Quella sera aveva saltato volontariamente la cena, addormentandosi sul letto esausto, consapevole che la giornata seguente sarebbe stata ancora più distruttiva dell'appena trascorsa.
Infatti, quando la fastidiosa sveglia dal rumore metallico lo obbligò a socchiudere gli occhi nel buio per cercare di spegnerla alle 6:30, gli venne leggermente voglia di mandare a fanculo la scuola. Non gli andava per niente.
Non aveva la minima voglia di ritrovarsi con l'ansia asfissiante dell'incrociare lo sguardo delle persone, o peggio, dover presentarsi di fronte alla classe, o anche semplicemente approcciare in modo simpatico con altre persone. Sapeva di non potercela fare, ma si trascinò comunque fuori dal letto per sciacquarsi il viso e prepararsi per uscire.
La scuola, non aveva mai avuto un chissà quale bel rapporto con essa, anzi la maggior parte delle volte la vedeva come il muro di cemento armato che gli si scagliava di fronte, che lo separava dei suoi amici, dalla luce, dalla felicità. Lo faceva sentire ancora più diverso di quanto non fosse. Un comportamento da depresso, penserete, e forse era anche così ma non era capace di rendersene conto. La maggior parte delle volte succede esattamente queto: pensi che sia solo un momento di tristezza, "un periodo" che ci sta solo mettendo molto più del previsto per lasciarsi sorpassare, ma non sai di stare male fino a quando non ti giri ad osservare le vite degli altri... così perfette, quasi impeccabili rispetto alla tua. Era stufo, stufo di dover sempre fingere che andasse tutto bene, ma non poteva farne a meno.
E fa male, fa veramente male dover essere qualcun altro per far contenti gli altri, per non farli preoccupare, sperando prima o poi di diventare quella persona che ti ostini a fingere di essere.
Si guardò allo specchio dopo essersi lavato i denti, tutto ciò che faceva parte di lui gli sembrava fuori posto, inadeguato. Persino il suo modo di vestirsi gli pareva infinitamente inappropriato, insomma mettere i jeans, una felpa anche se leggera, e il suo solito cappello a settembre gli parve assurdo, ma si sentiva un po' meglio solo se lo aveva con sè.
E non sopportava neanche questa sua esagerata elasticità emotiva.
Ma forse un giorno...
Forse un giorno sarebbe riuscito ad apprezzarsi, forse avrebbe avuto la forza di dire quello che pensava, di essere addirittura sé stesso nonostante neanche lui sapesse chi fosse.
Indagando nei suoi stessi occhi riflessi nello specchio di fronte a lui, cercando almeno una ragione valida per non tornare al letto e riuscì a trovarla nella sua determinazione, nel sorriso che pensò i suoi amici avrebbero fatto una volta che si sarebbero incontrati.
Passò in cucina con un accenno di sorriso sul viso e il desiderio di mettere qualcosa sotto i denti, ma non appena aprì la credenza gli passò improvvisamente, non c'era nulla che gli andava di mangiare, e sapeva che se fosse stata li sua nonna gli avrebbe detto "la colazione è il pasto più importante della giornata, non puoi saltarla!", per poi porgergli una fetta di dorata torta di mele... ma non era lì e per questo decise che più tardi la sarebbe andata a trovare.Si stropicciò gli occhi, dopo aver infilato lo zaino turchese sulle spalle ed essere uscito, a causa di un raggio di flebile sole ribelle che quella mattina aveva deciso di brillare più degli altri e di colpirlo proprio nell'occhio, in quei suoi occhi nocciola che all'età di 14 anni avevano già visto troppi funerali, troppi errori ed orrori.
Cominciò a camminare per la strada, chiudendosi nel suo palazzo mentale nel quale la maggior parte delle volte pensava a tutto, ma anche a niente. Quella mattina non riusciva davvero a liberarsi della sensazione di solitudine che sentiva avvolgergli il petto, un'aura di freddo gelo che lo congelava dentro. Neanche il pensiero che avrebbe presto rivisto i suoi amici lo rassicurava, sapeva solo che avrebbe dovuto fingere che andasse tutto bene di li a poco, e quel pensiero lo deprimeva. Quando vide l'autobus avvicinarsi alla fermata sperò che si fermasse in modo che le portiere gli finissero davanti, ma non succedeva mai e il fatto che continuava a sperarci in modo così infantile lo faceva ridere ogni volta. Si sedette su un sedile freddo, quasi congelato, che gli fece venir voglia di alzarsi ma si costrinse a scacciare quell'idea.
Vide un gruppetto di tre ragazze parlottare fra loro e le invidiò. Nessuno dei suoi amici prendeva l'autobus con lui, non perché non volessero, ma solo perché abitavano in zone diverse ed era un gran peccato. Infine c'era Cico, che pur abitando nel suo stesso quartiere prendeva puntualmente la moto, di cui era gelosissimo e per questo era impossibile vederlo con qualcuno su quel gioiellino. Doveva smettere di pensare a Cico o si sarebbe arrabbiato perché la sera prima per messaggio il rosso aveva nuovamente rifiutato di portarlo a scuola, liquidandolo con un semplice "hai le gambe". Sempre il solito e fin troppo sincero Cicotobbi, ormai Giorgio aveva rinunciato a quasi tutto, compreso lui.
Non riusciva a credere che al mondo esistessero persone così sincere, con la consapevolezza della loro identità e del loro carattere, persone che pensassero :"io sono questo, accettami o vattene", li stimava e invidiava talmente tanto. Solo Dio sa cosa avrebbe dato per avere anche un cinquanta percento della sicurezza contenuta in quelle parole, ma la vita non è così semplice, e le cose belle bisogna sudarle mentre le brutte piovono addosso con la violenza di fastidiosi e pesanti macigni. Si sentiva diverso e allo stesso tempo ammaliato davanti al carisma contenuto negli occhi di quel tipo di persone, e soprattutto della loro aurea scintillante di coraggio nell'esternare il proprio essere, mentre lui ci riusciva a malapena con i suoi amici.
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Voglio essere l'uomo della tua vita -TheBadNauts-
FanfictionUna Thebadnauts che vi lascerà a bocca aperta. Parola d'autrice. ❥ Quante volte mentre viviamo un'emozione, temiamo di dimenticarla? Quante volte i nostri ricordi sfuggono alla nostra mente, rifugiandosi negli spazi più bui e nebbiosi della nostra m...