𝟑𝟑

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ADDISON

La morte non è dolorosa, la morte è un rito che la nostra vita è costretta a subire. La morte è un passaggio, quell'attimo che dopo aver chiuso gli occhi ti permette di vivere in eterno.

Avery Nova, Phoenix.

Ore tre del pomeriggio. Sei giorni dopo la morte di William. Dieci pasti rifiutati. Tredici pasti consumati e dodici calmanti assunti. Cinque notti senza chiudere occhio. Sei giorni a racimolare quante più informazioni possibili, come se queste stessero giocando il loro fondamentale ruolo all'interno della mia testa; come se tenere il conto delle ore, dei minuti, dei giorni e persino delle notti passate dentro quella tenuta senza di lui, mi stesse aiutando a mantenere salda la ragione.

Ero del tutto consapevole di quanto il mio comportamento fosse sbagliato, perché starsene semplicemente a oziare dentro quella stanza mentre il mondo fuori continuava ad andare avanti, non era e mai sarebbe stata la soluzione al mio dolore. Sapevo non fosse giusto, che a lungo andare non mi avrebbe fatto bene, ma sapevo anche di non possedere più alcuna ragione per varcare la soglia della porta della mia stanza.

La partenza di mio padre non era stata poi così dolorosa, non come la prima volta. Al contrario, sentii quasi sollievo nel saperlo lontano da quel posto. Lui, così come anche Jensen, si sarebbe voluto trattenere più a lungo, ed era stato difficile riuscire a dissuaderlo dal suo volere. Alla fine, però, con l'aiuto della dottoressa Mary, entrambi avevano capito che i presenti dentro quella tenuta necessitavano di tempo per familiarizzare con il vuoto lasciato dall'assenza di William.

Tra l'altro, il giorno della partenza di mio padre, Margot si era intrufolata in camera mia per mettermi al corrente di aver visto proprio quest'ultimo piangere dentro allo studio del dottor Price, per ben due ore. Mio padre, nonostante fosse un medico, nonostante la sua carriera l'avesse più volte messo davanti a scenari sgradevoli, era rimasto scosso dalla vista di William. E le parole di Margot, la descrizione accurata del viso afflitto dell'uomo che più al mondo mi amava, aveva innescato in me come una sorta di istinto di sopravvivenza.

Non avrei mai, per nulla al mondo, voluto vedere mio padre in quelle condizioni a causa mia.

Avrei dovuto affrontare la realtà, prima o poi, prendere realmente coscienza della morte di Logan e smetterla, una volta e per tutte, anche solo di pensare di farla finita. Forse, in quel modo sarei anche riuscita a riavere Ares al mio fianco.

Anche se non ero più tanto certa che la mia presenza avesse fatto bene al suo cuore.

Fu il suono emesso dalla serratura della porta a riportarmi mente e corpo dentro quella stanza. Chiunque si stesse prendendo il pensiero di entrare all'Inferno, mi avrebbe costretta a presenziare al suo funerale, portare un fiore sulla sua tomba e magari anche a dire qualcosa su di lui. Come il suo essere un totale idiota con gli scacchi e un'abile preparatore di torta alle fragole. Dio mio, mi avrebbe schiaffeggiata se solo avesse potuto sentirmi mentre lo deridevo per la sua scarsa abilità nel battere Margot.

Così, volendo scappare dalle mie stesse responsabilità, affondai la testa sopra al cuscino e mi affrettai a nascondere quest'ultima sotto le coperte.

«Ad?» la voce roca risuonò. «Oh, ehm, Addison?» balbettò nel correggersi.

Trattenni un sorriso sotto le coperte e resistetti alla voglia di osservare oltre quest'ultime. La sua voce era decisamente l'ultima cosa che mi sarei aspettata di sentire per quel giorno.

In quei giorni Ares non si era premurato di insistere per starmi accanto, non aveva fatto altro che farsi aiutare dal dottor Price a spostare quelle stramaledette siepi, e poi, ogni sera, come in un rito tutto nostro, lui si faceva trovare lì, nella penombra del balcone con le dita sulle corde della chitarra e la sua meravigliosa voce pronta a bearmi e cullarmi lentamente verso il sonno.

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