IV

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Vanja Benjamin Ivanov, appartamento di Vanja Benjamin Ivanov, Mosca-Russia.

Il come fossi riuscito a stare in sella alla moto dopo essermi scolato quattro dei cocktail preparati da quel barista, proprio non lo sapevo, ne volevo saperlo; non quando il cellulare continuava a suonare con tutta quella insistenza.

"Pronto?" Biascicai, appoggiandomi al comodino e scivolando sulla superficie in legno. "Pronto?"

"Van? Sono tuo padre."  Pausa di riflessione in cui i miei occhi quasi si chiusero dalla stanchezza, tanto che quando riprese a parlare sobbalzai. "Tutto bene?"

"Mmm." Un po' dinoccolato sprofondai nel divano. "Una meraviglia," bofonchiai percependo a lato del capo un principio di mal di testa prorompente. "Qualcosa non va?"

"Sei ubriaco?"

Mi allungai per cercare di prendere il cuscino sull'altra poltrona.

"Quante domande questa mattina." Mi allungai ancora un po' e ruzzolai giù dal divano. "Porca puttana."

"Vanja?"

Rotolai sulla schiena e fissai il soffitto. "Sì?" Qualcuno mi stava davvero prendendo in giro lassù. "Che c'è?"

"Che diavolo sta succedendo?" Potevo quasi immaginare mio padre camminare come un forsennato avanti e indietro sull'enorme tappeto rosso, di fronte al suo letto matrimoniale alla villa. "Possiamo parlare senza tutta questa confusione?"

"Sono fermo." A terra, dolorante, ma fermo quanto possibile per concentrarmi, tranne per quel dondolio astruso e fastidioso del soffitto. "Ho fatto rapporto questa notte, qualcosa non va?" La porta del mio appartamento si aprì, si chiuse a chiave e poi la testa di Edrian sbucò nella mia visuale. "Tu non dondoli, sai?"

"Come?"

"Niente." Cercai di trattenere una risata, ma l'espressione stupita di Edrian minacciava di farmi aprire la bocca. "Allora, papà, mi riesci a dire perché hai chiamato? Prima di mezzogiorno vorrei farmi una doccia e mangiare almeno una dozzina di panini."

"Vanja." Sospirò con teatralità. "Ho parlato con Edrian." Aumentai la presa sul mio cellulare e imprecai in silenzio. "Potevi dirmelo, Van. Cazzo, ti sembro per caso il tipo che giudica? Non sono un mostro, dannazione. È questa l'impressione che io e tua madre ti diamo?"

Mi morsicai il labbro inferiore, perché non volevo credere che quell'idiota di Edrian avesse potuto far sapere a mio padre del nostro mezzo... del nostro cazzo di niente!

"Potresti essere un po' più chiaro?" Mi strofinai il viso e cercai di rimanere calmo. "Non capisco cosa avrei dovuto dirti," mentii spudoratamente.

"Potevi dirmi che era gay, Van." Respirò con foga. "Perché diavolo hai creduto che-

"Non era affar mio."

"Ma a cena ti ho posto una domanda precisa e tu mi hai mentito, ci hai mentito."

"Io non ho mentito, ho detto che avresti potuto sentire lui per una risposta precisa." Iniziavo a stancarmi e non solo perché negli ultimi due giorni Edrian fosse ovunque nella mia vita, ma perché il tono di mio padre era fin troppo insinuante. "Non è la mia vita."

"Ah, no?"

Cessai di respirare. Il mio cuore quasi saltò fuori dalla cassa toracica. Che cazzo stava ipotizzando?

"Perché è un tuo amico." Continuò dopo un secondo di pausa e le pause per mio padre non erano mai scontate, così aguzzai le orecchie e cercai di sembrare il più tranquillo possibile e il meno colpevole, acquisendo dettagli del suo discorso invisibili per chi non fosse cresciuto con un Ivanov. "E in ogni caso, la Drakta non, non giudica... noi non giudichiamo, questo lo sai, vero Van?" Non mi permisi di studiare il suo tono di voce quasi ... dolce? "Van?"

Accettazione |THE NY RUSSIAN MAFIA #6Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora