Capitolo 11

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Come tutti gli anni, arrivò mio cugino Luca dalla Germania. Ero contento di rivederlo. Ogni giorno ce ne andavamo in giro, per raccontarci tutto ciò che per mesi non ci eravamo detti. Una sera decidemmo di prendere due pizze d'asporto, che avremmo mangiato da qualche parte per strada. Era un'idea che solo due stupidi come noi avrebbero potuto avere. Salendo per le stradine di Fasano, dal corso eravamo arrivati fino alla Pascoli, dove il centro abitato finiva per fare spazio al verde. Trovammo un muretto su cui ci si poteva sedere. Davanti c'era un armadio stradale, sul quale poggiammo i cartoni delle pizze e lo usammo come tavolo per mangiare. Mentre mangiavamo ci raccontavamo di tutto, e pian piano i nostri discorsi iniziavano a diventare sempre più personali. Mi mancava passare il tempo con lui. Non faceva che parlarmi delle ragazze che conosceva in Germania, raccontandomi almeno un aneddoto per ognuna di loro. Io avrei voluto raccontargli di Simona, ma me ne vergognavo davvero tanto.

‹‹Noi abbiamo iniziato a uscire l'estate scorsa, no?›› gli chiesi.

‹‹Certo: tuo padre prima neanche ti faceva uscire la sera››.

Pensai a ciò che aveva appena detto. Luca era un tipo un po' particolare, faceva spesso insinuazioni inopportune, ma mio padre era severo, e in fondo era questo che voleva dire. Infatti, mi venne in mente che dovevo sbrigarmi: non potevo tornare tardi a casa. Mi tornò in mente quando avevo litigato con mia madre per potermi iscrivere a Facebook, la vergogna che avevo provato davanti al prof De Carolis, il grosso litigio che fui costretto a fare per ottenere una cosa così stupida. Forse per recuperare terreno avrei dovuto fare pressione sui miei genitori. Probabilmente era normale: non doveva essere facile per un genitore accettare il fatto che il proprio figlio stesse crescendo. Ma era così anche per gli altri ragazzi? Anche loro dovevano fare pressione sui genitori per restare al passo con gli altri? Non ne avevo idea. Sapevo solo una cosa: nonostante i loro difetti, ero fiero della mia famiglia, specialmente di mio padre. Era solo grazie a lui se ero diventato così bravo da essere il migliore della classe. Ma gli altri avevano qualcosa che io non avevo e che stavo cercando in tutti i modi di ottenere, qualcosa che mio padre non poteva capire. Nella vita non si poteva avere tutto e io probabilmente avevo avuto la cosa più importante, ma davvero non avrei mai potuto avere entrambe le cose? Sarebbe stato possibile recuperare comunque?

Io e Luca avevamo finito la pizza, e mi era appena venuto in mente qualcosa da raccontargli.

‹‹Questi giorni sto chattando con un'altra ragazza›› gli rivelai.

‹‹E chi è?››.

‹‹In realtà è una mia amica, anzi, una mia cara amica››.

‹‹Racconta››.

‹‹Si chiama Pasquina e ci conosciamo da tanti anni: andavamo alle elementari insieme. Non ci sentivamo da quando abbiamo fatto la cresima e in questi giorni ci siamo raccontati un po' cosa stiamo combinando››.

‹‹Le hai detto che stai imparando il Wallflip?››.

‹‹Non ancora›› risposi in maniera evasiva ‹‹dovremmo avviarci, è tardi››.

Agli allenamenti avevo solo un pensiero per la testa, così aspettavo che Giuseppe si fermasse per riposare e gli chiedevo di aiutarmi col Wallflip. Da quando avevo fatto vedere a Gianvito e ai miei amici di Fasano come fare l'assistenza avevamo iniziato a provarlo, e allenandomi avevo iniziato a spingere con il piede. Giuseppe mi faceva assistenza da solo: ormai una persona era più che sufficiente.

‹‹Stai migliorando sempre di più, compa', ma per farlo da solo devi avere la concezione di te stesso in aria›› mi disse.

