Capitolo IV

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«Ben ritrovata signorina Bowls» mi risponde Connor Pence non appena apro la porta. Lo accolgo con la più scioccata delle mie espressioni dipinta sul volto.

«Ovviamente sono sarcastico quando dico ben ritrovata» aggiunge con un punta di acidità.

«Io...»

Non so davvero cosa dire. Mi piego per raccogliere il peluche cadutomi a terra e nel farlo mi accorgo che il signor Pence mantiene con due dita le mie scarpe. Quelle scarpe. Le stesse che ho lanciato per aria senza un' apparente motivo nel suo ufficio. Armandomi di pazienza, mi tirò su e cerco di instaurare una conversazione con il mio improbabile visitatore: «Mi scusi signor Pence per ciò che è successo oggi. Sono desolata, immagino ci siano danni che io debba pagare»

Non so perchè l'ho detto ma è l'unica cosa sensata che mi è passata per la mente. Per essere precisi non è proprio l'unica, dal momento che gli ho combinato di peggio a sua insaputa, ma forse è meglio sorvolare su questo punto.

«Non c'è nessuna teiera da pagare, si tranquillizzi»

«Oh. Beh...»

«Avrei bisogno di discutere con lei di una questione»

Un groppo mi si forma in gola. Deglutisco piano e gli faccio finalmente segno di accomodarsi dentro: «Certo. Se non le dispiace mi segua in cucina» gli dico, indicando con un dito Claire che sta sonnecchiando beata nel soggiorno.

Lui sposta gli occhi su di lei e, per un attimo, la sorpresa sembra coglierlo impreparato ma si desta subito dal breve momento di stupore e mi segue lungo il corridoio in silenzio. Appena entriamo in cucina, gli faccio cenno di accomodarsi su uno degli sgabelli del bancone posto al centro della stanza.

«Gradisce qualcosa? Del caffè, immagino!» gli chiedo, ricordando la conversazione avuta poche ore prima sull'argomento. Pence deve aver pensato lo stesso e sembra trattenere a stento un sorriso, tuttavia, si limita tuttavia a rispondermi in tono neutro di sì.

Mentre mi volto per preparare la macchina caffè, con la coda dell'occhio lo vedo sfilarsi la giacca e poggiarla alla spalliera della sedia. È davvero elegante nel suo completo blu scuro, e quella camicia poi? Mentre i miei neuroni continuano a fantasticare su cose vietate ai minori di diciotto anni, lui prende posto e, una volta seduto, comincia a parlare: «Come le dicevo signorina Bowls, avevo urgenza di discutere con lei di una questione»

«Mi dica» dico in un soffio, girandomi verso di lui.

Lui riafferra la giaccia e si mette a frugare, cercando qualcosa nella tasca interna. Dopo pochi secondi, caccia fuori un foglio ripiegato, dall'aria malandata. Lo poggia sul bancone e lo stende con le mani. Capisco immediatamente di cosa si tratta: è il mio curriculum.

«Questo», fa una breve pausa, «è uno dei pochi curricula superstiti».

«Per via del...thè?»

«Grazie alla sua, come definirla, rocambolesca uscita di scena dal mio ufficio adesso ben pochi di questi sono ben leggibili come il suo»

«Mi dispiace io non volevo, di solito non sono così impacciata ma ero... abbastanza nervosa, ecco!»

Pence mi fa segno con la mano di tacere, forse irritato dal mio parlare concitato e prosegue: «Tralasciando le sue scuse– che lasciano il tempo che trovano – sono qui per un motivo preciso: come lei ben sa l'inaugurazione della nuova filiale della mia azienda è tra pochi giorni...»

Annuisco, mentre verso con estrema cautela il caffè in due tazzine bianche: «E siete indietro con l'assunzione del personale?» tiro a indovinare.

«Lo eravamo già da prima, ma poi, grazie a lei e alla perdita di parecchi curricula ci siamo ritrovati in alto mare con le assunzioni e rischiamo di non essere pronti per venerdì» mi spiega, mentre io continuo a non capire dove voglia andare a parare.

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