Parte 1

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   Un mattino la cameriera mi svegliò presto a causa dell'incendio propagatosi nell'ala esposta a sud del castello. Tutti ci attrezzammo di secchi per spegnere il fuoco ma un urlo terrificante, proveniente dalla zona più oscura del castello, ci gelò il sangue. Per minuti che sembrarono interminabili, l'urlo risuonò nell'enorme stanza. Tutti rimanemmo senza fiato, quasi stecchiti. Iniziai a tremare. L'unica cosa che riuscì a riportarmi alla realtà e a farmi muovere furono le fiamme, che si spandevano sempre di più. Una morsa mi strinse lo stomaco, obbligandomi a svegliarmi.

Ero nel mio letto, sommerso dalle calde coperte. Era forse stato tutto un sogno? Cos'era quella strana figura nascosta nell'ombra? Mille domande mi inondarono la mente. Qualcuno bussò alla porta, facendo si che un brivido mi percorresse la schiena. La cameriera entrò in punta di piedi, probabilmente pensando che stessi dormendo. <<Buongiorno, signor Solace. Sono desolata di averla svegliata>> disse poi, accorgendosi che fossi sveglio. <<Quante volte ancora dovrò dirti di chiamarmi Will?>> le risposi io sorridendo, cercando di nascondere i brividi. <<Una volta ancora, signor Solace>>. <<Buongiorno anche a te, Lou>>.

Eravamo cresciuti insieme e, nonostante fossimo destinati a vite del tutto diverse, eravamo sempre rimasti uniti. Fino a quel fatidico giorno. Lei veniva da una famiglia povera, perciò non poteva permettersi un insegnamento adeguato. È comunque riuscita ad aggiudicarsi un lavoro decente, seppur parecchio screditato. Io avevo dovuto subire la vita di corte, insieme alla dura amministrazione di mio padre. Era sempre stato estremamente severo con me e mia sorella, l'unico svago che ci concesse fu di giocare con Lou e suo fratello. Lei era la figlia della cameriera che lavorava a Castello Solace quando ero piccolo, perciò non aveva molte libertà. Suo fratello di solito si isolava, non voleva mai stare con noi. Stava in una delle numerose stanze libere a giocare con le sue carte. Mio padre non lo sgridava, probabilmente perché non lo scopriva mai. Invece mia madre voleva che noi stessimo insieme, secondo lei io e Lou eravamo la coppia perfetta. Io mi divertivo con loro, ma sentivo che qualcosa mi mancava. Ogni singolo giorno entravo nella stanza dove si nascondeva il piccolo Nico di soppiatto. Non so perché lo facessi, era solo una sensazione, una strana sensazione.

Ripensando a quei ricordi, una calda lacrima mi solcò la guancia. Lou si sedette accanto a me sul letto. Riusciva a capirmi al volo; da quando mia sorella Bianca era morta, lei era stata per me come un angelo custode. Potevo dirle tutto, sapeva ascoltare come nessun'altro. Mia sorella è morta quando avevo solo quattro anni, per una qualche sottospecie di veleno secondo i medici. Gli esperti dissero che il liquido le aveva corroso la cassa toracica e gli organi. Il cuore era esploso, spandendo il veleno verso l'esterno e forando le ossa. Mia madre morì due anni dopo per la stessa causa. Lou era l'unica che mi era rimasta. Anche sua madre era morta, l'hanno trovata nel bagno del castello affogata in un mare di sangue. Nico si ostinava a stare da solo, indisturbato in quella che ormai era diventata la sua stanza. Per qualche strano motivo mio padre sembrava non notarlo, sembrava girare al largo dall'ala sud. Pensai che fosse normale, era normale che non si addentrasse nella Stanza Senza Luce. Io, Bianca e Lou pensammo che fosse divertente dare un nome a quel posto, per qualche strano motivo che ancora non riesco a capire. Ogni giorno sentivo una strana forza attirarmi verso quella stanza, e, per quel che capivo, la sentiva anche Nico.

L'ho visto solo una volta in viso. Aveva cinque anni, era abbastanza alto per la sua età, ricci capelli neri come la pece gli coprivano un occhio, ma l'altro lo riuscii a vedere bene: mi ricordava un diamante, un diamante nero, come se avesse perso tutta la sua luce e la sua bellezza. Il viso era come di uno scheletro: pallido e marcato. Chiunque l'avrebbe creduto morto, persino sentendolo respirare a pieni polmoni.

Per fortuna la calda mano di Lou sulla miaspalla mi riportò alla realtà <<Cosa succede? Ti conosco, non piangiinutilmente. D'altronde sei tu a dire che ogni lacrima versata è...>>.<<Una risata sprecata. Sì, so cosa dico. E no, non ho la minima idea dicosa stia succedendo>> la interruppi io, continuando a piangere insilenzio. <<Raccontami>> mi incalzò lei, stringendomi tra le suebraccia. <<È per Nico, ho come un brutto presentimento che non mi fadormire, né pensare ad altro>>. Lei sapeva tutto; degli incubi che facevo quasi ogni notte, dei brividi, delle notti insonni, delle settimane passate senza toccare cibo, delle allucinazioni improvvise, della dislessia temporanea. Di tutto. E sentivo di poterle parlare; eravamo come sorella e fratello, inseparabili. Dopotutto anche suo fratello non c'era più, o meglio era ancora tra i vivi ma era come se non lo fosse mai stato. Lou mi raccontò che era cambiato, prima era un bambino estremamente solare, ma quando il padre morì rifiutò il mondo chiudendosi in se stesso. <<So che sei preoccupato, e conosco il tuo stato, ma non credi che passare avanti sia meglio?>> sapevo bene che non erano le parole che cercava, quel susseguirsi di lettere gli si sgretolò tra le labbra mentre lo pronunciava. Non potevo sopportarlo. Perché faceva così? Non capiva che non toccava a lei sostenere i problemi degli altri? L'unica cosa che riuscii a fare fu abbracciarla, la abbracciai come se fosse la cosa più fragile esistente. Tenevo un fiore tra le braccia senza paura di spiegazzarle i petali, perché sapevo che a quei petali si sarebbero presto sostituite delle maestose ali, come quelle di una fenice. Era uno dei miei presentimenti. Uno dei peggiori, in realtà. <<Parlami un po' tu stavolta>> le dissi, con un sorriso sincero. <<Sarà per la prossima volta. La aspettano per la colazione>> rispose con sorriso complice, porgendomi la mano per seguirla. <<Vuoi dire ci stanno aspettando>>. <<Aspetta, che!>>. Ma era troppo tardi, già la tenevo per il braccio, trascinandola fino alla sala da pranzo. 

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