CAPITOLO 2.

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" Da un paio di giorni ero arrivata al Mackie College di Atlanta, nel quartiere di Brookheaven. Ero riuscita a sistemarmi nella mia stanza che distava -fortunatamente- pochi chilometri dall'università. La mia camera era piuttosto carina, forse me la sarei aspettata più grande ma ancora dovevo abituarmi all'idea che non ero a Boston. L'interno era arredato con due letti ad una piazza posti al centro della stanza, il che significava che avrei dovuto convivere insieme a qualcuno. I muri erano color bianco panna e a fianco al mio letto, sul muro, era presente una grande finestra che affacciava sul quartiere. Riuscivo a vedere tutte le abitazioni e gli studenti che camminavano avanti e indietro come per voler sembrare degli esploratori. Il bagno era di fronte ai due letti, non era della massima grandezza ma abbastanza accogliente. Sarebbe stato strano vivere in due in quella stanza e speravo con tutto il cuore che la nuova conquilina mi sarebbe piaciuta o non sarei sopravvissuta.
Il clima ad Atlanta era totalemente diverso da quello di Stratford, le estati erano notevolmente calde e nonostante l'inizio di settembre, sembrava di essere ai primi di agosto. A quest'ora a Stratford sarei andata in giro con una felpa mentre in questo posto potevi tranquillamente uscire in pantaloncini corti. Era interessante la differenza di clima ed era altrettanto interessante sapere in quanto tempo mi sarei adattata.
Sistemai con calma i vestiti presenti dentro la valigia nell'armadio, dopodiché mi guardai allo specchio posto sopra il lavandino in bagno. Era difficile dire che mi piacevo ma guardandomi vedevo sicuramente una persona più rilassata e le poche occhiaie sotto gli occhi ne erano la conferma. Mi sentivo e mi vedevo più grande rispetto all'anno scorso, l'aver tagliato i capelli sicuramente mi aveva dato l'aria di una ragazza della mia età. Avrei potuto tingerli di biondo ma ero troppo insicura per farlo, sapevo che il mio castano scuro naturale non mi avrebbe mai abbandonata.
Era grandioso poter dire " finalmente sono al College, finalmente sono una persona autonoma". Prima avevo sempre bisogno dei miei genitori, ero sempre sfiduciata per fare ogni cosa e mi vergognavo nel fare tutto. Avevo bisogno di mia mamma che mi accompagnasse ogni mercoledì dallo psicologo, avevo bisogno di entrambi i miei genitori per portarmi a fare le cure in ospedale. Ogni giorno sentivo il bisogno di averli accanto ma ora era totalmente diverso, ora me la sarei dovuta cavare da sola e convincermi che ce la potevo fare. In tutti questi anni, a partire dalle sedute con lo psicologo avevo imparato che io ero unica nel mio modo di essere, non dovevo darmi per scontata.
Tra pochi giorni sarebbero incominciati i corsi, oggi sarei andata all'università a prendere le schede con gli orari e avrei fatto un giro esplorativo anche io, volevo sentirmi nuova e ben accettata come tutti gli altri. Non sarei stata più quella invisibile e asociale come alle superiori, avevo intenzione di farmi vedere e farmi valere. Questa mia determinazione era data anche dalla mancanza di Justin nella mia vita, gli avrei fatto vedere da quaggiù che anche io potevo essere felice e l'avrei fatto per noi. Sapevo che mi accompagnava in ogni momento della giornata e sapevo perfettamente che se ogni giorno affrontavo con leggerezza la giornata era anche perché lui dall'alto mi dava la forza di camminare sempre più avanti, superando ogni ostacolo. Continuavo a tenerlo nel cuore e nel mio piccolo portafoglio tenevo custodita una piccola foto ritagliata da un giornale che parlava, appunto, della sua terribile morte. Quel pezzo di carta era l'unico oggetto che me lo faceva ricordare, se pur non era neanche messa fuoco troppo bene, io riuscivo a delinearne i suoi perfetti lineamenti. La solita mandibola marcata, gli occhi che sprigionavano quel miele intenso e due labbra così rosee da voler baciare quel mini ritaglio di giornale. Dopo un anno, nonostante non facesse più parte del mio polso, tenevo dentro la tasca dei jeans il nostro braccialetto. Quando ancora ero a Stratford si era spezzato, non aveva retto nemmeno lui ma neanche se si fosse rotto in cinque pezzettini l'avrei buttato. Quell'oggetto era mio, era nostro e sarebbe stato tale fino alla fine dei miei giorni. L'avrei tenuto stretto anche se si fosse sbiadito il colore, era un piccolo portafortuna. C'era chi raccoglieva quadrifogli o chi teneva attaccato al portachiavi cornetti rossi, mentre io tenevo un semplice braccialetto marrone. Sospirai quando sentii vibrare il mio cellulare sopra le lenzuola.
- Mamma, sai che puoi non chiamarmi ogni giorno, giusto?- domandai quasi seccata. Era veramente pressante come i miei mi controllassero così quotidianamente tramite un cellulare - giuro che cambio numero di telefono-
- Lo so tesoro ma vogliamo essere sicuri che tutto vada bene, come stai?- chiese mia madre più sollevata.
- Bene come ieri e l'altro ieri-
- Hai mangiato?- mi domandò mia madre con tono di voce serio. Non potevo più sopportare quel genere di domande, non ero più malata.
- Ho fatto colazione, si. Fra poco vado a pranzo e ho intenzione di mangiare come un bue, ok? Non sono in sottopeso e non ho nemmeno una cavolo di bilancia quindi è tutto ok- risposi frenetica senza fare nemmeno una pausa e pronta a riattaccare.
- April devi capire che per noi è difficile, tu potrai esserti ambientata ma sai, una figlia che ha sofferto di anoressia non molto tempo fa ha bisogno di essere controllata. So che sei maggiorenne e so che hai dato un taglio a quello che è successo tempo fa ma non trattarmi come una madre troppo pressante perché se ancora non l'hai capito sono una mamma e preoccuparmi per mia figlia e il mio "lavoro" principale- si giustificò sbuffando. Aveva ragione e non potevo darle torto. Il mio periodo dove non toccavo cibo era finito, messo in un archivio chiuso a chiave ma nessuno sapeva quanto male facesse ricodarmelo.
- Hai ragione, ma sai che se dovessi avere bisogno non ti mentirei-
- Sicura che non lo faresti? Perché mesi fa mentivi ogni secondo partendo dal fatto che continuavi a dirmi che avevi già mangiato quando buttavi il cibo-
- Ero malata, ancora non l'hai capito? Perché per te è troppo difficile concepire che anche io sono una persona normale e che posso guarire? Apprezzo questo tuo interessamento ma per me è troppo, sono stanca di essere associata ancora alla piccola April anoressica di una volta. Stavolta potresti mettere da parte quella me e concentrarti sulla April che sta diventando autonoma e affronta i primi giorni al College?- respirai a fondo per non aver fatto nemmeno una pausa in tutto il mio discorso.
- Si, cercherò di essere meno assillante. Sappi che sono davvero orogliosa di te, chiama se hai bisogno di qualcosa- concluse mia madre.
- Ti chiamo io, ti voglio bene- risposi sottolineando le prime tre parole sperando che capisse il mio messaggio. Riattaccai e mi infilai le scarpe per poi uscire dalla mia stanza e cominciare ad esplorare la mia nuova vita. Per gli altri era ancora difficile afferrare il concetto che io ero normale e qualcosa mi faceva pensare che mia madre non voleva che crescessi.

HAZARDOUS.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora