I primi mesi autunnali erano ormai passati. Settembre non aveva portato niente di emozionante, non considerando il ritorno di Amber ad Hogwarts. Agli inizi di ottobre l'Esercito di Silente aveva finalmente trovato un luogo dove potersi esercitare nella Difesa contro le Arti Oscure: la stanza delle necessità. Amber aveva partecipato ad una sola volta, gli incontri con Silente occupavano la maggior parte del suo tempo libero e la stremavano fisicamente ma ancor più mentalmente, tanto da rinunciare alle uscite ad Hogsmeade il sabato pomeriggio per potersi esercitare ancora e ancora. I suoi poteri, e tutto quello che ne conseguiva, stavano iniziando ad ossessionarla.
Gli unici momenti in cui vedeva Fred e George erano le lezioni che aveva in comune con i Grifondoro. Loro non gliene facevano una colpa, sapevano che era impegnata in affari ben più grandi di lei, per cui si godevano quei fugaci momenti in cui erano insieme, cercando anche di trasmetterle un po' di felicità e spensieratezza.
Non che Amber fosse triste, ma la luce nei suoi occhi diventava sempre meno percettibile e i suoi sorrisi sempre meno spontanei.
E mentre le sue mani si riempivano di bruciature, il suo cuore non era altrettanto colpito dal calore.
I suoi poteri la stavano portando allo strenuo, e non aveva più forza nemmeno per mettere un piede davanti all'altro.
George aveva provato più volte a dirle che tutto questo accanimento sul dominio della natura l'avrebbe distrutta ma Amber non ascoltava nessuno, sembrava persa, come se non conoscesse più nessuna delle persone che le erano attorno, forse non si fidava più o forse stava cercando di allontanare tutti.
"Limitare i danni" era sempre stato una sorta di motto per Amber: non voleva stare male più del dovuto, e questo valeva anche per gli altri.
Che si stesse allontanando da tutti per non farli stare male quando le sarebbe successo qualcosa di orribile?
Questa era la domanda che vorticava costantemente nella mente di George.Ormai era arrivato anche novembre, ma le cose non cambiarono, se possibile, peggiorarono.
Amber non si vedeva più in giro nè durante i pasti nella Sala Grande, arrivava in ritardo alle lezioni e scappava alla fine di queste. Sotto i suoi occhi, oramai spenti, si erano creati dei solchi violacei e i suoi zigomi sporgevano sempre di più.
A metà del mese George invitò Amber alla partita di Quidditch, e con sua grande sorpresa, la ragazza accettò.
Ma quel pomeriggio Amber non si presentò.
George non riuscì più a sopportare il fatto che si stesse distruggendo per diventare potente e sfamare la gola di vendetta dentro di lei.
Dopo la partita scappò dal campo di Quidditch, evitando i complimenti per la vittoria e ignorando Fred che lo chiamava a gran voce.
Era arrabbiato, avrebbe voluto urlarle in faccia quanto lo faceva stare male vederla così, e che non era la Amber con cui aveva passato anni tra le mura della scuola. La Amber che conosceva lui era quella che lottava per i diritti dei più deboli, quella che mangiava fette su fette di torta al cioccolato e fumava di nascosto accendendosi la sigaretta con un dito. Era quella con il sorriso brillante almeno quanto la sua mente, con la testa sempre sepolta nei libri e i capelli mai in ordine. Quella che gli offriva sempre del caffè e gli passava i compiti, quella con la battuta sempre pronta, che usava il sarcasmo per nascondere le sue insicurezze e che si lamentava di qualunque cosa, ma poi si accontentava.
La sua Amber stava svanendo, e non poteva permetterglielo.
Non aveva bisogno di cercarla ovunque, sapeva già dove si trovava.
Corse verso il lago in preda alle sue emozioni, non sapeva cosa le avrebbe detto una volta trovata, ma non gli importava.
-Amber!- urlò non appena scorse una figura con lunghi capelli corvini mossi dal vento.
La ragazza si voltò. Le lacrime rigavano il suo viso.
George non avrebbe mai voluto rivederla in quelle condizioni.
Non aspettò un secondo di più e corse da lei, ma non aveva più alcuna voglia di urlarle contro.
Non le dette il tempo di dire niente e la strinse in un abbraccio, Amber affondò la sua testa nel petto del ragazzo, incapace di fermare il suo pianto.
George le accarezzava i capelli, sussurrandole che sarebbe andato tutto bene, ma i suoi singhiozzi non cessarono.
-Ma che ti hanno fatto?- chiese sconsolato George, stringendola più a se.Dopo pochi ma interminabili minuti, Amber si riprese. Si staccò dall'abbraccio e lo guardò negli occhi, voleva scusarsi per tutto quello aveva fatto e voleva ringraziarlo per avergli dato una spalla su cui piangere. Ma non disse niente, così abbassò lo sguardo.
George le accarezzò la guancia, asciugando anche l'ultima lacrima che scendeva sul suo tenero volto. Amber arrossì e poi sorrise.
-Ti ho fatto sorridere!- esultò il ragazzo seduto di fianco a lei, e di tutta risposta, Amber sorrise ancora, poi si decise a dargli delle spiegazioni, gliele doveva.
-Sono stata divorata dall'ambizione. Appena ho visto quello che sarei riuscita a fare con i miei poteri, mi sono immersa nello studio, nella pratica...E ogni volta desideravo fare sempre di più, scavare sempre più a fondo. Non credevo si potesse trasformare in questo...- la sua voce si ruppe prima che potesse finire la frase.
-Non devi darmi spiegazioni, quando e soprattutto se ne vorrai parlare, basta che fai un fischio. Devi solo promettermi una cosa- il tono della sua voce si era fatto serio -non ti far accecare più dal potere.-
Amber non poteva prometterlo, e non aveva alcuna intenzione di mentire.
-Sai che non posso prometterlo, non posso controllare la mia testa e quello che succede lì dentro. Però posso prometterti che chiederò aiuto, che non mi abbandonerò a me stessa...-
Il ragazzo accanto a lei annuì, tutto sarebbe stato meglio di vederla scomparire davanti ai suoi occhi.
-George, sono un disastro senza di te.-
Con un sorriso beffardo stampato sulle labbra rispose: -Ritieniti fortunata, perché io non vado da nessuna parte.-
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Dominatrix of Nature||George Weasley
Fanfiction-Amber, ti prego alzati- la supplicò George ancora una volta. -Vattene- sussurrò, ma a quel sussurro seguì la rabbia -ANDATE VIA, TUTTI- Sentì le mani bruciare, non riusciva più a controllare l'ira e nella sua testa non c'era spazio per alcun pens...