Capitolo XX

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I passi miei e di Talisia, la mia compagna di stanza, rimbombano nel corridoio mentre ci incamminiamo verso il poligono di tiro per l'addestramento. È un freddo sabato pomeriggio e fuori la neve continua a cadere tempestosa e senza tregua.

«A che piano dobbiamo scendere?» chiedo a Talisia, mentre entriamo nell' ascensore. Questo posto ha così tanti piani e non lo conosco ancora bene.

Talisia, che sta qui da più tempo di me, se la cava meglio: «Al novantatreesimo, Olivia. Ci veniamo un giorno sì e l'altro pure» risponde, mentre poggia la mano tatuata sul pulsante dell'ascensore.

«Mi confondo con il piano della palestra» mi giustifico, rivolgendole un sorriso colpevole.

«Prima che tu me lo richieda a cena, la mensa si trova al centosettismo» mi stuzzica. Di tutta risposta, le faccio una linguaccia mentre lei mi strattona scherzosamente. Grazie al nostro battibeccare rumoroso, come ogni volta, attiriamo gli sguardi perplessi dei presenti.

Talisia è l'unica amica che ho qui dentro e l'unica persona di cui mi fido. Come con Martha, è la sola persona con cui sono stata sincera sin da subito. Quando mi balena nella mente l'immagina della mia migliore amica, che non vedo da mesi, stringo nervosamente il corrimano di ferro delle scale che ci portano al poligono.

«Tutto bene?» domanda Talisia, empatica come poche persone al mondo.

«Soliti pensieri tristi» ammetto, mentre entriamo nell'armeria antistante la sala da tiro per prepararci.

«Sparaci sopra» mi suggerisce lei, porgendomi le cuffie antirumore e strappandomi un sorriso.

Noi Allievi ci accomodiamo ognuno alla sua postazione, a più di sette metri di distanza dalle sagome di legno a forma di essere umano: sono gli obiettivi sui cui dovremmo esercitarci a sparare. Dimitri, colui che si occupa di questa parte del nostro addestramento, fa la sua comparsa dopo pochi minuti.

«Buongiorno a tutti» esordisce, con un marcato accento russo: «Oggi vi eserciterete ancora con le semiautomatiche. Dovrete puntare sempre lì: tra l'arteria carotide e la vena giugulare del collo, né un millimetro prima, né un millimetro dopo» ci spiega passeggiando davanti alla fila di allievi. Siamo una decina, tutti molto giovani. C'è chi è qua per scelta e chi perché non aveva scelta, come me e Talisia.

«Lo dice come se fosse facile» sussurro alla mia amica, commentando le istruzioni di Dimitri.

In due mesi, non riesco ancora a sparare centrare il bersaglio con la semplice semiautomatica. Con il fucile di precisione, invece, me la cavo decisamente meglio. Per questo motivo, vivo questa parte dell'addestramento con molto stress e senso di inadeguatezza. Se non supero l'addestramento posso dire addio al mio piano e alla nuova vita che mi è stata promessa.

Dimitri, nel frattempo, ci dà l'ordine di cominciare a sparare: carico la mia arma e punto all'obiettivo tendendo le braccia in avanti. Uno, due, tre colpi andati a male. Al mio fianco, invece, Talisia bucherella con precisione il sagomato in legno.

«Cazzo» impreco, quando anche il quarto colpo colpisce clamorosamente la porzione della spalla, invece che il lato destro del cuore.

«La mia sagoma assomiglia ad uno scolapasta» sbuffo desolata.

«Inclina la mano leggermente più a destra» mi suggerisce Talisia, mandando a centro un altro proiettile. Seguo il suo consiglio, ma manco nuovamente l'obiettivo di diversi centimetri.

Dimitri si avvicina a noi per controllare, attirato dalla sagoma-scolapasta: «Diamine, non ne azzecchi una manco per sbaglio. Se quella sagoma potesse parlare ti implorerebbe di ucciderla piuttosto che continuare con questo strazio» commenta sarcastico e annota qualcosa sul taccuino.

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