Capitolo 2

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La sveglia suonava fastidiosamente, e allungando il braccio per disattivarla sentii un brivido lungo tutto il corpo: faceva stranamente freddo. Presi in mano il telefono e accesi lo schermo: Giovedì, 12 Settembre 2013. Il grande giorno era arrivato. Una volta pronti, io e mio padre uscimmo di casa e salimmo in macchina per andare a prendere Gian. Dopo essere stati compagni di classe alle medie, ero felice che anche lui avesse scelto la mia scuola. Anche se non saremmo stati nella stessa classe, almeno non avrei iniziato le superiori completamente da solo, in un paese che non conoscevo per niente.

Arrivati a Martina c'era parecchio traffico, ma nel giro di pochi minuti uscimmo dal centro. La strada era larga e c'erano tanti alberi. Non avevo mai visto dei paesaggi così a Fasano, neanche sulle strade di campagna. Dopo l'ultima curva riuscivo già a vederla: era lì, in mezzo agli alberi, la mia scuola. La strada era piena di macchine e di ragazzi che camminavano, così fummo costretti a scendere e proseguire a piedi. Mentre camminavamo mi guardavo intorno, affascinato dall'idea di essere circondato da così tanto verde. Salendo le scale arrivammo davanti all'entrata, dove c'era una marea di studenti. Pian piano entrarono tutti, tranne noi del primo anno. Ci fecero entrare dopo un'ora, facendoci accomodare nell'aula magna. Sembrava che fosse stata organizzata una specie di accoglienza per noi. Dopo aver preso posto vedemmo la preside salire sul palco. Il suo discorso fu lungo e noioso. Parlava di come fosse importante impegnarsi a scuola, studiare e tutta quella roba lì, tutte quelle cose che alcuni sapevano già, e per come erano state insegnate loro non le avrebbero dimenticate facilmente, mentre altri non le avevano mai imparate e non lo avrebbero fatto di certo lì, ascoltando uno stupido discorso al microfono. La tensione salì improvvisamente quando la preside iniziò a chiamare le classi. Uno dopo l'altro i ragazzi si alzavano e la raggiungevano, finché la classe non era completa. A quel punto un professore li portava via e si passava alla prossima. Gian fu chiamato prima di me. Ci salutammo e lo vidi raggiungere la sua classe, la classe di Chimica. Quando anche lui se ne andò iniziai a sentirmi solo: in un'altra scuola, in un altro paese, in un'aula grandissima e piena di gente, io non conoscevo nessuno. Presto dovetti abbandonare quei pensieri: la preside aveva chiamato il mio nome. Dietro di me altri ragazzi vennero chiamati e si alzarono. Osservavo le loro facce, le facce di quelli che da quel giorno sarebbero stati i miei compagni di classe. Quando fummo al completo anche noi, ci accompagnarono alla nostra aula.

Saliti al primo piano, dovemmo attraversare più di metà del corridoio. Mentre guardavo il marrone scuro dei mattoni su cui camminavamo mi resi conto che eravamo arrivati: la prima D, la nostra aula. Il prof iniziò a fare l'appello, chiedendo a ognuno di noi di presentarsi, dicendo il nome e il paese di provenienza. I miei compagni sembravano davvero strani: molti non erano neanche di Martina. Venivano tutti da altri paesi e avevano tutti un modo di parlare diverso. Presto mi resi conto di essere l'unico di Fasano, ma ciò che nel profondo più mi colpiva era il fatto che fossi finito in una classe di soli maschi: non c'era neanche una ragazza. Avendo scelto una classe di Elettronica ed Elettrotecnica me lo sarei dovuto aspettare. Proprio ora che ero pronto a ricominciare da zero, a iniziare a socializzare di più con le ragazze e smettere una volta per tutte di guardarle da sotto una campana di vetro, non ne avevo più la possibilità. Iniziai a pensare che se volevo conoscere delle ragazze avrei dovuto trovare un modo di farlo fuori da quell'aula. Ma dove? E soprattutto come? A parte la scuola, la mia vita fuori casa non era molto interessante. Dovevo trovare una soluzione. Guardandomi intorno, però, realizzai che forse non tutto era perduto. Anche se non avrei più avuto delle ragazze in classe, lì dentro mi sarei potuto fare molti amici.

I docenti che venivano temporeggiavano per far passare l'ora tutti allo stesso modo. Non sapevamo neanche se sarebbero stati i nostri. All'ultima ora vidi finalmente entrare in classe una faccia conosciuta: il prof De Carolis. Era passato un po' di tempo dall'ultima volta che lo avevo visto.

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