Prologo

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PROLOGO

Mi chiamo Astrid Williams e sono una sopravvissuta. Se in passato mi avessero detto che un giorno avrei lottato per sopravvivere, avrei riso a crepapelle. La realtà, invece, è un’altra ed è terribile. A volte mi sforzo di ricordare il mondo di prima, i colori e i suoni e gli odori, ma mi accorgo che giorno dopo giorno iniziano a svanire dalla mia mente. Le mie uniche preoccupazioni sono il cibo, l’acqua, un posto abbastanza sicuro per dormire. Non posso arrendermi, non quando altre persone dipendono da me.
Non era questa la vita che sognavo, e non era neanche quella che vedevo nei miei peggiori incubi. Morti che camminano e straziano corpi; esseri umani armati fino ai denti che per vivere commettono azioni atroci; traditori che prima si fingono amici e poi ti pugnalano alle spalle.
Gli equilibri del nuovo mondo sono instabili, sempre sull’orlo della distruzione, e a peggiorare una situazione già precaria sono anche i difficili rapporti fra i sopravvissuti.
La mia storia è diversa perché, malgrado la disperazione, ha avuto un risvolto positivo.
Tutto è iniziato con un paio di ali.
 

Astrid fischiettava mentre guidava verso il centro di Atlanta per riunirsi con i suoi amici. Quella mattina si era laureata e, dopo aver festeggiato con i parenti, aveva deciso di proseguire i festeggiamenti alla Blue Tavern, un rinomato pub della città. Parcheggiò il suo maggiolino rosso del 1965, un vecchio cimelio di famiglia, e recuperò la borsa. Attraverso le vetrate vedeva sua sorella Remy con la moglie Iris, il suo migliore amico Logan e la sua compagna di corso Norah. Si avvicinò alla pesante porta di legno, ma andò a sbattere contro qualcuno al suo fianco. C’era un uomo che aveva posato la mano sulla maniglia.
“Scusami. Prego, entra pure.” Disse Astrid.
Il tizio fece un cenno della testa, spinse la porta e si mise di lato per farla passare. Astrid lo ringraziò con un sorriso e si avviò verso il tavolo più rumoroso del pub.
“Ecco la festeggiata!” esultò Remy, battendo le mani.
Remy spinse la carrozzella per stringere la mano di Astrid, che si chinò a darle un bacio sulla guancia.
“Ora mangiamo? Muoio di fame.” Si lamentò Logan.
“Mangiamo!”
La serata proseguì nel migliore dei modi tra la pizza più gustosa di Atlanta, risate e palline di carta lanciate a destra e a sinistra.
“Astrid, tu non bevi?” chiese Iris.
Remy e Iris stavano insieme da cinque anni ed erano sposate da un anno. Abitavano in un grazioso appartamento che Astrid spesso aveva occupato per studiare in pace.
“Non bevo perché qualcuno di sobrio deve pur riportarvi a casa.”
“Allora propongo un altro giro, tanto abbiamo l’autista.” disse Norah.
Tutti al tavolo acconsentirono e il cameriere pochi minuti dopo servì loro le ordinazioni.
“Mentre voi scolate tutto l’alcol del pub, io vado a fare un tiro.”
Astrid si alzò e raggiunse la parete a cui era appeso un bersaglio. Sulla mensola accanto vi era un cestino con le freccette. Non era brava in quel gioco, ma l’odore dei drink alcolici le stava scombussolando lo stomaco. Era dura essere astemia in un gruppo di bevitori.
Fece il primo lancio ma la freccetta cadde a terra senza neanche toccare la parete.
“Sei una schiappa!” gridò Logan dal tavolo.
Astrid alzò gli occhi al cielo. Era intenzionata a riprovare. Lanciò di nuovo e questa volta la freccetta si conficcò nel legno sotto la mensola.
“Faccio davvero schifo.” Sussurrò fra sé.
“E’ il polso.” disse una voce alle sue spalle.
