• Prologo •

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Maggio 2016.

La pelle scottava, ma era bagnata.
Il cuore batteva forte, ma non rallentava.
Era spaventata, ma sorrideva.
Era un ossimoro quella situazione inumana che aspettava da tanto, troppo tempo.
I muscoli le facevano male, ma continuava a muoverli.
La gola era secca, ma cantava.
Era lì, era arrivata.
Stava per raggiungere il suo sogno.
« Bene, Yi-eun. Come sai sei fra le migliori, ma le faremo comunque sapere alla fine delle selezioni. »
Aveva sempre visto quell'uomo come una figura di cui fidarsi, su cui avrebbe dovuto contare per avere una svolta nella vita.
Mentre faceva un inchino per salutare la giuria, pensava a sua madre, alla malattia che avrebbe dovuto curare con i soldi che le sarebbero arrivati se solo fosse stata membro delle BLACKPINK.
Così si sarebbe chiamato il gruppo di cui avrebbe dovuto far parte, se solo l'avessero presa.
« Yi-eun, com'è andata? »
Quella che le corse incontro, con le mani tremolanti e la voce eccitata, si chiamava Jisoo.
Era una delle ragazze che aveva conosciuto nell'audizione e negli allenamenti, e pensava fosse una delle più vere.
Molte erano lì perché raccomandate, e non perché fossero brave a cantare e ballare. D'altro canto, sarebbero servite per essere delle visual.
« Spero bene. Non ho dimenticato nemmeno una parola del pezzo rap. »
Si asciugò la fronte con l'asciugamano che aveva tirato fuori dalla sua borsa, che aveva lasciato sul suo posto, accanto a quello di Jisoo, che subito le disse
« Il rap è il tuo forte, ma sai anche di essere una cantante eccezionale. »
Yi-eun arrossì: era felice di ricevere tutti quei complimenti, ma non voleva parlare prima del previsto.
Si limitò a sorridere, poi disse
« Andrà benissimo anche a te, noona. »
Jisoo tirò fuori una risatina nervosa e si lasciò cadere sulla sedia, con le mani che si torturavano tra loro.
« Yi-eun, com'è andata? Ti hanno detto qualcosa? »
Si voltò alle sue spalle, vedendo due ragazze avanzare verso di lei.
Loro si chiamavano Lisa e Jennie, e le temeva alquanto. Erano due rapper bravissime, specialmente Lisa, la quale aveva sempre fatto invidia (in senso buono) a Yi-eun.
Non aveva legato con loro tanto quanto Jisoo, ma pensava fossero due ragazze piacevoli e degne di potersi esibire sul palco.
Raccontò loro lo stesso che aveva già detto a Jisoo, ma nemmeno la piccola e scherzosa conversazione che ebbe con le tre ragazze le fece allentare l'ansia.
Passarono ore e tutte le ragazze erano entrate con il viso terrorizzato ed uscite con un'espressione più tranquilla, seppur agitata fino alle stelle.
« Ragazze, salite tutte sul palco in ordine. »
Non si prese neanche un momento per guardare in viso il ragazzo che le aveva chiamate, si affrettò a mettersi in fila dietro Jisoo, con lo sguardo basso ed il cuore a mille.
Sarebbe riuscita ad avere quel posto? Sarebbe riuscita a salvare sua madre pagandole le cure?
Sarebbe riuscita a diventare una idol?
Troppi pensieri nella testa, così tanti che non si accorse di essere arrivata sul palco.
Aveva il riflettore puntato sugli occhi, mentre prima muovendosi non provava fastidio nell'averlo puntato contro.
« Inizio con complimentarmi con tutte voi, per lo sforzo, l'impegno e la bravura costante che avete dimostrato di avere durante tutti questi mesi. »
Riconobbe la voce di Yang Hyun-suk, di cui non distingueva i particolari a causa della luce troppo forte negli occhi.
« Abbiamo, però, dovuto fare una scelta. »
Il cuore cominciò a batterle forte nel petto.
« Vengano avanti... »
Strinse gli occhi e serrò le labbra.
« Jennie Kim. »
La bella ragazza fece un passo avanti, con le labbra che le tremavano per l'emozione.
« Lalisa Manoban. »
La ragazza scosse i lunghi capelli tinti mentre avanzava, con una bella luce negli occhi.
« Kim Jisoo. »
La ragazza non credeva alle sue orecchie. Si voltò verso Yi-eun, che la guardò con un sincero sorriso a trentadue denti.
Era felice per lei: lo meritava tanto quanto le altre due ragazze che erano state chiamate.
« E l'ultima... »
Yi-eun tornò a guardarsi le scarpe, a mordicchiarsi l'interno labbra e a respirare profondamente.
« Park Chaeyoung. »
Lasciò andare un ultimo respiro e alzò lo sguardo.
Quello che il fondatore della YG aveva pronunciato non era il suo nome, ma era quello di una bellissima ragazza dai capelli biondi.
Tutto ciò che aveva fatto, gli sforzi, le lacrime, il sangue, il sudore era svanito in un secondo, il tempo di pronunciare nome e cognome della ragazza che fece capolino dalla fila.
A quel punto si chiese: "Perché?"
Perché le avevano dato tutte quelle false speranze, dicendole che l'avrebbero presa in quanto una Idol perfetta?
Perché le avevano fatto sognare così tanto una vita finalmente felice con sua madre, che avrebbe potuto riacquistare la salute che aveva perso da tempo?
Perché guardava quella ragazza con sdegno, lei che era sempre stata dolce ed educata con tutti?
E perché quella ragazza si voltò a guardarla con aria di superiorità, quando non l'aveva mai notata se non per la bellezza che tutte sul quel palco avevano?
La vista, per sua fortuna, le si appannò così da non riuscire più a distinguere nulla: né l'espressione di superiorità e felicità di Chaeyoung e nemmeno quella di dispiacere di Jisoo, Jennie e Lisa.
« Grazie ancora a tutte. Potete andare. »
Yi-eun aveva un'espressione impassibile, come se stesse seduta su un divano a far nulla, ma dentro in realtà aveva tutto spezzato.
Cercava di tenere le lacrime negli occhi grandi, seppur a mandorla, e fece un piccolo inchino, lasciandosi alle spalle le quattro ragazze prescelte non prima di aver mandato un'occhiata all'uomo che le aveva dato un pizzico di speranza in quei mesi.
Si mischiò nella folla di ragazze, prese le sue cose e poi, mettendo il suo bel cappotto, uscì dall'agenzia.
Non pensava a nulla, solo a sua madre e alla reazione che avrebbe avuto una volta tornata a casa.
Il tram sembrava più sgombro del solito, seppur il trambusto di Seul alle sei del pomeriggio non mancasse mai.
Se ne stava lì, seduta sulla metro, aspettando la fermata che la lasciasse scendere davanti alla sua bella casa, ottenuta grazie al lavoro di avvocato di suo padre, che era venuto a mancare un anno prima.
Non aveva nemmeno tirato fuori le cuffie per ascoltare la musica, cosa che era solita fare durante i viaggi.
Pensava al perché non l'avessero presa.
Si chiese se fosse per la sua situazione economica poco stabile da dopo che suo padre morì e da quando sua madre si era ammalata di paralisi parziale alle gambe, che solo grazie a delle cure particolarmente costose avrebbe finalmente bloccato.
Certo, preferiva che fosse interamente in piedi, ma meglio su una sedia a rotelle che senza vita.
Le si parò davanti il negozio di alimentari vicino casa sua e capì che era giunta a destinazione. Le era mancato, infondo, il quartiere tranquillo in cui aveva abitato fino a diversi mesi prima. In quel momento mancavano i bambini che andavano in bicicletta e le vecchiette che camminavano con le buste della spesa sui carrelli.
Quando finalmente scese dal tram, si fermò a guardare il riflesso nella vetrina davanti a lei, dietro la quale erano posti su delle mensole dei noodles istantanei.
Si guardò il trucco colato per la stanchezza, il sudore del pomeriggio passato e le lacrime che ancora non lasciava cadere.
Si guardò i jeans e poi le scarpe, la borsa ben salda sulla spalla e il telefono stretto nella mano: era la stessa figura che aveva lasciato casa mesi prima per poter essere presa.
"Perché?"
Si chiedeva ancora.
Si morse il labbro e sussurrò
« Fanculo. »
Si voltò bruscamente e tornò a casa velocemente, ma quando arrivò davanti al portone se ne pentì.
Non era pronta per dare quella notizia a sua madre, che vedeva in lei non solo una figlia perfetta, ma anche una speranza per guarire.
Le aveva promesso che l'avrebbe salvata, ma adesso tutto era perso.
Aveva imparato che non ci si deve allontanare dagli ostacoli, ma vanno superati, infatti lei fece lo stesso con il portone di casa, dopo che tirò fuori le chiavi dalla tasca più remota della sua borsa.
Si sfilò le scarpe e lasciò cappotto e borsa all'ingresso.
Si fermò un momento per respirare l'odore di casa, quell'odore dolce di candela alle more che a sua mamma piaceva tanto, mischiato a quello che sembrava carne di manzo alla piastra.
« Mamma? »
Disse, con voce roca, dato che non parlava da ore a voce alta. Si avventurò nel corridoio semi-illuminato dalla luce della cucina.
« Mamma? »
Ripeté. Solo allora, una donna giovane comparve sull'uscio della porta della cucina sopra ad una sedia a rotelle.
« Yi-eun? »
I suoi occhi erano felici: non si chiedeva perché fosse lì e non nell'agenzia, non si chiedeva nemmeno perché avesse il trucco sbavato e quell'espressione affranta.
Era felice di rivederla, finalmente, dopo tanti mesi.
« Non mi hanno presa. »
Mormorò, con voce spezzata.
Sua mamma abbandonò quell'improvvisa felicità, che però non andò via, e lasciò spazio ad un'espressione cupa: sapeva a cosa sarebbe andata incontro.
« Mi dispiace. »
Continuò, avvicinandosi lentamente.
« Ci ho provato, ci ero quasi riuscita ma... hanno scelto un'altra. »
Lasciò finalmente andare una lacrima, poi due, tre...
« Vieni qui, bambolina. »
Min-So, così si chiamava sua mamma, allargò le braccia e l'accolse in un forte abbraccio rincuorante.
Yi-eun pianse, continuando a chiederle scusa, ma lei non riusciva ad essere delusa o arrabbiata.
Sapeva già qual era il suo destino.

Choreographer { Park Jimin }Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora