Parte 5

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   Quella notte sognai. Ero nel vuoto, circondato dal nulla. Non c'era nessuno, neanche io ero fisicamente presente. Sentii una voce fredda e tremante, proprio dietro di me. Ma non mi scansai, mi sentivo protetto. <<Penso ti spetti conoscere la verità>> sussurrò. "Va avanti" pensai, sapendo che mi avrebbe sentito comunque. <<Le leggende che narrano la sorte dei peccatori sono innumerevoli, ma nessuna rende giustizia alla realtà dei fatti. Fin dall'alba dei tempi un'ombra si impossessa del corpo di una creatura, bestia o uomo che sia, tramandandogli i poteri della morte. Quando l'ospite muore lo spirito rimane nel mondo dei mortali per secoli, finche non trova un altro possibile successore. Il compito di questo mostro è di salvare le anime pure, prima che si facciano sopraffare dalla crudeltà e dal potere del genere umano. Questo succede ogni due anni, almeno che lo Spirito Ombra non sia messo in pericolo. Questo è tutto ciò che ti è concesso sapere>>. "Tu... Tu le hai uccise? Tu hai fatto tutto questo?" affogavo nelle mie stesse lacrime, nonostante in quel momento non sapessi dove fossero i miei occhi. <<Io... Mi dispiace, Will>> sapevo quanto fosse effettivamente dispiaciuto, ma la rabbia accecò la ragione. Caricai il pugno più potente che avessi mai dato. Il sogno finì appena in tempo per impedirmi di colpire la vittima.

Mi svegliai di soprassalto. Avevo il volto umido per le lacrime e, come se la rabbia non fosse abbastanza, tremavo ininterrottamente. Mi alzai di scatto e mi lanciai contro il muro, scaricando tutta la furia in un pugno. Lo sguardo mi cadde sulle mie mani. Le nocche perdevano sangue per via del duro impatto. Mi scaraventai nuovamente contro la parete. Delle braccia possenti mi strinsero, fermandomi a pochi centimetri dal bersaglio. <<Lasciami!>> urlai, divincolandomi e menando pugni all'aria. <<Calmo, figliolo. È tutto finito, è tutto finito>>. Quando riconobbi quella voce iniziai a calmarmi. Mio zio Vernon era il fratello di mio padre. Nonostante io non riuscissi a credergli, mi raccontò che suo fratello era sempre stato migliore di lui in tutto, persino in gentilezza. Dorian e Vernon Solace erano inseparabili, secondo mio zio. Gli piaceva raccontarmi le vicende della loro infanzia. Mentre parlava, una scintilla di gioia gli riempiva gli occhi. Era come se rivivesse quelle scene in tempo reale. Io mi divertivo a vederlo così, a pensare che in fondo almeno lui avesse avuto un'infanzia felice. Mi accorsi solo allora che, tutto ciò che sapevo di mio padre, mi era stato detto da suo fratello. Mi girai e lo abbracciai, lasciandolo senza parole. <<Tutto bene, ragazzo?>>. <<Tranquillo, zio. Se anche provaste a tirarmi su di morale, non avreste successo>>. Continuai a stringerlo imperterrito, anche quando cercò di allontanarmi. Poggiai la testa sul suo petto, bagnandogli la camicia. Allora si accorse che stessi piangendo. Mi scacciò con forza, facendomi sedere sul letto. <<Senti, figliolo. Ciò che sai non deve riuscire a distoglierti dalla retta via>> poi uscì dalla stanza, abbandonandomi ai miei dubbi.

Passò un anno, tra paure e dolori. Cercai di annegare le preoccupazioni, isolandomi ed evitando contatti con chiunque, soprattutto con mio zio. Con mio padre non fu difficile, con lui non ne avevo già in partenza. L'unico con cui potei parlare fu il mio cane, Malik. In realtà era il cane di mio padre, ma lui non gli prestava attenzioni. Perciò toccò a me addestrarlo. Legammo all'istante, così ogni volta che ne ebbi bisogno lui fu pronto ad ascoltarmi. Spesso zio Vernon cercava di rallegrarmi, ma io lo ignoravo ogni volta. Quella mattina andai in giardino per dar da mangiare a Malik.

<<Ciao, bello. Come va?>> sussurrai, avvicinandosi alla sua cuccia. Lui mi corse incontro, saltandomi addosso e leccandomi in viso. <<Sei mancato anche a me>>. Non lo vedevo da una settimana, dopo che mio padre mi aveva costretto ad andare in paese in cerca di una candidata per sposarmi. Avevo assecondato questa sua scelta solo perché... In realtà non c'è un vero e proprio motivo. Ma, nonostante questo, mi ero rifiutato di scegliere una giovane ragazza da sottrarre alla propria famiglia. Il solo pensiero che una cosa del genere si tramandasse da secoli mi disgustava. <<Anche oggi ti tocca ascoltare le mie lamentele verso il mondo. Stanotte ho fatto un altro dei miei sogni. Ormai parliamo sempre più spesso. Certo, non potrebbe mai assumere il tuo posto. Tu sei impossibile da rimpiazzare. Ma capiscimi. Lui almeno può rispondere>>. Lo sentii piagnucolare. Poi lo vidi: come pensavo, sfoggiava i suoi migliori occhioni da cucciolo. <<Non fare così. Sai che per me vali più di chiunque altro>>. Non era la prima volta che gli dicevo quelle parole, ma per la prima volta suonarono come una menzogna. C'era una persona ancora in vita che amavo più di lui, anche se ancora non riuscivo ad ammetterlo. Restai a coccolarlo per un paio di ore, poi mi salutò (a modo suo) e tornai nella mia stanza.

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