CAPITOLO 13 •HAPPY BIRTHDAY,BABE•

979 38 0
                                    

APRIL'S POV
" Quel viaggio si stava presentando come una noia totale, passavamo le nostre ore seduti su dei sedili e sembrava che il nostro tempo fosse inutile. Era come se fossimo intrappolati dentro un'automobile e il nostro compito era quello di scappare e fare la parte dei fuggitivi. Scene così si vedevano solamente nei film mentre adesso, stavamo giocando lo stesso gioco e non avevo telecamere intorno. Mi sentivo comunque controllata, come se ci fosse una spia o una videocamera pronta a riprendere ogni nostro movimento e non mi sentivo per niente sicura. Se come aveva detto Justin, qualcuno ci stava seguendo e noi non eravamo a consocenza dell'artefice, era giusto e sano essere preoccupati. Pensai all'università, a Jake, a Nick e persino Becky...chissà come stavano mandando avanti la loro vita e chissà se li avrei rivisti ancora una volta. Non c'era stato tempo per spiegare loro del perché me ne fossi andata o meglio, obbligata ad andarmene e in un certo senso mi mancavano. Mi mancava la determinazione di Becky e la simpatia di Nick, mi mancava persino il misterioso Jake...di cui sapevo ben poco. Ritrovarmi sola con Justin era bello ma non era la vita che volevo fare. Non so, evidentemente avevo stretto un patto col Diavolo, ero stata condannata ai viaggi, agli imprevisti e alla morte. Il Destino non potevo cambiarlo, non potevo capovolgere le carte e decidere io stessa che cosa avrei voluto farne della mia vita, le carte in gioco oramai erano state scritte e sigillate. Doveva esserci la giusta determinazione per comandare il Destino, solo quella.
Più che altro, quel giorno, ero sicuramente positiva sul fatto che avrei passato il compleanno più bello di sempre. Quando mai avevo fatto una festa o organizzato anche solo una serata con le mie vecchie amiche di scuola in Canada? Non ci avevo mai provato, ero buona e disponibile solo ed esclusivamente per il comitato studentesco, io servivo a quello. Mi dicevo sempre che bastavano i puncake al cioccolato di mia mamma la mattina del mio compleanno, il bacio in fronte di mio padre e il solito ciondolo portafortuna di Mark. Ora mi bastava voltare il viso e fissare la ragione per cui stavo continuando a rimanere fedele a me stessa. Justin era sicuramente la persona più importante per me e non solo per la sua bellezza fisica, anche perché aveva saputo apprezzare ciò che non era mai stato visibile a me stessa. Quello che pensavo fosse invisibile o inesistente, Justin l'aveva reso unico e speciale. Non avrei mai rinunciato a lui, anche se avesse fatto la cavolata più grande del secolo, io ci tenevo troppo. Lo guardavo e più che ripetermi "è perfetto", continuavo a dirgli "grazie" per essere stato costantemente presente. Ero sicuramente in fibrillazione per quell'evento, mancavano meno di ventiquattro ore ai miei diciannove anni e li avrei festeggiati come tali. Non chiedevo di meglio, avevo la persona che amavo di fianco a me ed era sicuramente meglio di una festa a sorpresa o qualcos'altro. Avevo intenzione di godermeli quegli attimi, presto ci sarebbero state le prime complicazioni, le prime litigate e i primi pentimenti per essere salita in quell'auto. Odiavo pensarla così ma un fondo di verità c'era, non avremmo fatto la parte dei fidanzati felici e contenti per molto. Conoscevo l'impulsività e la rabbia di Justin, presto si sarebbe risvegliata e avrebbe colpito anche me.
L'autostrada sembrava non finire, era pomeriggio inoltrato, quasi sera e viaggiavamo con pochi spiccioli in tasca. Come avremmo fatto a sopravvivere o comunque a mantenerci vivi e attivi per così tanto tempo? Nei dintorni si apriva la pura campagna e ogni due ore spuntavano specie di fast food. L'orologio segnava quasi le sei di sera e l'aria fredda, proveniente dall'esterno, sembrava occupare anche il nostro piccolo spazio. Justin guidava, attento ai veicoli a fianco a lui e a tutto il resto. Capitava che a volte ci scambiavamo uno sguardo o un sorriso, mi mancava averlo per me per più di dieci minuti. Quella piccola distanza mi faceva venire voglia di stargli ancora più vicino, sentivo freddo nonostante il riscaldamento fosse acceso. Il cielo sopra di noi emaneva una cupa luce, il tramonto era ormai scomparso dietro di noi e la luna alta nel cielo sprigionava un'intensa luce bianca. La notte, quella che avrei scritto sopra un foglio di carta e ricordata nella mia mente, si stava avvicinando e avrei sentito il corpo di Justin più vicino che mai.