Voltandosi, riconobbe l’uomo che le aveva tenuto la porta aperta. Era seduto al bancone e stava bevendo una birra.
“Come, prego?”
“Sbagli l’inclinazione del polso.”
Astrid indietreggiò quando lo sconosciuto si avvicinò per raccogliere le freccette cadute a terra. Notò che indossava una camicia a scacchi senza maniche e sopra un gilet di pelle nero con due ali bianche cucite sulla schiena. Sulla spalla destra era possibile intravedere l’inizio di un tatuaggio.
“Abbiamo un esperto di freccette qui.” disse Astrid con un sorriso.
Il tizio non la degnò di uno sguardo. Lanciò la freccetta e quella si conficcò al centro del bersaglio.
“Piega di più il polso e farai centro.”
Per qualche assurda ragione Astrid si ritrovò a pensare a quanto fossero belli gli occhi azzurri dello sconosciuto. Tanto belli quanto tormentati.
“Credo che lascerò stare le freccette. Mi sono umiliata abbastanza.”
L’uomo annuì e tornò al bancone per finire la sua birra. Qualcosa lo costrinse a girarsi per guardare ancora la ragazza, che aveva tentato un ultimo e fallimentare lancio. Sbuffò, odiava vedere un bersaglio mancato.
“Ti faccio vedere io.”
“Va bene.”
Astrid sorrise raggiante quando lo vide tornare. Il tizio lasciò la bottiglia di birra sul tavolino, prese una freccetta e si affiancò a lei. Il suo odore era un misto di alcol, muschio e tabacco. Un altro tatuaggio faceva la sua comparsa all’interno del bicipite destro, e Astrid indugiò un po’ troppo su quel dettaglio. Lui si accorse del suo sguardo insistente e abbassò il braccio.
“Ci sei?”
“Sì, sì, sono qui.”
Astrid deglutì per scacciare l’immagine di quelle braccia perfette e toniche i cui muscoli guizzavano a ogni movimento.
“Piega di poco il polso indietro, prendi la mira e lancia seguendo la traiettoria. Prova.”
La ragazza arrossì quando lui le sfiorò le dita per passarle la freccetta. Fece un respiro profondo, chiuse l’occhio sinistro per prendere la mira e piegò il polso come le era stato suggerito. La freccetta si conficcò a due cerchi di distanza dal centro.
“Centro!”
“Non hai fatto centro.” Replicò lui.
“Per una alle prime armi colpire l’area intorno al bersaglio è come fare centro.”
Lo sconosciuto aggrottò le ciglia, quel ragionamento faceva acqua da tutte le parti. Per non smorzare l’entusiasmo della ragazza, si limitò ad annuire.
“Mmh.”
Stava per tornare al bancone quando sentì la mano della ragazza toccargli il braccio. Era piccola e calda, un tocco fin troppo delicato per uno come lui.
“Facciamo un altro lancio?” domandò lei timidamente.
“Okay.”
“Va bene così il polso?”
“No.” Disse lui, spazientito.
Astrid trattenne il respiro quando lo sconosciuto mise la mano sulla sua fino ad avvolgere le dita intorno alla freccetta. Erano così vicini che la spalla di lui le sfiorava lo spazio fra le scapole. Il lancio andò a buon fine. La freccetta centrò il bersaglio con una precisione impressionante.
“Hai visto? Abbiamo fatto centro!” esclamò lei in preda alla gioia.
Lo sconosciuto la guardò con fare altezzoso, per lui le frecce erano ormai un mondo che conosceva come le sue tasche. Si era scaldato il punto in cui la sua spalla incontrava la schiena della ragazza. Per lui era fastidioso quel contatto, perciò fece un passo indietro e bevve un sorso di birra.
“Darylina!”
Astrid vide lo sconosciuto sospirare, sembrava più teso di prima. Verso di loro camminavano due uomini, giacche di pelle e sorrisi beffardi. Uno dei due diede una pacca sulla schiena allo sconosciuto.
“Darylina, vedo che sei in ottima compagnia. Chi è la principessina?”
