanto al mio dallo zaino: una ragazza mi aveva chiesto di sedersi. Era carina, anche se mi vergognavo a guardarla. Succedeva spesso: c'erano molte ragazze carine che prendevano il nostro pullman. Era un po' una consolazione dal momento che nella mia classe c'erano solo maschi. Speravo solo che un giorno sarei riuscito a fare amicizia con qualcuna di loro. Speravo solo che un giorno me lo sarei meritato.

A scuola avevo cambiato posto: il mio nuovo compagno di banco si chiamava Antonio. Le giornate in sua compagnia erano uno spasso. Davanti a noi sedevano due ragazzi di Alberobello. Ero finito in una gabbia di matti. Uno di loro si chiamava Fabio e con lui parlavo più spesso. Era un tipo alto e magro, col fisico sportivo e la voce un po' più profonda della nostra. Un po' lo invidiavo per il suo aspetto, ma mi era davvero simpatico: diventammo subito amici. In effetti lui sembrava l'unico con un po' di sale in zucca là dietro.

Uscito da scuola, ero sul pullman per tornare a casa, pensando a quanto mi stessi divertendo con i miei compagni. In effetti tutti ci divertivamo: eravamo solo maschi. Forse non era poi una vera e propria disgrazia.

‹‹, bello!›› sentii qualcuno gridare.

‹‹Coso... come cazzo ti chiami...›› continuò un'altra voce.

Erano i ragazzi di dietro. Voltandomi vidi che ce l'avevano proprio con me.

‹‹Ce le hai le carte?›› mi chiese Piero dal centro dell'ultima fila.

Feci di sì con la testa, anche se ero sicuro che mi stessero facendo uno scherzo stupido. Probabilmente ce l'avevano ancora con me.

‹‹E vieni a giocare, scia'›› disse un altro di loro, mentre gli altri mi liberavano un posto in penultima fila e Piero si metteva la borsa sulle cosce, pronta per essere usata come tavolo da gioco. Forse non c'era niente sotto. Mi alzai e mi andai a sedere con loro. Probabilmente non stavo simpatico a nessuno di loro, ma evidentemente avevano dimenticato le carte a casa e avevano bisogno delle mie. Tuttavia, avrei avuto un'altra occasione per mostrar loro che ero un tipo tosto.

‹‹Neh, mischia tu›› disse Piero al ragazzo seduto accanto a lui.

Lo avevo quasi di fronte. Aveva i capelli liscissimi, come se fossero stati appena leccati da una vacca. Mi guardava da dietro gli occhiali da sole e sorrideva, masticando rumorosamente una gomma mentre mischiava le carte.

‹‹Come ti chiami?›› mi chiese.

‹‹Aldo››.

‹‹Beh Aldo, io sono Andrea››.

Piero tolse il cellulare e se lo mise in tasca.

‹‹Oggi siccome manca l'altro ragazzo giochi tu al posto suo. Siamo io e te contro Piero e Cofano›› continuò.

‹‹Ma almeno sai come si gioca in quattro a Briscola?›› mi chiese Piero.

In quel momento mi resi conto che non avevo mai giocato in coppia. Cosa dovevo fare? Dovevo dirglielo o mentire? Non volevo perdere tutto proprio quando ero così vicino.

‹‹Deve imparare›› disse Cofano con aria tranquillizzante.

Piero annuì con un'espressione di indifferenza. Alzato il mazzo, Andrea iniziò a distribuire le carte. Non ci misi molto a capire come funzionava. Mentre giocavamo ero concentrato al massimo.

‹‹Hai visto? Sta imparando il ragazzo!›› gridò Andrea, accanendosi contro Piero.

‹‹Meh, che sette punti avete fatto...›› rispose lui.

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