- Tutto bene?- attirò la mia attenzione Justin - non hai aperto bocca per tutto il viaggio. Il peggio è passato- confermò anche a se stesso.
- Lo so e sono tranquilla. E' la stanchezza, nient'altro- confermai a mia volta - più o meno tra quanto arriveremo?- chiesi.
- Non senti l'odore di acqua dolce? Fra non molto dovremmo esserci, i pochi camper che ci stanno sorpassando ne sono la conferma. Prima, se non ti dispiace, vorrei fermarmi a prendere qualcosa da mangiare per questa sera- mi disse e accellerò nuovamente. Non poco più distante da noi, un'insegna di un piccolo fast food, attirò la mia attenzione. Di solito, la presenza di quei posti, segnava la fine dell'autostrada e l'imbocco con la prima cittadina e questo valeva a dire che non eravamo lontani dal lago. Justin svoltò a destra e parcheggiò l'auto in prossimità del fast food.
- Resta in macchina, cosa ti prendo?- mi domandò uscendo dall'auto e rimanendo fermo in attesa della mia risposta.
- Il solito, un hamburger e una lattina di coca cola- risposi e mi fece l'occhiolino.
- Torno subito- finì col dire e rimasi sola, circondata dal buio e freddo, all'interno dell'auto. Guardai fuori e notai l'enorme quantità di persone che stava sostando o per fare il pieno all'auto o per mangiare qualcosa e fare una pausa. Non ero sola nonostante mi sentissi così, nessuno mi avrebbe fatto del male. C'era la costante paranoia dell'essere in pericolo, nemmeno in macchina riuscivo a sentirmi sicura e questa fissazione sarebbe dovuta andarsene. Non potevo e non dovevo sentirmi continuamente osservata e manipolata, non c'era nessuno. Sperai che Justin tornasse presto, avevo un forte bisogno di sgranchirmi le gambe e camminare in riva al lago, con lui. Fissai lo schermo del cellulare, vuoto e passivo, come al solito. Speravo e non speravo che qualcuno dei miei familiari si facesse vivo. Volevo sentire mia madre per dirle che era tutto normale e sotto controllo ma allo stesso tempo, non volevo sentirla perché io stessa ero convinta che niente era più sotto controllo. La normalità non faceva parte di me, ero normale come persona ma a condurre la mia vita, ero tutto fuorché questo. Passai quei minuti a girarmi i pollici, a fissare le persone che mi sfrecciavano davanti e a girarmi i pollici di nuovo quando lo vidi tornare alla macchina con in mano due buste. La sua camminata, i pantaloni bassi e lo sguardo verso il basso...tutto ciò era maledettamente attraente. Justin era sexy e in quel momento mi accorsi di come si muoveva, l'aria da duro era sempre con lui.
- Ti va un caffé caldo?- mi chiese porgendomi un bicchiere di cartone che ameneva fumo caldo e dolce.
- Ti ringrazio- dissi accettando la sua proposta. Sorrise e mise nuovamente in moto l'auto. Usciti da quel posto, a pochi metri avanti a noi, il cartello con scritto Kentucky Lake diceva che mancavano due chilometri e un senso di calma mi appagò. In piccoli sorsi mandai giù il caffé ed era come se il mio stomaco si fose riscaldato, come se un solo sorso avesse fatto da termosifone per il mio interno.
- Arrivati- disse Justin voltando per una stradina ghiaiosa che si apriva in un grande parcheggio asfaltato. Ogni posto era occupato da almeno un camper o una roulotte, le macchine potevi contarle sulle dita di una mano e sembravano non esserci parcheggi disponibili.
- Non sapevo fosse una area turistica- dissi guardandomi intorno.
- Più che altro non è stagione, evidentemente non fa così freddo- continuò Justin uscendo dal parcheggio - vado a cercare un posto più in la, l'importante è rimanere vicino al lago- disse continuando a guidare sulla strada non asfaltata. Sembrava una grande pineta con fitti alberi e terreno pieno di sassi. Justin s'imbucò in una stradina non troppo stretta, sicuramente non era un parcheggio ma sembrava l'unica zona accessibile al lago e che ci permettesse di dormire.Spense il motore e fissò davanti a lui, io feci lo stesso. Dinanzi a noi potevamo notare la luna che rifletteva sull'acqua del lago ed eravamo circondati da cespugli e alberi, il paesaggio di sera era magnifico. La luce del cielo notturno filtrava sul bosco e formava un paesaggio suggestivo per i nostri occhi. Si sentivano gli schiamazzi e le grida delle persone, probabilmente sedute attornò ad un falò in riva al lago.
- E' veramente bellissimo, uno dei posti più belli che abbia mai visto- dissi contenta di essere lì. Ancora non era il mio compleanno ma sentivo che sarebbe stato epico.
- Vieni, facciamo un giro- disse Justin uscendo dall'auto.
- Il cibo?- domandai.
- Ti piacerà mangiarlo anche tiepido, dai esci che non fa freddo- concluse. Uscii dall'auto chiudendomi il cardigan davanti al petto. All'esterno la temperatura era sicuramente più fredda ma Justin aveva ragione, il clima non era eccessivamente rigido come pensavamo. Tirava un leggero venticello ma era sopportabile. Justin afferrò saldamente la mia mano e mi attirò a sè, facendomi sbattere quasi violentemente e volutamente contro il suo petto. Le sue braccia mi avvolsero in un caloroso abbraccio e con l'orecchio potevo sentire il suo cuore battere forte. Il suo corpo era caldo, caldo come il fuoco o come il sole d'estate. Io ero fredda, fredda come i ghiacciai e l'acqua delle cascate. Mi accarezzò la schiena come per voler spargere il suo calore su di me. Da sempre ero stata una persona fredda, fredda in tutti i sensi. Caratterialmente non davo mai tanta confidenza, ero chiusa e tendevo a stare nel mio. Condividere per me non era un verbo abituale ma stavo cambiando, la sicurezza che mi trasmetteva Justin era tutto ciò che mi bastava per vivere le giornate.
- Perché l'hai fatto?- gli domandai volendomi sentire dire il perché di quel gesto così spontaneo.
- Quand'è stata l'ultima volta che ti ho abbracciata?- mi chiese lui spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
- Non lo so- risposi effettivamente convinta di non saperlo.
- Appunto. Vieni con me- continuò a tenermi stretta la mano e, scavalcando radici e cespugli, ci trovammo davanti una pozza immensa di acqua scura. La circolarità del lago era perfetta, quasi fatta geometricamente e disegnata a mano, con un compasso. Il riflesso della luna si rispecchiava in esso e l'acqua sembrava luccicare. Molte persone erano accerchiate attorno ad un falò e mangiavano marshmellow caldi o c'era chi faceva grigliate. Era bello, finalmente stavamo in mezzo alla gente e potevo definirmi, farmi vedere normale. Era una di quelle situazioni che bastava viverle una volta per essere certa di avere una vita completa. Ci avvicinammo all'acqua, le nostre scarpe toccavano appena l'acqua ed ero realmente contenta, per una volta non pensavo alla mia vita presente ma a quella futura. Justin si abbassò, incurvando la schiena e toccando la superficie dell'acqua con una mano.
- E' gelida, vuoi sentire?- mi domandò.
- No, vado sulla fiducia- risposi incrociando le braccia, perché sentivo freddo e lui no? D'un tratto sentii schizzi d'acqua bagnare i miei vestiti e penetrare sulla mia fredda pelle - ma sei scemo?- gli urlai contro, scherzosamente. Cominciò a ridere di gusto, trasformando quel rilassante silenzio in una piacevole risata. La sua voce, il suo ridere e il suo sorriso mi stuzzicavano molto. Si avvicinò a me prendendomi entrambe le mani e il suo sgurdo si fece serio, come il mio.
- Perché sei così pensierosa?- mi domandò stringendo la presa sulle mie mani.
- Ti osservavo, tutto quì- risposi atona.
- E...?- mi fece segno di continuare la frase, come se per lui non fosse finita.
- Quand'è stata l'ultima volta che mi hai baciata?- domandai io abbozzando un sorriso. Justin prese il comando e si avvicinò così lentamente che quei secondi parevano ore, in quel lasso di tempo ero riuscita a delineare la perfetta forma e il colore delle labbra. Chiusi gli occhi aspettando di sentire il caldo e morbido tocco delle sue labbra sulle mie. Sentii la sua presenza in me e in poco tempo avvertii la sua lingua farsi spazio all'interno della mia bocca. Accettai quel bacio e strinsi le sue mani per poi lasciarle e avvolgere le mie braccia attorno al suo collo. Le sue mani strinsero i miei fianchi, fu un movimento inaspettato, così vero che anni fa non avrei fatto fare a nessuno. Il mio corpo non era più una scoperta, ormai sapeva dove andare a toccare e quel punto era così delicato e lui, pur sapendo quanto fossi in difficoltà a sentire le sue mani poggiate sui miei fianchi, riusciva a far scomparire quel dannato pensiero.
Strinsi le mie mani intorno al suo collo e lasciai che le dita s'intersecassero l'una con l'altra, avevo una maggiore presa e sentivo che eravamo un tutt'uno, bloccati in un unico sentimento. Non c'era bisogno di chiedersi se ci amavamo e come mai, non c'era bisogno del parere di un amico nel frasi dire come dovevo amarlo. I gesti, i piccoli gesti erano la prova del nostro amore e nessuno ci avrebbe impedito di schiudere quel guscio ormai nostro, quel sentimento così potente capace di abbattere chiunque.

HAZARDOUS.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora