𝟑𝟒

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ADDISON

Sistemai a le posate sul tavolo da pranzo e osservai Ares impegnato a ultimare la torta. Me ne stavo lì da minuti, ormai, persa nei movimenti millimetrici delle sue dita intente a posizionare con cura una fetta di fragola per volta.

Gli mancavo.

L'aveva confessato e mi aveva stravolto. L'avevo confessato anch'io e non si era scomposto, forse imponendo a se stesso l'autocontrollo che nei mesi precedenti aveva messo da parte.

Le sue affermazioni erano state chiare: non ci sarebbe stato nulla tra di noi finché io non mi fossi ripresa e finché lui non fosse tornato ad amarsi.

Quella conversazione, quel chiarimento tanto desiderato era morto lì, con le sue labbra a depositare il loro ennesimo bacio sopra la mia guancia e le sue dita a imboccarmi nuovamente con una fragola sporca di panna. Un attimo dopo si era allontanato e io non mi ero più azzardata a proferire parola.

Eppure, più lo osservavo concentrarsi, più sentivo scorrermi addosso l'estrema necessità di tornare a sorridere.

Ares allungò la mano libera sopra l'isola per prendere la sac à poche di William, rovesciò il sacchetto per poi iniziare riempirlo con la panna aromatizzata alla fragola e lievemente colorata di rosa; aggrottò la fronte chinandosi e finendo a poca distanza dal dolce, poi iniziò a ricreare piccoli fiocchi colorati tra una fragola e l'altra.

Ares Hartley... quell'Ares Hartley era decisamente qualcosa che poche persone avevano avuto modo di vedere, di vivere. Ed ero fortunata, perché stavo vivendo momenti che solo io e lui avremmo, un giorno, potuto ricordare. Per nulla al mondo avrei mai voluto ferirlo, perché Ares era semplicemente una persona meravigliosa. Una persona sofferente che non meritava tutto quel dolore.

Scossi la testa e cacciai via quei pensieri quando la curiosità ebbe la meglio. Avrei voluto saperne di più, avrei voluto che lui mi avesse ritenuta all'altezza del suo trauma, perfettamente in grado di saperlo ascoltare e perfettamente in grado di saper alleviare il suo dolore. Ma, se c'era una cosa che sapevo, era che non avrei mai dovuto insistere... perché lui con me non l'aveva mai fatto.

«Sai, nell'eventualità che tu non voglia realmente più tornare a fare musica, potresti aprire una pasticceria», lo presi in giro e distrattamente sistemai l'ultima posata accanto al piatto del dottor Price.

«Fallirebbe», ridacchiò, ammirando la sua opera dopo essersi rimesso dritto. «O forse no.»

«Secondo me no. Esiste al mondo qualcosa che tu non sappia fare, Hartley?»

Camminai per raggiungerlo e mi affiancai alla sua destra, adagiandomi con le mani chiuse in due pugni sopra il marmo. Per qualche istante restammo in silenzio a contemplare quella torta meravigliosa.

«Non so più stare sopra un palco», biasciò.

La sua ennesima affermazione mi colpì dritto al centro del petto e indusse il mio sguardo a voltarsi di scatto in direzione del suo. Lo trovai già con gli occhi limpidi su di me, iridi che non persero tempo prima di annegare dentro le mie; la luce proveniente dai faretti incassati sul tetto gli illuminò il volto rendendolo delicato e, al tempo stesso, duro.

Avrei scelto lui se Logan mi avesse messa davanti a un bivio. Non c'era partita da giocare sui sentimenti del passato e quelli presente. Io avrei scelto Ares Hartley.

«Ares, ti prego», lo supplicai, volendo che la smettesse una e per tutte di piangersi addosso. E non avrei potuto fargli la predica, perché ero la prima a comportarmi contrariamente di come avrei dovuto.

«La torta è pronta», sussurrò, distogliendo lo sguardo e adagiando la sac à poche davanti a sé, sul piano in marmo. «A Will piacerebbe?»

Non avrei voluto, ma assecondai il suo cambio di discorso e smisi di osservarlo per rivolgere nuovamente la mia attenzione al dolce. «Ne sarebbe geloso», trattenni un sorriso, ma volendo che quella tensione si allentasse lo liberai. «È strano senza di lui.»

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