Astrid si sentì a disagio sotto lo sguardo squallido del nuovo arrivato. Si mise le mani in tasca e strinse i pugni.
“Io torno dai miei amici.”
Il secondo uomo le sbarrò la strada, aveva le pupille dilatate e contornate da linee rosse.
“Resta con noi, baby. Ti teniamo compagnia.”
“Lasciala andare.” Disse l’uomo delle freccette.
“Perché? Non mi dire, fratellino, che vuoi spassartela con questo bocconcino da solo.”
Astrid si mosse in avanti nel tentativo di allontanarsi, ma l’omaccione con le pupille dilatate le bloccò ancora la via di fuga.
“Voglio solo andarmene. Per favore.”
Lo sconosciuto con le ali sul gilet aveva serrato la mascella. Nei suoi occhi azzurri vagava una rabbia cieca.
“Merle, non fare lo stronzo. Lascia andare la ragazza.”
Merle, così si chiamava, si chinò su Astrid e l’annusò come farebbe un animale con la preda. La ragazza ora aveva paura, tremava come una foglia.
“Carne fresca, mi piace. Potremmo divertirci insieme.”
“No.” Obiettò Astrid, anche se la voce era ridotta a un filo.
“Ehi, lasciatela stare!”
Per fortuna Logan era arrivato in aiuto. Afferrò la mano di Astrid e l’attirò a sé, poi le mise un braccio intorno alle spalle a mo’ di protezione.
“Andiamocene.” Sussurrò lei.
“Già vai via? Pensavo volessi divertirti con il mio fratellino!”
Astrid continuò a camminare, stringendo la mano di Logan. Si conoscevano sin dall’asilo, erano amici da una vita intera. Avevano frequentato la stessa scuola elementare, lo stesso liceo e infine la stessa università (ma con indirizzi diversi). Era probabile che Logan la conoscesse meglio di sua sorella. E forse era anche per questo che aveva una cotta per lui dall’età di sedici anni. Lui era bello con i ricci biondi e i grandi occhi verdi, era intelligente senza essere altezzoso, era divertente ed era sempre un’ottima spalla su cui piangere.
“Tutto bene?” chiese Remy.
Astrid annuì e si sedette senza aggiungere altro. I suoi occhi d’istinto guardarono verso il bancone, in direzione dello sconosciuto e degli altri due. Stavano bevendo un’altra birra e bisticciavano, o meglio lo sconosciuto incassava le battute stupide del fratello maggiore.
“Questa situazione sta degenerando.” Stava dicendo Logan.
Astrid si morse le labbra e tornò a fissare le patatine abbandonate nel piatto. Con la coda dell’occhio, però, continuava a guardare il bar.
“Quale situazione?”
Remy sospirò e bevve un sorso del suo drink.
“Quella del virus. Stanno aumentando a dismisura i casi e nessuno sa come risolvere la faccenda. Si sta infettando l’intera popolazione mondiale.”
Erano all’incirca sei mesi che i telegiornali e i giornali riportavano la catastrofica notizia di un virus che stava disseminando morti ovunque. La fonte della malattia era ignota, non conoscevano la fonte del contagio e pareva che non ci fossero cure in grado di rallentare o arrestare i sintomi.
“Non roviniamo una serata piacevole con argomenti tristi.” Protestò Norah.
“Giusto. Un brindisi per la nostra laureata!” propose Iris.
Il tintinnio dei bicchieri riecheggiò in tutto il locale, attirando l’attenzione degli altri clienti. Anche lo sconosciuto dal bancone lanciò una rapida occhiata al loro tavolo. Per un istante i suoi occhi incrociarono quelli di Astrid, c’era una sottile ma forte elettricità nel modo in cui si stavano guardando. Quel legame si spezzò quando lo sconosciuto lasciò una banconota sul bancone e si affrettò a uscire dal locale.
“Vado … a controllare la macchina.” Disse Astrid, una scusa banale per uscire.
Logan aggrottò la fronte e Remy fece spallucce, alle volte sua sorella aveva un comportamento bizzarro.
Una volta fuori dal pub, Astrid si strinse nella giacca di jeans per ripararsi dalla frescura serale.
“Mi stai seguendo?”
La ragazza sobbalzò per lo spavento, occhi sgranati e bocca semiaperta. Si rilassò solo quando riconobbe la figura appoggiata al muro del pub che fumava. Era lo sconosciuto.
“Io sono Astrid.”
Sebbene fosse avvolto nel buio, gli occhi dello sconosciuto erano puntati su di lei. Era una ragazza molto giovane, piuttosto alta, i lunghi capelli castani erano intervallati da ciocche viola e azzurre, e gli occhi marroni erano contornati da un filo di matita nera.
“Ti conviene rientrare.”
“Non posso farti compagnia?”
Astrid deglutì quando lo sconosciuto camminò sotto la luce dei lampioni, doveva ammettere che era più bello di pochi minuti prima. Teneva la sigaretta all’angolo della bocca e le mani in tasca, sembrava a disagio.
“Torna dentro, fidati.”
“Mi dirai almeno il tuo nome?”
Lo sconosciuto gettò la sigaretta a terra con uno scatto nervoso. Non capiva perché una come lei perdesse tempo con un rifiuto umano come lui.
“No.”
Astrid stava per replicare ma lo sconosciuto le aveva dato le spalle e si era avviato verso una moto. Si diede della stupida, era impossibile che uno come lui perdesse tempo con una ragazzina come lei.
“Scappa! Scappa! Gli sbirri ci stanno addosso!” stava gridando una voce.
Merle e l’altro uomo scorrazzavano su una moto ad alta velocità. Non si fermarono per spiegare il motivo di quella fretta, anzi ripartirono a tutto gas nel buio della notte.
Poi accadde tutto in pochi minuti. L’auto della polizia fece una sgommata e si parcheggiò malamente lungo il marciapiede. Un poliziotto venne fuori con la pistola sollevata e lo sconosciuto alzò le mani in segno di resa. Non aveva fatto in tempo a scappare.
“Dixon, come al solito sei tu.”
Astrid si coprì la bocca con le mani per lo shock. Il poliziotto spinse lo sconosciuto contro il cofano della macchina e lo ammanettò, dopodiché lo fece sedere sui sedili posteriori.
“Signorina, lei sta bene?” volle sapere l’agente.
Astrid annuì, ma era talmente sconvolta che non riusciva a spicciare parola. Lo sconosciuto le regalò uno sguardo fugace attraverso il finestrino che le fece venire la pelle d’oca. L’auto ripartì lasciando nell’oscurità solo il colore rosso dei fari posteriori.
“Astrid, che diavolo è successo?”
Logan si era precipitato in strada subito dopo aver visto le sirene della polizia. Con lui c’erano anche Norah e Iris che spingeva la carrozzella di Remy.
Astrid restò ferma ancora qualche secondo. Il suo pensiero era focalizzato su quel paio di ali che avevano appena spiccato il volo lontano da lei.
 
Dieci anni dopo
“Signore! Signore!”
Ezekiel si voltò a guardare Jerry che correva verso di lui con le guance rosse per lo sforzo.
“Che succede, amico mio?”
“Una vecchia radio dei Salvatori si è attivata circa dieci minuti fa.”
Il Re sbarrò gli occhi. Erano sei anni che quella radio non funzionava, da quando Rick Grimes era scomparso e i Salvatori si erano dileguati.
“Avvisa anche Carol.”
Jerry riprese a correre verso la piazza centrale del Regno, laddove Carol e Nabila stavano decidendo a chi destinare i nuovi carichi giunti da Alexandria. Ezekiel raggiunse il teatro, ricostruito solo pochi anni prima, ed entrò nella piccola sala di controllo in cui avevano raccolto una serie di radio per mantenersi in contatto con gli altri gruppi.
“Signore, è questa la radio attiva.” Disse una donna.
“Che cosa hanno detto?”
“Hanno parlato di un insediamento a pochi chilometri da Atlanta. Si stanno dirigendo alla Guardia.”
Ezekiel si passò una mano fra i capelli.
“I Salvatori sono ancora vivi?” domandò Carol.
La regina era appena entrata in compagnia di Jerry, entrambi erano confusi.
“Non sappiano per certo se siano loro. Hanno comunque usato una vecchia radio dei Salvatori.” Spiegò la donna.
Carol si accorse dell’espressione cupa e preoccupata del marito.
“Ezekiel, che succede? Tu nei sai qualcosa?”
Il Re si accasciò su una sedia e si grattò il mento con fare pensieroso.
“La Guardia è un insediamento segreto. Nessuno conosce la sua posizione, eccetto me. Quelle persone sono in pericolo adesso.”
“Esiste un insediamento segreto? È assurdo.”
“Molte cose sono assurde a questo mondo. Dobbiamo accorrere in loro aiuto.”
Carol si mise le mani sui fianchi e scosse la testa.
“Perché? Abbiamo già i nostri problemi. E poi sono certa che riusciranno a fermare i Salvatori.”
“Mia regina, la questione è più complessa di quanto appare ai tuoi occhi. La Guardia è gestita da due sorelle che in passato mi hanno salvato la vita. Senza di loro io non sarei Re e il Regno non esisterebbe.”
La radio gracchiò ancora, alcune voci storpiate crepitavano attraverso la griglia. Jerry premette la leva sulla sommità per rendere i suoni più chiari.
Ci vediamo fra due giorni sulla sponda est del lago. Ripeto: ci vediamo fra due giorni sulla sponda est del lago. Se qualcuno di voi non dovesse farcela, ci muoveremo lo stesso. La Guardia è la nostra ultima speranza.
“La Guardia è davvero così importante?” volle sapere Carol.
Lo sguardo di Ezekiel si addolcì, era sempre così quando sua moglie gli rivolgeva la parola.
“Sì. È un’informazione che ho tenuto per me perché Negan all’epoca non ne era a conoscenza e, se le cose fossero andate male, avrei portato la mia gente dalle sorelle.”
“Se per te è importante, allora è importante anche per me.” disse Carol con un sorriso.
“Quando partiamo?” domandò Jerry, curioso.
“Io devo restare qui e assicurarmi che la corrente non salti di nuovo.”
“In due non siamo abbastanza. I Salvatori potrebbero essere un gruppo nutrito.” Disse Jerry.
Carol fece un mezzo sorriso perché aveva in mente la persona adatta per quel compito. Sapeva che Daryl si era accampato su una montagna non distante dal Regno, ci avrebbero impiegato all’incirca tre ore per raggiungerlo.
“Per questo esiste l’uomo giusto. Hilltop e Alexandria non possono cederci alcuni dei loro uomini, ma credo che in tre possiamo farcela.”
Ezekiel fece un cenno di assenso con la testa.
“L’insediamento si trova sulla sponda di Cowart Lake, poco distante da Atlanta. Dista all’incirca un giorno.”
“Speriamo che i Salvatori impieghino più tempo.” disse Carol.
“Mentre vi preparate a partire, io e Jerry cercheremo di metterci in contatto con la Guardia per dare l’avviso dell’imminente attacco.”
 
“Se Mark ha due merendine e Anne ne mangia una, quante merendine restano a Mark?”
Astrid osservava i bambini che si concentravano per dare la risposta. Le veniva da ridere, erano così teneri mentre scavavano nella loro giovane mente in cerca della soluzione.
“Ovviamente una.” Borbottò Remy.
“Taci.” La rimproverò Astrid.
Remy era una biochimica, la sua intelligenza era sopra la media ed era in grado di imparare qualsiasi cosa in poco tempo. Astrid la invidiava per questo. Spesso si sentiva stupida rispetto alla sorella. Del resto, era una semplice assistente sociale che non aveva mai realmente esercitato la professione a causa dei vaganti. Astrid era sempre stata la sognatrice della famiglia, quella con la testa fra le nuvole, con un nuovo desiderio da esprimere ogni giorno. Amava la lettura, soprattutto immaginarsi nei panni delle grandi eroine che sconfiggevano il cattivo e sposavano il bel cavaliere.
“Una merendina!” disse Felix, gli occhiali troppo grandi sul suo nasino.
Astrid lasciò perdere le sue farneticazioni e sorrise.
“Esatto. Bravissimo, Felix!”
Insegnare alle classi elementari le piaceva perché si divertiva a fare didattica giocando. Mettere in piedi una scuola nel bel mezzo di un’apocalisse non era stato facile, eppure era uno dei suoi maggiori successi.
“Possiamo fare merenda?” chiese una bambina.
“Certo. La lezione è finita per oggi. Ci vediamo domani.”
I bambini si rincorsero fino alla mensa fra risate e schiamazzi. Astrid sorrise, almeno per i più piccoli la vita sembrava la stessa.
“Maledizione!” disse Remy.
Erano giorni che tentava di sistemare una vecchia radio che avevano trovato durante un giro in città mesi prima. Lei amava riparare oggetti rotti, che fossero di carta, legno o tecnologia avanzata.
“Non riesci a farla funzionare?”
Remy prese un respiro e fece schioccare le ossa delle dita, pronta a chissà quale battaglia. Scrollò la radio un paio di volte e poi la colpì con dei pugnetti. L’oggetto gracchiò.
Astr ... Regn … stanno arriv … Caro … preparat
Astrid accostò l’orecchio alla radio con una certa curiosità.
“Da quando le radio registrano i messaggi?”
“Non è un messaggio. È in diretta. Qualcuno sta comunicando proprio ora.” Disse Remy.
Astrid vide che Yana sventolava la mano mentre avanzava nel lungo corridoio. La sua pelle color caramello, un retaggio delle sue origini indiane, era pallida alla luce dei neon.
“Ryan ti vuole di sopra. Dice che è urgente.”
“Vado subito. Se andate in mensa, prendete un piatto di pasta anche per me.”
Astrid si congedò dalla sorella e da Yana con un sorriso, dopodiché risalì la scaletta a pioli che conduceva alla torretta. L’insediamento si chiamava la Guardia, era una ex base militare ed era interrata. Solo la torretta di controllo sbucava all’esterno, simile ad una casetta di mattoni crudi e munita di una piccola finestra stretta e quadrata per sbirciare fuori.
“Ryan, eccomi.”
Ryan Diaz era un marine, e in passato era stato il vicino di casa delle sorelle. Era stato lui a guidare il gruppo nascosto alla Guardia.
“Abbiamo un problema. Guarda.”
Astrid si issò in punta di piedi per guardare tramite la finestrella con il binocolo. Ora capiva la ragione di tutta quella urgenza. Sull’altra sponda del lago c’erano cinque figure che riempivano le bottiglie per fare rifornimento. Ciascuna di loro brandiva una pistola o un coltello.
“Chi sono queste pers-“
La domanda di Astrid rimase sospesa nel vuoto. Yana fece capolino nella torretta con la radio che Remy stava aggiustando.
“Remy è riuscita a rimettere in funzione la radio. Ora la comunicazione è chiara.”
Ryan prese la radio e azionò il bottoncino per l’ascolto.
Qui parla Ezekiel dal Regno. Vi contatto perché i Salvatori stanno arrivando a Cowart Lake. Ho inviato una squadra di soccorso capeggiata da mia moglie Carol. Preparatevi all’imminente attacco.
“Ezekiel dal Regno? Non mi pare di conoscerlo.” Rifletté Ryan.
Astrid aprì un baule che giaceva sotto la finestra e iniziò a contare le armi che avevano a disposizione.
“Ezekiel è quel tipo che stava con noi all’inizio. Ricordi? Parlava in maniera altisonante e stava sempre con il suo fedele compagno Jerry.”
“Ora me lo ricordo. Era il tizio che voleva avere una tigre.” Disse Ryan.
“Già. Queste sono tutte la munizioni che abbiamo?”
Ryan si inginocchiò accanto a lei per fare una rapida carrellata dei proiettili a loro disposizione.
“Purtroppo sì. Siamo a corto di armi e di munizioni da tempo.”
Yana sbirciò ancora attraverso il binocolo, ad ogni passo dei Salvatori il suo cuore aumentava i battiti.
“E adesso che facciamo?”
Astrid le accarezzò la guancia per infonderle un po’ di coraggio.
“Yana, tu scendi e aiuta Remy a riportare tutti nelle loro stanze. Che nessuno, e dico nessuno, lasci la propria stanza. Io e Ryan ce la caveremo.”
“Due contro cinque è un buon vantaggio.” Disse Ryan.
Yana incrociò le braccia al petto e storse il naso, faceva così quando qualcosa non sembrava avere senso.
“Siete in minoranza. Come può essere un vantaggio?”
Ryan sfoderò uno dei suoi sorrisi sornioni, uno di quelli che faceva tremare le ginocchia di molte donne e anche uomini.
“Tattica militare.”
Astrid aprì la porta della torretta e con la mano indicò il corridoio dotato di scaletta.
“Va ad aiutare Remy, per favore. Ci pensiamo noi ai Salvatori. Tu e Hunter fate i bravi.”
Yana la guardò con la sua solita dolcezza, era quello il loro modo di salutarsi prima di separarsi per un evento importante. La ragazza corse giù per la scaletta con la lunga treccia che ondeggiava come fosse la coda di una sirena.
“Tattica militare? Vantaggio?”
“Non potevo dire a una ragazzina che stiamo andando a morire.” Ribatté Ryan.
“Giusta osservazione.”
Astrid recuperò le sue daghe dal baule e le incastrò nella cintura che stringeva i jeans sui fianchi. Passò le dita sulle lame per assicurarsi che fossero perfettamente taglienti come un tempo. Sorrise nel costatare che erano affilate in modo impeccabile.
“Sono pronto.” Annunciò Ryan.
Aveva imbracciato un fucile e alla cintola pendeva una piccola ascia con cui spesso si dilettava a tagliare i tronchetti d’albero per il fuoco. Astrid indossò una felpa nera e la sua immancabile giacca di jeans, poi sollevò il cappuccio sulla testa. Anche Ryan si coprì volto e testa. Erano tutte precauzioni per salvaguardare il gruppo e l’insediamento stesso.
“Andiamo.”
Uscirono da una porta ad arco sul fianco est della torretta, l’unico accesso alla Guardia che era stato rivestito di fogliame e rami per impedirne la vista. Astrid si tolse di dosso un ramo impigliato nella manica della giacca.
“Li vedi? Sono ancora lì?”
Ryan sbatté le palpebre un paio di volte; gli sembrava di vedere a doppio.
“Abbiamo molta più compagnia di quanto pensassimo. A ore dodici abbiamo i Salvatori e a ore nove abbiamo altre tre persone.”
Astrid gli tolse di mano il binocolo per esaminare il terreno a ore nove. Un trio di persone si muoveva verso la torretta. Uno di loro, vestito tutto di nero, si era diviso dal terzetto per dirigersi incontro ai Salvatori.
“I tre a ore nove potrebbero essere Salvatori. Uno di loro sta andando incontro all’altro gruppo a ore dodici. Come proponi di agire?”
Ryan si grattò il mento mentre ideava un piano per abbattere i nemici e restare vivi.
“Il gruppo a ore nove è armato?”
“Non sembra, o almeno non hanno armi in mano.” rispose Astrid.
“Facciamo così: io raggiungo il gruppo a ore dodici per capire quante armi hanno, mentre tu raggiungi l’uomo che si è separato. Impediamo ai due gruppi di incontrarsi, altrimenti la nostra inferiorità numerica ci ucciderà.”
“Ah, le belle notizie.” Disse lei con tono teatrale.
