IL PROGETTO EST

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Nevica è una mattina di dicembre del 2004 e alle 9 sono all'interno del Vascello, un'aula del museo della Scienza e delle Tecnica di Milano. Ho sonno, si alternano docenti che parlano di progetti, di found-rising, di finanziamenti per costruire progetti didattici. Cosa c'entro io con tutto questo? Ormai ci sono e ascolto. In treno al ritorno riguardo gli appunti, ma sono più i dubbi che le certezze. In valle, dove vivo, sta nascendo un Museo e questo progetto dovrebbe significare il suo lancio. Il fabbricato, meraviglioso, è ancora in alto mare, ma il progetto che sta prendendo forma e dove ero stata coinvolta, doveva essere sviluppato con una certa celerità, per aver diritto ai fondi che stavano stanziando.

Quel giorno compresi dove stava la svolta: collegare il programma di educazione tecnica e scienze, che avevo insegnato e che quindi conoscevo bene, con le risorse varie e diversificate che offriva la valle. In pratica ci dovevamo inventare un percorso didattico nel bosco che collegava la forza e l'energia dell'acqua alla produzione di energia elettrica, risorsa della nostra valle.

Iniziava così il PROGETTO EST, quando il sindaco di Campodolcino, decise che avrei dovuto lavorare con la futura direttrice del museo locale, mi resi conto che la conoscevo superficialmente e all'inizio non è stato semplice amalgamare due personalità forti come le nostre. Abbiamo iniziato a frequentare il corso di formazione del Museo della Scienza e delle Tecnica di Milano, ma la cosa ha comunque funzionato.

Io rigida, ho faticato a lasciarmi plasmare ed accompagnare verso una didattica diversa, fatta di manipolazione e osservazione dal vero, con lo scopo di costruire gli exhibits, macchine che simulavano un fenomeno scientifico, quando invece a scuola spingevano sull'informatica intesa come fine e non come mezzo. Riconosco che ho faticato parecchio a capire cosa volessero da me. Mi chiedevo perché mi avessero scelta. Ero una mamma con due bambini piccoli, di cui uno in difficoltà e non era semplice alzarsi all'alba, andare a Milano ad ascoltare questi docenti che la facevano sempre facile. Ho pensato tante volte di ritirarmi, di mandare tutto al diavolo, invece ho stretto i denti. Alla fine del corso ho iniziato a vedere il "core" di tutta la questione e per scherzo ho chiesto dove avrei potuto ascoltare la seconda puntata di questo percorso bello, difficile e strampalato.

La risposta arrivò immediatamente: a Monaco di Baviera al Deutsches Museum. Lì avrebbero tenuto un corso di formazione di didattica Museale, un Comenius della Comunità Europea. Nessuno mi aveva mai parlato di queste possibilità e nella mia scuola nessuno aveva mai frequentato un corso europeo. Non mi sembrava particolarmente funzionale ai miei scopi, ma avrei comunque potuto chiedere informazioni, confrontarmi con colleghi di altre nazioni e vedere le cose da un punto di vista diverso. Ho iniziato a documentarmi e ho capito che l'apprendimento di un percorso di didattica museale non era un fine, ma per me era un mezzo per affinare le mie conoscenze e migliorare i miei progetti didattici di educazione ambientale a scuola.

Siamo partite quindi una mattina di marzo, con 50 cm di neve in terra a casa e 80 cm a Monaco all'arrivo. Monaco era bellissima, sembrava di stare in un mondo fatato. L'alloggio era nel college del Museo e al mattino era fantastico attraversare "la scienza" per andare a fare colazione .

Il corso, era molto impegnativo, pensavo che una settimana sarebbe stata corta, invece mi sono resa conto che era un tempo lunghissimo. Otto ore al giorno di lezione frontale in inglese. Workshop, discussioni, lavori di gruppo ; non è stato semplice, ma ho portato a casa tanta roba.

L'esperienza a Monaco mi portò a navigare nel sito del Comenius – EU fino a trovare un corso di Outdoor Education in Svezia a Linkopijng presso la locale Università. Era l'anello mancante, li avrei avuto metodo, non era più intuizione, ma avrei imparato a lavorare nel bosco utilizzando tutto quello che avevo studiato fino ad allora, a legare fra loro i miei sogni, la mia voglia di stare all'aria aperta alla mia didattica. Nel bosco avremo imparato un sacco di cose. Cominciai a studiare gli abstracts scaricati dalla rete fino a trovare la chiave di volta della faccenda: ancora la Friluftlivs. Semplicemente vivere bene all'aria aperta, senza lasciare tracce nel bosco, raccogliere quello che serve per vivere e neanche un mirtillo di più, vivere nel bosco con frugalità, viaggiare con bagaglio leggero, fermarsi ad ascoltare la vita di un prato, di un campo, del bosco, del mare .... ma per me voleva dire vivere bene la scuola all'aria aperta. Che non voleva certo dire prendere il banco e andare in giardino.

Decisi così di iscrivermi.

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