Rimasi per un po' a pensare alle sue parole: la concezione di te stesso in aria... che diamine voleva dire?

Ci spostammo giù, dove c'era la musica alla cassa. Vidi Aldo fare dei Precision alle rampe, scendendo da un piano all'altro. Saltava da un corrimano a quello più in basso, atterrava senza perdere l'equilibrio e poi partiva col successivo, fino ad arrivare a terra. Pensai che in effetti ciò che ero riuscito a fare io non era niente in confronto. Mentre lo vedevo saltare ascoltavo le canzoni Dubstep di sottofondo. Più le ascoltavo e più mi rendevo conto che avevano qualcosa di magico. Le sensuali voci femminili, i bassi e gli effetti sonori creavano in chi ascoltava una sensazione di ebbrezza, penetrando nelle profondità dell'anima.

Ero solo a casa, steso sul letto. Da quando Luca se n'era andato non sapevo proprio come impiegare il tempo. Prendendo il cellulare vidi che c'erano dei messaggi su WhatsApp. Era un gruppo a cui Pasquina, la mia amica delle elementari, mi aveva aggiunto da un po' di tempo. Il tema erano gli One Direction, che a lei piacevano tanto, ma che io detestavo. Sembrava che ci fossero molte altre fan da tutta l'Italia. Vedendo che mi aveva menzionato nei messaggi le risposi con dei cuori.

I brutti pensieri e le delusioni subite mi assillavano, così per distrarmi andai su YouTube a guardare un po' di video di Parkour e Freerunning. Se fossi diventato bravo nello sport che mi appassionava forse avrei potuto dare una svolta alla mia vita: avrei finalmente avuto qualcosa che mi rendesse speciale, facendo dimenticare a tutti che ero uno sfigato. Sembrava l'unica chance che avevo per rimediare ai miei errori, ma conoscendomi sapevo di essere un buono a nulla. Probabilmente non sarei mai riuscito a fare neanche il Wallflip. Eppure, i miei sogni, racchiusi in quei video e in quelle canzoni Dubstep, erano tutto ciò che avevo. All'improvviso mi arrivò un messaggio su WhatsApp.

‹‹Hey››.

Era un numero che non conoscevo. Non avevo idea di chi fosse, dal momento che non aveva neanche la foto profilo, ma entrambi eravamo nel gruppo degli One Direction. Si trattava sicuramente di un'amica di Pasquina, così le risposi e iniziammo a chattare. Si chiamava Arianna e viveva in un paese vicino Belluno, in Veneto.

‹‹Quindi anche a te piacciono gli One Direction?›› le chiesi.

‹‹Un po'... a te invece?››.

‹‹Non proprio, ma sono un caro amico di Pasquina, a cui piacciono tanto!››.

Iniziammo a diventare amici, a conoscerci, a mandarci i cuori, a chattare tutti i giorni. Eravamo molto lontani e non l'avevo mai vista: poteva anche essere brutta, ma a me non importava. Dopo tutti i miei insuccessi con le ragazze mi sentivo tanto solo e, parlando con lei, da subito avevo capito che la sua compagnia era diversa da quella che mi offrivano gli altri, era forte e unica. Avevo trovato ciò di cui avevo bisogno: un'amica speciale.

Qualche giorno dopo sul suo contatto comparse finalmente un'immagine profilo: era alta e magra, con dei lunghi capelli biondi e uno splendido sorriso. Mi piaceva davvero un casino. La trovai su Facebook e, mentre ci scambiavamo i like, scoprii qualcosa di interessante.

‹‹Ary, ma che classe fai?›› le chiesi.

‹‹Devo iniziare la terza. Tu la seconda, invece, giusto?››.

‹‹Esatto... ma perché mi piacciono sempre quelle più grandi?››.

‹‹Davvero? Non lo sapevo. Come mai?››.

‹‹È quello che continuo a chiedermi anch'io!›› risposi con mille faccine che ridevano.

Col tempo iniziammo ad aprirci e a raccontarci di tutto sulle nostre vite. Forse era proprio il fatto che eravamo così lontani a farci lasciar andare.

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