Sognando Pegaso

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Mi son sempre chiesto che sapore e che aspetto avesse la Libertà: sicuramente, mi dicevo, non può sapere del ferro delle catene o della malta con cui sono costruiti i muri, ma deve necessariamente essere qualcosa di sublime, di indefinibile e così complesso da non poter essere descritto con semplici parole o imprigionato in un foglio bianco.

Proprio questa domanda mi ha tolto il sonno per anni, facendomi rigirare la notte sotto coperte troppo pesanti per permettere alle paranoie di uscire, in cerca di una risposta che ovviamente non stavo inseguendo nel modo giusto, poiché facendo così andavo solo, insistentemente, a perdermi nelle barriere logiche della mia mente.

Poi, con il passare degli anni, tutto ciò mi è iniziato a sembrare solo un inutile esercizio di retorica, una domanda presuntuosa: non che mi fosse passata la voglia di soddisfare la mia curiosità, ma improvvisamente era arrivata la convinzione che quasi fosse sbagliato, per uno come me, voler sapere come fosse la Libertà, senza aver mai davvero, in vita mia, conosciuto freni o vissuto particolari forme di coercizione, nonostante spesso fossi io stesso ad intrappolarmi in un fitto labirinto di pensieri.

Così, a causa di un mal riposto senso di colpa, ho smesso di inseguire un qualcosa che forse mi era parso talmente grande da non poter essere compreso pienamente, così pieno di sfumature che il riuscirne a cogliere anche solo una in meno, sarebbe stato un fallimento tale da paralizzarmi per sempre: ho sostanzialmente accettato una fame eterna che non sarebbe mai stata quindi soddisfatta davvero, e per questo motivo la vita è diventata via via certamente più insapore di quanto non fosse prima, di quanto non fosse quando da piccolo non prendevo sonno poiché deciso a voler contare tutte le stelle del cielo, senza mai perderne il conto.

Ma cosa siamo noi senza quella fame insaziabile? Cosa siamo noi se smettiamo di tendere costantemente la mano verso il cielo con la convinzione un giorno di poterlo accarezzare?

Fortunatamente due anni fa, in un pomeriggio d'estate talmente afoso che persino il mare sembrava non avere la forza di mostrarsi imponente, mi sono imbattuto in qualcosa di insperato che mi ha tratto in salvo: armato della mia macchina fotografica e salito in auto, mi sono incamminato solo e senza una meta precisa alla ricerca di un posto dove poter tornare a respirare.

E d'un tratto, mentre percorrevo strade disegnate su montagne dalla testa coronata di nuvole, un prato pieno di fiori dai colori sgargianti ha attratto la mia attenzione quasi essi fossero proprio il pizzico di bellezza che stavo disperatamente cercando in quei giorni apatici.

Delicatamente, oltre ad averne catturato l'essenza sul rullino e aver cercato accuratamente di non reciderne il gambo, mi sono fatto passare i fiori tra le dita in modo da coglierne tutti i dettagli nascosti e potermi godere quei colori così vivi che, dopo tanto tempo, erano riusciti a suscitare in me un fantastico senso di completezza.

Dopo essermi sdraiato sul prato e dopo essermi reso conto che esso era ancora umido a causa della rugiada, ho posato il mio sguardo su un cartello di legno marcito su cui era riportata la scritta "Attenzione: maneggio a 500 m": poco distante a me, effettivamente, una collinetta nascondeva dei bellissimi cavalli che fieri mostravano la loro imponenza, quasi a volermi dimostrare che, pur essendo rinchiusi dentro a palizzate, se solo loro avessero voluto, avrebbero potuto saltarle senza il minimo sforzo, per poter poi correre spensierati per campi così vasti da non conoscere alcun confine.

Uno di loro però sembrava distratto, non intenzionato a mostrarsi come un invincibile destriero, forse perso nei suoi pensieri o forse, smarritosi nei suoi sogni: guardava oltre i pali di legno che da sempre delimitavano la sua vita, probabilmente in cerca di una storia diversa, di un futuro in cui sperare. Assorto com'era, con lo sguardo rivolto verso l'orizzonte, non si è nemmeno curato della mia presenza, forse parsagli superflua in quel momento. Io d'altra parte ho cercato in tutti i modi di non disturbarlo, di non interrompere quel suo assaggio di Libertà.

Così piano piano, cercando di non farmi sentire, mi sono rimesso in marcia puntando nella direzione del mare, dove da sempre, in qualche modo, avevo trovato casa mia.

I finestrini abbassati permettevano alla brezza di accarezzarmi il viso, e la musica che ascoltavo con i suoi 128 bpm si sintonizzava perfettamente al mio battito cardiaco, facendomi sentire a mia volta in sintonia con il mondo: la macchina sembrava essere scomparsa, il mio corpo fendeva l'aria e provavo, per la prima volta e per pochi istanti, la sensazione di saper volare davvero.

Poi, improvvisamente e tutto d'un colpo, ho sentito di dovermi fermare, perché quell'Eureka che avevo sempre rincorso, pareva essere alla portata di pensiero:

- "Ti ho sempre cercata nel posto sbagliato, guardando ostinatamente tra libri, disegni e nei meandri della mia psiche. Invece, per tutto questo tempo, sei stata mia compagna di viaggio, seduta con me in questa vecchia macchina che, nonostante gli anni, continua a portarmi dovunque lei senta io possa guarire.

Ed eri proprio lì, Libertà: nello sguardo di quel novello Pegaso, poiché era lo sguardo di chi, nonostante la vita gli ponga limiti, lotta per guardare oltre con occhi sognanti, incapace di accettare barriere o prigioni.

È vero, forse non saprò mai che sapore tu abbia, o in che volto meraviglioso tu possa trasformarti di volta in volta, ma ho capito che di tanto in tanto, se sarò fortunato e magari per pochi istanti, ti sentirò sulla mia pelle, necessaria come tu fossi per me ossigeno dopo una vita in apnea.

Allora, a presto amica mia, spero di rivederti presto".

Mentre scrivo, è passato tanto tempo da quel pomeriggio: la macchina con cui ho fatto quel viaggio non c'è più, e chissà verso quali meravigliosi panorami stia volgendo il suo sguardo quel mio così insolito amico. Ancora oggi, nonostante tutto, penso a loro intensamente ogni volta che mi sento intrappolato nelle fitte trame dell'esistenza.

Così, da quel giorno, quando la notte cala sulla città, apro la finestra per qualche minuto, e nonostante sia così lontano, guardo il cielo sperando prima o poi di poterle contare tutte, le stelle.

Probabilmente non ci riuscirò mai, ne sono consapevole.

Ma l'importante è che, credetemi, in questo modo, non sarò mai più solo nel farlo.


(Foto che, per la prima volta sin dall'inizio del progetto, appartiene alla stessa persona che possiede la penna che scrive i testi: la foto è mia.

È una storia che ho scritto nonostante la paura di rovinare un ricordo che da tanto tempo custodivo gelosamente, nonostante l'ansia di non rendere giustizia ad uno scatto che si è rivelato molto importante per me.

Questo per dirvi che in questo testo ho messo tutto me stesso, con tutte le mie passioni e i miei difetti).


Parole NomadiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora