Oro tra le crepe (pt. II)

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6. ORO TRA LE CREPE PT. II

Astrid si svegliò di soprassalto quando udì un rumore. Aveva sempre sofferto di sonno leggero, ma si era fatto ancora più leggero da quando il mondo era andato a rotoli. Temeva che fossero entrati i vaganti, quindi impugnò le daghe e si mise sulle ginocchia. Con sorpresa, si accorse che i lamenti provenivano da Daryl. L’arciere stava facendo un incubo, considerando che farfugliava parole incomprensibili e si rigirava nel suo cantuccio.
“Daryl? Ehi, svegliati. Daryl?”
Lo scrollò piano per non spaventarlo, eppure lui restava intrappolato nel suo incubo.
“Daryl!” gridò Astrid.
L’arciere sbarrò gli occhi e si mise seduto, il petto si alzava e abbassava a ritmo del suo respiro concitato. Era sudato, i capelli appiccicati alla fronte e alla nuca.
“Che succede?”
Astrid tirò un sospiro di sollievo. Si sedette per terra e si massaggiò le tempie, le doleva ancora la testa.
“Stavi facendo un incubo. Ti agitavi molto e ho pensato che svegliarti fosse la cosa giusta.”
“Mmh.”
Daryl non avrebbe ripreso sonno, quindi si alzò e diede un’occhiata fuori. I vaganti stavano ancora girovagando davanti al rifugio. Era notte fonda, gli occhi gialli dei gufi comparivano e scomparivano tra le fronde nere del bosco.
“Vuoi parlarne?” domandò Astrid, insicura.
“No.” Tagliò corto Daryl.
La donna annuì e si distese sulla logora coperta che aveva trovato in un armadio della casa. Non avrebbe dormito, però almeno avrebbe evitato lo sguardo corrucciato di Daryl.
“Scusa.” disse Daryl dopo qualche minuto.
Astrid si voltò verso di lui, restando sempre sdraiata, e poggiò la testa sulla mano.
“Non ti preoccupare. Ci sono cose di cui non vogliamo parlare, ed è giusto così.”
L’arciere era nervoso, si muoveva su e giù e si grattava il mento.
“Come fai a saperlo? Della mia schiena, intendo.”
“Oh, ehm … lascia stare. Non mi sembra il caso.” Biascicò lei, imbarazzata.
“Dimmelo. Per favore.”
Astrid per la prima volta riconobbe una certa vulnerabilità in Daryl. Si sedette e si portò le braccia intorno alle gambe, abbracciandosi da sola.
“Hunter ha una cicatrice sulla testa e si gratta ogni volta che piove o è umido. Quando siamo saliti sulla cisterna, l’ambiente era umido e tu hai iniziato a grattarti la schiena. Anche prima, sotto la pioggia, ti sei grattato.”
“E che significa?”
Astrid deglutì, voleva ingoiare le sue stesse parole pur di non esprimere la propria opinione. Ma l’arciere la guardava come se volesse estrapolare da lei chissà quale verità.
“Quando il clima cambia il corpo deve adattarsi, pertanto manifesta questo adattamento tramite dei sintomi. Poichè il tessuto cicatriziale è più sensibile di quello sano, dà prurito quando le condizioni climatiche cambiano. Ho dedotto che hai delle cicatrici perché con l’umidità e con la pioggia ti tocchi spesso la schiena.”
Daryl spostò lo sguardo verso le fiamme basse del camino, il fuoco si stava ormai estinguendo. Astrid in qualche modo gli aveva parlato dritto all’anima, e questo gli faceva paura. Detestava l’idea che qualcuno lo capisse solo guardandolo.
“Capisco.”
“Scusami. Non avrei dovuto! Io … io … scusami.” Disse Astrid, mortificata.
“Hai ragione. Sono sulla mia schiena.”
Le supposizioni di Astrid trovarono una dolorosa conferma. Aveva sospettato che la schiena di Daryl fosse segnata dalle cicatrici, ma saperlo con certezza era ancora peggio. Lei aveva studiato gli abusi sui minori, le cause e gli effetti a lungo termine, e l’arciere rientrava perfettamente nei parametri.
“In Giappone esiste la pratica del ‘Kintsugi’ che consiste nel riparare le crepe dei vasi con l’oro o l’argento. Lo fanno perché credono che qualcosa che ha subito una ferita diventa più bello.”
“Mi stai paragonando ad un vaso?”
Astrid ridacchiò, alle volte l’arciere era davvero uno sciocco.
“Ti sto dicendo che, malgrado tutte le crepe, sei bello.”
Daryl aveva assunto tutte le sfumate di rosso, l’imbarazzo era talmente evidente sulle sue guance. Nessuno, e in particolare nessuna donna, gli aveva mai detto che era bello. In realtà, non aveva mai pensato al proprio aspetto fisico. Si era sempre visto come un uomo normale, né bello né brutto, quindi non capiva cosa vedesse Astrid in lui.
“Perché Hunter ha quella cicatrice?” indagò Daryl.
Astrid bevve una generosa sorsata d’acqua prima di parlare, aveva la gola secca dopo una notte passata al freddo.
“E’ il motivo per cui era ospite nella nostra casa famiglia. I suoi genitori erano tossicodipendenti, litigavano sempre ed erano sempre sotto effetto di stupefacenti. Una sera, durante un brusco litigio, la madre di Hunter ha scagliato a terra un vaso di vetro e un frammento ha colpito il bambino in pieno. I vicini hanno chiamato il 911 e poi l’ospedale ha chiamato me per una consulenza. Hunter aveva solo sei anni, non poteva restare in una famiglia del genere e quindi l’ho portato alla casa famiglia.”
Daryl capì perché Astrid lo aveva collegato ad Hunter. Lei sapeva tutto, aveva scoperto la sua schiena e di conseguenza la storia orribile che celava.
“E Yana?”
Astrid sorrise al nome della ragazza indiana, era la sua migliore amica dopo Remy.
“La sua storia è diversa. Lei e sua madre sono scappate dall’India perché il nonno materno voleva organizzare un matrimonio combinato per Yana. Quando sono arrivate in America, non aveva niente e la madre ha iniziato a rubare cibo e vestiti. E’ stata arrestata per furto e per ingresso clandestino nel Paese. La polizia ha convocato me e Logan perché ospitassimo Yana da noi. La madre è morta pochi mesi dopo in carcere per via una di febbre curata male.”
Daryl si accorse che Astrid aveva gli occhi lucidi, era visibile l’affetto che provava per quei ragazzi. Lei aveva dato loro una nuova vita proprio mentre il mondo andava in rovina.
“Sei stata brava con loro.”
Lei sorrise riconoscente, malgrado dubitasse di essere stata brava. Yana di per sé era una ragazza estroversa, mentre Hunter restava chiuso in se stesso e poco disponibile verso gli altri.
“Vuoi vedere una cosa?” chiese Astrid per spezzare l’imbarazzo.
“Mmh.”
Daryl si morse l’interno della guancia quando Astrid sollevò un lembo della t-shirt per mettere in mostra il fianco nudo. Aggrottò le sopracciglia quando notò che sotto le costole c’era un grande livido nero.
“Questa macchia nera è qui da anni. Quando ci muoviamo e Remy non può usare la carrozzina, io la prendo sulle spalle e le sue ginocchia premono sui miei fianchi per reggersi. All’inizio era dei semplici lividi ma col passare del tempo si sono trasformati in macchie scure che non andranno via.”
Astrid si risistemò e sorrise, non si vergognava di quei segni sulla pelle.
“Sei piena di sorprese.” Disse Daryl.
La sua mente ancora pensava al fianco scoperto, alle costole, alla linea del bacino che terminava nei jeans. Non aveva mai fatto quei pensieri, nessuno aveva attirato a quel modo la sua attenzione. Astrid rise, era piacevole quel suono.
“E non hai visto ancora tutto! Ho anche dei tatuaggi.”
Daryl la squadrò da capo a piedi ma non vide nessun tatuaggio.
“Quali sarebbero?”
“Ecco, questo è il primo.”
Astrid gli mostrò la parte interna del polso dove era incisa una parola. Daryl avrebbe voluto sfiorare il tatuaggio, però non gli sembrava opportuno.
“Che significa?”
“E’ una parola greca. ‘Meraki’ significa fare qualcosa con tutta l’anima, mettere tutto te stesso in ciò che fai.”
“Mi piace.” Disse l’arciere, osservando con cura la parola.
“Grazie. Poi ho altri due tatuaggi che non posso farti vedere.”
“Perché?”
Astrid rise, la divertiva il fatto che l’arciere probabilmente sarebbe svenuto se gli avesse mostrato gli altri tatuaggi.
“Perché ho una rosa tatuata in mezzo ai seni e poi ho una stella tatuata sulla natica sinistra.”
Daryl scoppiò a ridere, incapace di trattenersi. Ora l’incubo che aveva avuto sulla cella el Santuario era un lontano ricordo.
“Eri ubriaca quando li ha fatti?”
“Sono astemia, il che vuol dire che ero lucida quando ho fatto questa pazzia. La rosa l’ho tatuata quando ho compiuto venti anni, era il regalo di Remy. La stella, invece, l’ho tatuata perché ho perso una scommessa con le mie amiche.”
Stavano entrambi ridendo, allegri anche se fuori i vaganti li sbarravano la strada. In quel rifugio si era creata una sorta di zona sicura, uno spazio lontano dal mostruoso mondo esterno.
“Anche io ho qualche tatuaggio. Un paio di diavoli sulla schiena, un terzo sul braccio e sulla mano.”
Astrid adocchiò la mano destra dell’arciere e guardò con un sorriso il teschio ricordato da una serie di ‘x’.
“Perché i diavoli?”
“Nessun motivo particolare. Ero sbronzo, mi sono piaciuti e ho chiesto al tatuatore di farli. O forse li ha scelti mio fratello. Non ricordo bene, è tutto confuso dall’alcol.”
Astrid sentì un pizzico di curiosità ribollire nelle vene dopo che Daryl ebbe menzionato suo fratello. Anche lo sconosciuto di dieci anni prima aveva un fratello, un tipo viscido che ancora faticava a scacciare dai ricordi. Si chiamava Merle.
“Tuo fratello, hai detto?”
“Sì. Lui non ce l’ha fatta. Si chiamava Merle.”
Astrid sarebbe rotolata a terra se non si fosse sorretta alla parete. Era lui! Finalmente tutto aveva un senso, ogni pezzo del puzzle aveva trovato posto: gli occhi azzurri, il gilet di pelle, le frecce, il fratello.
“Daryl, io devo dirti una cosa.”
“Che cosa?”
Le speranze di Astrid andarono in frantumi quando la finestra esplose in mille schegge di vetro. I vaganti si erano riuniti sul lato della casa e avevano spinto fino a dissestare i cardini.
“Sul serio? Proprio ora?!” inveì Astrid contro gli intrusi.
Frattanto Daryl aveva recuperato la balestra e stava già scoccando frecce di qua e di là, i vaganti si accasciavano come fiori secchi. Astrid brandì le daghe e infilzò qualche testa, il sangue putrido le schizzava addosso.
“Giù!” gridò Daryl.
Lei si accucciò sotto la finestra e la freccia le volò sopra la testa prima di conficcarsi nel petto di una vagante. Questa indietreggiò per il contraccolpo e Astrid ne approfittò per piantarle la daga nel cervello. Stava per allontanarsi quando un altro vagante la ghermì per il polso, strattonandola verso di sé. Tentò di svincolarsi ma la presa era ferrea, quindi strinse le mani intorno alla gola del vagante per scostarlo. Astrid ruzzolò per terra, la schiena sbatté contro le assi del pavimento e per un istante si annebbiò la vista. Il vagante le cadde addosso, la bocca che bramava di azzannarla. Lei chiuse gli occhi, pronta al peggio ormai. Quando non accadde nulla, li riaprì e vide che Dog stava colpendo il vagante con le zampe. Con la daga bucò la testa del cadavere vivente, uccidendolo per sempre.
“Grazie, Dog.”
Il cane abbaiò e balzò verso il prossimo vagante. Astrid si rimise in piedi, afferrò un non-morto per la spalla e gli piantò il pugnale nella testa. Altro sangue putrido mescolato ad altri liquidi non identificati le imbrattarono i vestiti e i capelli. Una freccia attraversò la stanza per finire dentro l’occhio di un vagante. La seconda freccia, invece, fece centro nel cranio.
“Bella mira, Dixon.”
“Sta tutto nell’inclinazione del polso.” Replicò lui.
Astrid rise, era solo l’ulteriore conferma che lui fosse lo sconosciuto che per mesi aveva abitato la sua mente.
“Direi proprio di sì.”
L’ultimo vagante si arrese sotto i denti di Dog, che lo attaccò fino a che Daryl non lo uccise con una freccia. Astrid si mise una mano sugli occhi per ripararsi dai primi raggi del sole che entravano dalla finestra rotta.
 
Erano le cinque del mattino e Ezekiel era già sceso in strada. La tempesta era finita, lasciandosi dietro alberi caduti e tetti divelti. L’unica nota positiva è che tutti erano vivi. Tutti tranne Daryl e Astrid, ancora dispersi.
“Dove vai?”
Il Re sobbalzò, non si aspettava che qualcuno vagasse per il Regno a quell’ora. Remy spingeva la sedia a rotelle con la determinazione dipinta in volto. Uno zaino pendeva al suo fianco.
“Dove stai andando tu? Non credo che quello zaino ti serva per l’impianto elettrico.”
“Il tuo impianto elettrico può andare al diavolo. Io devo salvare mia sorella.”
“Assemblea cittadina?”
Carol camminava verso di loro con l’arco sulla schiena e un coltello in mano. Indossava la giacca e la sciarpa, segno che stava uscendo dal Regno.
“Sto dicendo al Re che voglio andare a cercare mia sorella.” Rispose Remy, stizzita.
Ezekiel alzò gli occhi al cielo, non era in vena di sopportare quel comportamento infantile.
“Lo sai che non puoi lasciare il Regno.”
“Perché sono disabile? Solo perché sono in carrozzina non significa che io sai inutile!”
Il Re guardò Carol con occhi supplichevoli, aveva bisogno del suo aiuto per dissuadere Remy.
“Non si tratta della disabilità. Tu devi restare al sicuro perché sei l’unica in grado di decifrare Dorothy. Se tu muori, morirà anche la possibilità di trovare una cura.”
“Carol ha ragione. Tu sei la nostra speranza.” Disse Ezekiel.
Remy lanciò un’occhiata ai cancelli, sperava di vedere sua sorella entrare con il suo sorriso luminoso. Invece lei era dispersa nel bosco, dopo una tempesta che aveva distrutto quasi tutto. Sarebbe dovuta uscire a cercarla, ma sapeva in cuor suo che Astrid avrebbe preferito morire piuttosto che mettere in pericolo la possibilità di una cura.
“Io resto qui. Però tu devi mandare i tuoi uomini migliori a cercare Astrid.”
“Ci penso io.” promise Carol.
 
Daryl estrasse l’ennesima freccia dal cranio di un vagante e strofinò la punta sulla maglia del cadavere per togliere il sangue. Astrid aveva appena ucciso due vaganti, pungendo le loro teste con le daghe. Alla fine i non-morti avevano fatto irruzione nel rifugio e loro si erano difesi a suon di armi e di mani, riuscendo a eliminare i nemici.
“Che schifo.” Stava borbottando Astrid.
La sua t-shirt era impiastricciata di sangue, materia cerebrale e altre sostanze. Anche i jeans erano nelle stesse condizioni. In mezzo a tutto quel sangue rappreso c’era una macchia color rubino.
“Sei ferita.”
Astrid non riusciva a riscontare ferite, era difficile distinguere il sangue fresco da quello secco dei vaganti. Daryl si avvicinò a lei e le indicò una macchia rossa sul collo.
“Hai del sangue sul collo, ma penso che la ferita sia alla spalla.”
Lei sbiancò, temeva di essere stata morsa durante la colluttazione.
“E’ un morso? Ti prego, controlla.”
Astrid si abbassò la manica della maglia, si mise i capelli sulla palla sinistra e si girò in modo che l’arciere avesse la visuale migliore. Daryl non si capacitava del perché quella donna fosse tanto disinvolta. Gli aveva raccontato dei tatuaggi in posti particolari, gli aveva mostrato il livido sul fianco, e ora addirittura quasi si spogliava davanti a lui.
“Allora? E’ un morso, vero?”
Daryl impiegò tutto il suo coraggio per scostare la spallina del reggiseno e dare un’occhiata alla fonte del sangue sul collo. Non era un morso, bensì era un graffio profondo che le sfigurava la pelle dalla nuca alla scapola. Nella ferita c’erano dei pezzi di legno.
“Non sei stata morsa. Devi esserti ferita cadendo su un ramo.”
“Oh, grazie al cielo!”
Astrid si risistemò la manica e si infilò la felpa, ormai strappata, dopodiché si mise il giubbotto di jeans. Daryl fece un passo indietro e si portò le mani in tasca, ancora in imbarazzo per quanto accaduto poco prima.
“Cosa volevi dirmi prima?”
Astrid sbarrò gli occhi, neanche una doccia ghiacciata l’avrebbe sconvolta tanto. Sperava che lui non ricordasse quel particolare. Eppure era arrivato il momento di dissipare ogni dubbio.
“Dieci anni fa …”
“Daryl! Daryl, sei qui? Astrid!”
Da dietro un albero sbucò Carol, l’arco proteso in avanti per anticipare ogni tipo di attacco. La Regina sorrise quando vide che il suo migliore amico stava bene. Daryl le andò incontro e la strinse in un abbraccio caloroso. Astrid avvertì una spiacevole sensazione, un pizzico che le attraversava il corpo. Desiderava che le braccia dell’arciere stringessero lei.
“Astrid!”
Le braccia possenti di Jerry la stritolarono in un abbraccio, e lei vi si abbandonò completamente. Affondò il viso nel petto dell’amico per non pensare a Daryl e Carol.
“Remy e i ragazzi non vedono l’ora di rivederti. Anche Ezekiel ne sarà felice.”
“Grazie, Jerry. Sono pronta ad andare.”
Mentre Jerry chiamava a raccolta gli altri uomini, Astrid rientrò nel rifugio per recuperare lo zaino. Digrignò i denti quando la spalla le diede una scarica di dolore.
“Dai a me lo zaino.” Si offrì Daryl.
“Ce la faccio.”
“Sei ferita.” Disse Carol, entrando nella casa.
Astrid non riusciva proprio a tollerare la presenza della regina, non dopo che aveva mandato a monte la sua confessione.
“Ho detto che ce la faccio.”
Daryl corrugò la fronte ma non insistette, era palese che lei fosse irritata per qualcosa. Si misero subito in cammino per evitare un altro gruppo di vaganti prima che facesse sera. Astrid stava al fianco di Jerry e parlottavano fra di loro, mentre l’arciere camminava accanto alla regina.
“La stai fissando.” Gli fece notare Carol.
“C’è qualcosa di familiare in lei.”
“Oppure ti piace.”
Carol adorava punzecchiarlo, tant’è che Daryl le diede una spallata giocosa.
“Non mi piace in quel senso.”
 
“Ahia! Ouch! Ahia!”
Deborah, che si occupava dell’infermeria del Regno, aveva ordinato ad Astrid di farsi curare la ferita prima che si infettasse. Ecco perché ora si lamentava ogni volta che l’alcol le pungolava la pelle lesa.
“Abbiamo finito. Ora applico una benda pulita. Dovrai disinfettare ogni mattina la ferita, spargere sopra un filo di pomata medicinale e cambiare la benda. Intesi?”
“Intesi.”
Astrid non avrebbe avuto problemi con i bendaggi poiché Remy si sarebbe prodigata per medicarla con costanza. La sorella maggiore odiava i germi ed ogni occasione era buona per distruggerli.
“La paziente può tornare a casa?”
Yana fece capolino nella stanza, un sorriso dolce a incurvarle le labbra.
“Tienila sott’occhio.” Disse Deborah.
“Sissignora.”
Astrid spalancò le braccia e Yana l’abbracciò senza fare troppa pressione. La tutrice emanava cattivo odore, sangue incrostato e sudore si mescolavano.
“Puzzo così tanto?”
“Hai davvero bisogno di una bella doccia. Andiamo, a casa ti aspettano tutti.”
Il Regno era in fermento per le riparazioni, c’era un viavai che affollava strade e edifici. Remy ed Ezekiel avevano messo tutti sotto torchio senza esclusioni. Daryl e Carol non si vedevano in giro, e Astrid provò una punta di gelosia immotivata. Si portò la mano al collo e toccò il vuoto.
“No. No. No …”
“Che hai?”
Astrid si tasto più volte il collo in cerca della collana, ma non c’era altro che pelle sporca e sudata.
“Ho perso la mia collana.”
Yana sapeva che quel ciondolo apparteneva ad Ella, la madre delle sorelle, e la intristì scoprire che era andato perduto.
“Astrid, sei stanca ed è sera. Andiamo a casa, mangia, lavati e va a dormire. Domattina ci metteremo a cercare la collana.”
“Certo.” Replicò Astrid senza troppa convinzione.
 
Astrid sembrò rinata dopo la doccia. Lavare via il sangue, la terra e il sudore era come togliersi un peso di dosso. Si infilò il pigiama – un vecchio leggins rosa e una maglietta nera – e si sedette sul bordo della vasca per asciugarsi i capelli. Era troppo sfinita per restare in piedi qualche altro minuto di più.
“E quindi ho preso un’insolazione al culo.”
Astrid aggrottò le sopracciglia e si voltò verso la soglia del bagno. Hunter se ne stava lì con un sorriso divertito stampato in faccia.
“Il tuo culo sta benissimo. E’ la tua testa che ha qualche problema.”
“Mi mancavano le nostre conversazioni filosofiche.” Disse Hunter.
Astrid staccò il phon e lo ripose nel mobiletto sopra il lavandino, dopodiché si sciacquò il viso con l’acqua fresca.
“Ultimamente sembri più introverso. Qualcosa non va?”
Hunter sbuffò, non voleva essere psicanalizzato ogniqualvolta parlava con lei.
“Questo posto non mi piace. Non mi piacciono neanche gli altri ragazzi. Contenta?”
“Altro da dire? Sono qui, se vuoi.”
“Sei tornata da un’ora e già mi rompi le palle. Incredibile!” sbottò il ragazzo.
Astrid non ebbe il tempo di ribattere che Hunter era già sgattaiolato in camera sua. Se ne sarebbe occupata più tardi, adesso era troppo stanca per ragionare.
Remy chiuse la porta usando i ganci per una maggiore sicurezza. Ezekiel aveva portato un cestino di frutta per Astrid ed era andato via dopo aver augurato loro la buonanotte.
“Uh, arance! Io le adoro!” esultò Yana, sbirciando il cestino.
“E’ odore di ananas questo?”
Astrid scese le scale con il naso all’insù per respirare quella dolce fragranza. Sin da bambina adorava l’ananas, soprattutto quando sua madre preparava qualche dolcetto.
“Ezekiel ti ha donato un cesto di frutta. Come va la spalla?” chiese Remy.
Astrid aveva assunto un antidolorifico poco prima, e sembrava stesse già sortendo un effetto benefico dato che il dolore si era attenuato.
“Più o meno bene. Apriamo quell’ananas?”
 “Prima dobbiamo cenare, poi pensiamo a divorare questo adorabile cestino.” Disse Yana.
La cena proseguì serena con Astrid che fece il resoconto di quanto scoperto al canale e quanto era accaduto con i vaganti. Remy le riferì di aver rimesso in moto l’impianto elettrico e che i vari lavori di riparazione erano ormai completati. Nel giro di tre settimane il Regno era tornato come nuovo grazie ai suoi progetti.
“Ero sicura che ce l’avresti fatta. Sei davvero un genio, Remy!” si complimentò Astrid.
“Grazie.”
La risposta laconica di Remy fu un campanello d’allarme. Di solito avrebbe spiegato nei minimi dettagli il funzionamento dell’impianto, avrebbe parlato a raffica della corrente e della sua conduzione, e invece si era limitata ad un cenno del capo.
“Che mi sono persa? E non provate a mentire.” Disse Astrid.
“Mentre eri via e la tempesta ci teneva chiusi in casa, mi sono dedicata a Dorothy. Ho decifrato un’altra pagina, ma non ha senso quello che c’è scritto. Yana, per favore, prendi la scatola.”
Yana svanì al piano superiore per tornare pochi minuti dopo con la fatidica scatola di latta. Spostò piatti e bicchieri per deporre i fogli sul tavolo. Remy si sporse per indicare la pagina decifrata.
“Questo è il testo estrapolato. Per me non ha alcun significato.”
Astrid prelevò il foglio e lo mise sotto la luce per leggere la grafia incomprensibile della sorella maggiore.
“Oggi ho fatto una scoperta tremenda, una di quelle che vorrei non venissero mai a galla. I codici sono stati attivati all’insaputa del Direttore. Stavo facendo la consueta ronda notturna quando ho visto Faccia Pallida nella sala dei computer. Mi sono nascosto e l’ho spiato. E’ stato lui che ha attivato i codici. Mi uccidono se vengono a sapere che …”
“Qui la pagina si interrompe. Poi riprende sotto.” Intervenne Remy.
Astrid con l’indice seguì le righe fino ad arrivare a quello che le interessava.
“Non so quanto ancora vivrò. Ormai sono stato compromesso. A chiunque stia leggendo: non fidatevi del Dottor Frankenstein! Non fidatevi del Dottor Frankenstein!”
“A me sembra una sorta di diario personale. Alcune pagine riportano la data.” Disse Yana.
“Date che coincidono con la  pre-diffusione del virus. Queste pagine si datano ad aprile e il virus ha iniziato a diffondersi a maggio.” Disse Remy, indicando le date in alto.
“Chi ha scritto il diario sapeva dell’esistenza del virus prima della diffusione.” Dedusse Astrid.
Remy annuì e puntò il dito su una frase in particolare.
“E per questo era in pericolo di vita. Dice di non sapere quanto ancora vivrà perché è stato compromesso.”
“Poi chi sarebbe questo Dottor Frankenstein?” si incuriosì Yana.
“E’ un nome in codice. Tutte queste pagine sono in codice per impedire al Dottor Frankenstein di decifrarlo.”
Astrid si prese un momento per meditare. Perché usare sigle in codice per tutto? chi aveva redatto quelle pagine? era ancora vivo? Oppure era stato scoperto e ucciso?
“C’è qualcosa che non mi convince. Troppi misteri intorno al Centro Controllo Malattie. Non vi sembra strano? Codici, pseudonimi, strani racconti, insomma è tutto assurdo.”
Le tre donne sussultarono quando Clara entrò di soppiatto in cucina. Hunter aveva cenato in camera sua, troppo nervoso per avere contatti umani.
“Clara, tesoro, non farlo mai più.” disse Yana, la mano premuta sul cuore che batteva forte.
“Astrid, mi racconti una favola?”
“Va pure, domani a mente fresca ragioneremo meglio.” Disse Remy.
Astrid annuì con un sorriso, dopodiché risalì le scale con Clara. La bambina stringeva al petto il coniglio di peluche come se da esso dipendesse la sua vita.
“Ci sono tante stelline!”
“Vuoi che ti parli delle stelline?”
“Sì!”
Astrid si sedette sul davanzale della finestra, tanto ampio da ospitare una persona, e prese Clara in braccio affinché entrambe guardassero il cielo.
“C’era una volta la Fata delle stelle …”
 
Daryl aveva deciso di fare quattro passi prima di andare a letto. A volte gli capita di essere troppo stanco ma non di riuscire a dormire. Dog, invece, sonnecchiava beatamente giù da un’ora nella casa che Ezekiel aveva offerto loro.
“Sì!”
L’arciere udì una voce sottile, quindi si guardò in giro nel caso in cui qualcuno lo stesse pedinando. Non c’era nessuno che vagava nel buio. Poi con la coda dell’occhio vide una luce gialla provenire da una villetta. Affacciate alla finestra c’erano Astrid e Clara, rannicchiate in un abbraccio stretto. Indietreggiò fino a rintanarsi dietro un albero, non voleva essere visto. Una parte di lui voleva andare a casa ma l’altra, quella irrazionale, lo teneva inchiodato alla voce di Astrid. La donna stava parlando di stelle.
“C’era una volta la Fata delle stelle che aveva il compito di mantenere accese tutte le stelle. Le cose non andavano bene perché notte dopo notte le stelle si spegnevano e scomparivano dal cielo. La luna e le sorelle stelle piangevano tanto, le loro lacrime si trasformavano in pioggia ogni notte. La Fata delle stelle, allora, decise che era tempo di agire e una notte si appostò dietro la luna per fare da guardia al cielo. Scoprì che c’era un ladro che rubava le stelle. Una settimana dopo la Fata affrontò il ladro, gli ordinò di restituire le stelle al cielo. Il ladro si mise a piangere e disse alla Fata che lui rubava le stelle perché si sentiva solo. A quel punto la Fata chiese aiuto alla Luna e insieme scelsero di perdonare il ladro e di esaudire un suo desiderio. Il ladro chiese di diventare una stella. La Fata lo trasformò nella stella più bella e luminosa dell’universo: la stella cometa.”
Daryl d’istinto aveva sorriso. Uno strano calore si andava espandendo nel petto, come fuoco che riscalda dopo un gelido inverno. Quella voce era familiare. La cadenza di Astrid, il modo in cui pronunciava alcune lettere, la dolce cantilena della sua voce gli davano sensazioni note. In passato doveva averla già incontrata, anche se non ricordava quando e come. I suoi occhi marroni, i suoi capelli dai riflessi ramati, la sua risata. Sì, lui conosceva Astrid. Guardò la finestra, Astrid stava cullando Clara mentre le mormorava chissà cosa.
“D’accordo, piccolina, è ora di andare a nanna. Saluta le stelline.”
Clara sventolò entrambe le manine verso il cielo, un sorriso tenerissimo sulle labbra.
“Ciao, stelline! Ciao, Luna! Ciao, Fata!”
Astrid rivolse uno sguardo al cielo e sospirò, almeno quella vista le concedeva una breve ma intensa quiete. E mentre lei si perdeva ad ammirare il manto notturno, Daryl si perdeva ad ammirare lei.
Uno come lui poteva mai aver incontrato una come Astrid? O era solo un sogno?
 

Salve a tutti! 🥰
Ormai le cose si fanno serie. Dorothy inizia a tirare fuori alcune verità e Daryl sembra ricordare vagamente Astrid.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

Parabellum || Daryl Dixon Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora