Capitolo 10

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Dopo la Festa della Madonna iniziammo ad uscire a Torre Canne e Savelletri. Il mare a pochi passi attirava lì tutta la gente d'estate. Io e Gian eravamo appena arrivati a Savelletri e stavamo raggiungendo gli altri.

‹‹Ah, lo sai con chi mi sto sentendo?›› mi chiese lui mentre camminavamo.

‹‹Con chi?››.

‹‹Indovina›› rispose con uno strano sorriso.

‹‹Che ne so?! Francesca?››.

Scosse la testa, continuando a sorridere in modo malizioso. Forse avevo capito. Poteva essere?

‹‹Ti stai sentendo con Simona?›› chiesi incredulo.

Annuì con la testa, continuando a sorridere. Non ci credevo.

‹‹All'inizio non sembrava una cosa seria›› continuò.

‹‹Io sapevo che le piaceva un altro››.

‹‹Sì, me lo disse pure a me tempo fa, però mo non lo so cos'è successo››.

Sembrava sincero, ma fui comunque costretto a nascondere la mia delusione mentre mi raccontava di loro due. Avrebbe potuto essere la mia ragazza, e invece adesso se la faceva con uno dei miei migliori amici. Meritavo davvero tutto ciò?

Dopo mangiato Gianluca, che abitava a Savelletri, ci portò ai prati. Non c'ero mai stato di notte, ma realizzai subito che era un bel posto per passare la serata: una distesa d'erba su cui ci si poteva sdraiare, con la sola luce della luna. Sentendo tutti ridere, mi accorsi che alcuni di noi si stavano togliendo la maglietta e persino i pantaloni, così, dal nulla, solo per fare gli stupidi. Non riuscii a resistere e mi unii anch'io a loro. Mi divertivo davvero un mondo con i miei amici. Eppure, una voce in me mi diceva che non dovevo lasciarmi influenzare più di tanto: dovevo fare meno lo stupido e più il maturo.

Eravamo tutti un po' indietro nella corsa. Ero tra gente del mio stesso livello, gente come me. In un certo senso mi sentivo a casa. Ma mentre io ambivo ad alzare il mio livello per raggiungere tutti gli altri, a loro sembrava non fregare niente. Forse rispetto a loro avevo una marcia in più. Forse era per questo che Simona mi aveva preferito agli altri, o almeno lo aveva fatto all'inizio. Se fossi rimasto concentrato, uccidendo in me lo spirito infantile che gli altri invece scatenavano ogni volta che uscivamo, forse avrebbe continuato ancora a preferirmi. Era davvero così? Non ci capivo niente, ma di una cosa ero certo: uscendo con loro non sarebbe stato facile recuperare terreno, non sarebbe stato facile trovare una ragazza. Ma davvero avrei dovuto rinunciare alla felicità? Forse era proprio il fatto che fossimo tutti sfigati, che nessuno di noi avesse nulla da perdere, a regalarci i momenti più belli insieme. Quelle che vivevo con loro erano emozioni speciali, che solo l'umiltà di chi non ha nulla può donare. Probabilmente i miei amici erano speciali, più di quanto pensassi, anche se loro non se ne rendevano conto.

Le notti erano lunghe e la mia mente infestata da tanti pensieri. Pensavo a Simona, a Gian, a tutte le volte che li avevo visti salutarsi con un bacio. Continuavo a chiedermi come avrei mai potuto avere Lei se già con Simona, che oltre ad uscire nella mia stessa comitiva era anche più piccola di me, non ero riuscito a combinare nulla. Il pensiero di non essere stato abbastanza mi tormentava. Ma perché? Alla fine, trovai il coraggio di scriverle e chiederglielo.

‹‹Puoi dirmi dove ho sbagliato?›› le scrissi.

‹‹Sbagliato cosa?››.

‹‹Con te... io non voglio più sbagliare››.

‹‹Sei troppo appiccicoso›› ripose, senza farsi scrupoli.

Era vero? Non lo sapevo. Forse sì, forse le scrivevo troppo, parlandole troppo di me e di ciò che combinavo. Dopotutto era la prima volta che mi sentivo con una ragazza. Probabilmente le emozioni mi avevano fatto perdere il controllo, portandomi ad esagerare con tutti quei cuoricini, tutti quei messaggi da stupido, tutta quell'invadenza.

Anche se eravamo tornati amici, le sue parole avevano lasciato il segno dentro di me, un segno che mi fece riflettere molto. Cosa potevo fare per essere meno appiccicoso? Forse avrei potuto provare ad essere più freddo, più serio, più distaccato. Forse così sarei stato più affascinante. Provavo a immaginare come sarebbe stato parlare con Lei, serio, freddo e con lo sguardo fulminante, come i personaggi più fighi degli anime, quelli misteriosi. Forse era così che le ragazze volevano un uomo. Ma non bisognava farle ridere? Io facevo ridere Simona. Non ci capivo più niente: le ragazze erano troppo complicate. Forse avrei dovuto davvero cambiare, anche in peggio se necessario. Solo così avrei dimostrato la mia maturità. Il fatto era che proprio non ci riuscivo: tutto ciò non era da me. Con le ragazze bisognava essere sé stessi, da quel che avevo sentito dire, ma come facevo ad essere me stesso se così com'ero non ero abbastanza? Come avevano fatto gli altri ragazzi a risolvere quel paradosso? Forse per loro non era un problema. Dopotutto, loro erano già abbastanza.

Guardando i messaggi sul gruppo di Parkour vidi che un ragazzo aveva chiesto sul gruppo chi si volesse allenare nel pomeriggio ed io ero stato l'unico a rispondere. Si chiamava Axel, un tipo con i capelli rossi, lunghi e ricci. Anche lui sapeva il fatto suo sul Parkour: grazie al suo aiuto riuscii a fare parecchie cose, come ad esempio arrampicarmi su un muro con i graffiti, dove non scivolare mi era quasi impossibile. Tuttavia, avevo ancora un grosso problema da risolvere: non riuscivo a fare il Precision lì dove lo facevano sempre tutti, alle rampe.

‹‹Dai, che non ci vuole niente!›› continuava a ripetermi.

‹‹Non ce la faccio! Ho paura››.

‹‹Ma paura di che?! Se cadi sto io sotto che ti prendo!››.

D'un tratto, ripensai al salto dell'asilo, a quanto fosse stupido e a quanto avessi avuto paura di farlo. Ripensai alla mia corsa, a quanto fossi indietro rispetto agli altri, a quando avevo scritto a Lei, a ciò che era successo con Simona. Provavo a immaginare cosa sarebbe successo se ci fosse stata lei lì, in quel momento. Probabilmente avrebbe riso di me. Non avevo nulla e nulla mai mi sarei meritato andando avanti così. Dovevo farlo, non avevo altra scelta. Così mi feci coraggio e mi lanciai. Non appena atterrai sull'altro corrimano, sentii la mano di Axel toccarmi la schiena: se fossi caduto mi avrebbe preso.

‹‹Hai visto?!›› esclamò sorridendo.

Nel mio cuore si riaccese la speranza, speranza che un giorno non mi sarei più dovuto sentire inferiore agli altri, speranza che un giorno avrei scoperto chi ero veramente.

Ci spostammo giù alle gradinate, dove Axel voleva assolutamente provare a fare una cosa.

‹‹Cosa hai in mente di fare?›› gli chiesi.

‹‹Uhm... è un po' complicato da spiegare›› rispose titubante.

‹‹Provaci››.

‹‹Voglio fare un Kong sulla ringhiera, afferrare il palo con le mani mentre sono ancora in aria, usarlo per girare verso destra e atterrare su quel muretto››.

Speravo di aver capito male ciò che voleva fare.

‹‹Sei pazzo?!›› esclamai sorpreso.

‹‹Nah, ho visto fare cose peggiori. Prima, però, ci vuole un po' di musica››.

Tirò fuori una cassa e iniziò a cercare tra le canzoni quella che gli interessava. Erano tutte canzoni come quelle che mettevano Aldo e Giuseppe.

‹‹Eccola! Questa è la mia canzone››.

Era il remix di una canzone che conoscevo: si chiamava Can't Hold Us. Axel si allontanò per prendere la rincorsa. In quel momento di silenzio l'unica cosa che si sentiva era la voce del cantante, col sottofondo che pian piano si caricava di energia: stava per arrivare la parte elettronica del remix. Mentre mi preoccupavo, continuavo a chiedermi se anche lui avesse paura di cadere e di farsi male. Probabilmente non era così, probabilmente l'unico fifone lì ero io, eppure il suo sguardo diceva il contrario. Non appena arrivò il momento, convinto più che mai prese la rincorsa e si lanciò. Fece tutto ciò che aveva detto, realizzando un atterraggio perfetto. Iniziavo a capire a cosa servisse la musica: era stata la sua canzone a dargli la forza per farlo.

Durante il viaggio di ritorno cercai su YouTube quella canzone, ma riuscii solo a trovare quella originale. Digitando "remix" nella barra di ricerca mi comparivano tanti video, ma nessuno era quello che stavo cercando io. Ricordai che Giuseppe mi aveva detto come si chiamava quel genere di musica. Ma certo, si chiamava Dubstep. Non appena scrissi la parola giusta la trovai subito e iniziai ad ascoltarla. Mi piaceva davvero tanto.

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