Ryan le diede una pacca sulla spalla e ognuno andò per la propria strada. Astrid camminava con cautela, acquattandosi dietro i cespugli o i tronchi di grossi alberi. Riusciva a intravedere la figura dell’uomo vestito di nero che procedeva con la balestra impugnata nella mano destra. Quindi sono ben armati, pensò Astrid. Un rametto si spezzò sotto il peso dei suoi anfibi. Chiuse gli occhi e trattenne il respiro, sperando che l’uomo non se ne fosse accorto. Invece, con suo dispiacere, l’uomo era consapevole di una presenza alle sue spalle e sollevò la balestra. Astrid stava per tornare indietro quando vide un’altra persona andare verso l’arciere. Era Yana.
“Fermo!” ordinò Yana, la spada corta puntata contro l’uomo.
Astrid imprecò contro quella ragazza che si ribellava ad ogni suo ordine.
“Sparisci, ragazzina.” La minacciò l’uomo.
“Non ti permetterò di razziare la mia casa.”
Yana fece un passo avanti e l’uomo rafforzò la presa sulla balestra. Astrid decise di cambiare strategia, anche se questo metteva Ryan in pericolo. Camminò con passo felpato per attaccare l’uomo alle spalle, perciò aggirò un paio di alberi per giungere la destinazione. Ora camminava verso l’arciere con le mani serrate intorno all’elsa delle daghe. Estrasse una daga e la puntò alla gola dell’uomo. Era più alto di lei e questo era un fattore sfavorevole. Ryan le ripeteva sempre che era opportuno portare il nemico ad uno status di parità.
“Metti giù la balestra e inginocchiati. Adesso.”
L’uomo lasciò cadere la balestra sulla ghiaia e lentamente si mise in ginocchio con le mani alzate.
“Me la stavo cavando anche da sola.” sbottò Yana, infastidita.
“Faremo dopo i conti.” Disse Astrid.
Quella distrazione fu un grave errore. L’uomo riuscì a slacciare il coltello che portava alla cintura e pungolò il fianco di Astrid. L’avrebbe ferita se avesse applicato una lieve pressione.
“Metti giù il pugnale.”
La voce dell’uomo era profonda e roca, faceva quasi timore. Astrid, anziché obbedire, gli graffiò la gola con la lama della daga.
“Se mi ferisci, io ti taglio la gola.”
Yana trattenne un urlo quando Hunter balzò dal nulla. Sguainò la sciabola dal fodero e la puntò contro l’arciere a terra. Ora era circondato e non aveva nessuna possibilità di scampo.
Astrid fulminò i due adolescenti con gli occhi, avvilita dal fatto che nessuno le desse mai retta.
“Avevo detto di stare dentro. Cosa non vi è chiaro?”
“Tutta la parte dello stare dentro.” disse Hunter, il sorriso beffardo sulle labbra.
Astrid avrebbe voluto sgridarli per ore, ma dovette desistere almeno per il momento. Abbassò la daga e fece qualche passo indietro. Prese la balestra e se la mise in spalla per impedire all’uomo di difendersi. Inoltre, gli strappò di mano il coltello e se lo infilò nella cintura.
“Che ne facciamo di lui?” domandò Yana.
“Lo portiamo …”
Astrid si interruppe di colpo. Un dettaglio catturò la sua attenzione. Credette di star sognando, quindi si diede un pizzicotto sul braccio. Era tutto reale.
“Astrid?” la chiamò Hunter.
Lei non rispose. Era come se una forza magica l’avesse rispedita indietro di dieci anni. Si portò le mani sul petto, il cuore che batteva il doppio.
L’arciere indossava un gilet su cui era cucite due ali bianche.
“Sei tu.” Sussurrò Astrid.
 
 
Salve a tutti! 🧡
Questa è la mia prima storia su The Walking Dead, quindi siate clementi.
Gli eventi della serie e il loro ordine cronologico sono stati alterati per adattarli alla storia.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo inizio.
Alla prossima, un bacio.

Parabellum || Daryl Dixon Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora