Edrian Makarov, appartamento di Vanja Benjamin Ivanov, Mosca-Russia.
Essere stato lo spettatore dell'aggressione di Vanja mi aveva procurato un enorme senso di disagio e voragine nel petto, una di quelle sensazioni fastidiose che ti continuavano a perseguitare per giorni, per mesi o addirittura anni, quando eri meno fortunato e più incline al pessimismo: erano come dei piccoli sassi schiacciati contro la cassa toracica, fastidiosamente soffocanti. Non avevo mai ritenuto mio padre un santo. Non lo avevo nemmeno mai considerato un brav'uomo, ma, fino ad oggi, mi era sempre stato difficile considerarlo una bestia assetata di sangue.
Ero consapevole della sua bramosia, della sua sete di potere e della sua smania da soldato, ma l'aggressione a Vanja aveva rappresentato l'apoteosi della sua inettitudine, perché non gli era bastato picchiare suo figlio a tempo debito, ma aveva dovuto prendersela anche con... deglutii, non sapendo quale titolo attribuire al rosso e quindi optai per un semplice Vanja.
Patetico.
Ero un uomo che era abituato ad uccidere chiunque respirasse più del dovuto, e non ero in grado di accettare ciò che Vanja sarebbe potuto diventare per me... Scossi la testa e mi concentrai su altri pensieri più impellenti. Forse, il dettaglio che più mi aveva procurato dolore, era stato venire a conoscenza del nome del secondo mandante grazie a Mikhail: mio fratello, colui che fino ad un certo punto nella mia esistenza avevo considerato il mio migliore amico, aveva rappresentato il mio punto cardine durante l'adolescenza.
Ma, la nostra società era così: brutale, meschina e agonizzante; piegata da rigide regole ci comandava a strisciare nel fango, nel sangue e nell'oscurità per sorprendere i nostri nemici alle spalle ed eliminarli senza alcun rumore, senza che il vero mondo ne venisse a conoscenza; non si poteva far altro se non andare avanti, sempre avanti senza mai voltarsi, senza mai fermarsi, continuare a rimanere in moto era il segreto per sopravvivere.
Osservai con profondo affetto l'uomo dai capelli rossi, più piccolo di due anni, addormentato nella camera del suo appartamento lussuoso e provai una piccola stilettata di gelosia nei suoi confronti. No, non nei suoi riguardi, quanto più in quelli della sua famiglia: gli Ivanov. Gli Ivanov erano un'istituzione, gli Ivanov erano la Drakta ma in un certo qual senso non la rappresentavano a pieno, perché Dimitri era un abile boss, coniava l'illegalità con la rettitudine e così anche i suoi fratelli, senza mai sfociare nella follia.
"Edrian?"
Il sussurro spento di mia madre mi indusse a voltarmi e staccare gli occhi, pesanti dal sonno per le mancate ore di riposo, verso di lei.
"Dimmi." Cercai di sorriderle, ma a giudicare dalle rughe della sua fronte non fui molto abile nel circuirla. "Sto bene."
"Edrian"—il suo tono dolce mi fece bruciare gli occhi—"non guarirà prima se continuerai a fare la veglia su di lui."
Deglutii rumorosamente e spostai di nuovo la mia attenzione su Vanja, ai cui piedi si era accoccolata Sadie. Non sarebbe guarito prima con la mia supervisione, questo era fuori discussione, ma non riuscivo ad abbandonare il suo fianco, perché mi sentivo il diretto responsabile di quell'aggressione brutale.
"Lo so," soffiai. "Ma non riesco a smettere."
"Tesoro." Nonostante mia madre fosse minuta e a dir poco bassa, rispetto a me, mi accarezzò la guancia con facilità. "Non gli succederà nulla se riposerai quattro ore." Mi sorrise, con quel suo bel sorriso che mi aveva sempre cullato nelle notti più tempestose. "Anzi, probabilmente ne sarebbe felice."
Soffiai dal naso una specie di risata. "Non lo conosci mamma, sarebbe capace di farmi il culo solo perché non ho fatto di guardia al suo bel faccino per tutta la notte."
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Accettazione |THE NY RUSSIAN MAFIA #6
ChickLit[COMPLETAMENTE REVISIONATA✨] *Si consiglia di iniziare da Promessa.* Fu proprio quell'uomo che, sistematasi la giacca a doppio petto, mi sorrise sollevando l'angolo destro della bocca. Lo conoscevo da sempre, eppure mi sorprendeva ogni volta, condi...