“Non è umanamente possibile mangiare così tanto...” si lasciò sfuggire Jean, osservando Sasha con uno sguardo tra il sorpreso e il disgustato. La ragazza lo ignorò, procedendo a chiamare nuovamente il cameriere, affinché le portasse un'altra pizza. Come se fosse stato sfidato, Connie afferrò il menù, per poi chiamare lo stesso cameriere che era accorso poco prima per Sasha.
“Finirete per sentirvi male...” cercò di fermarli con poca convinzione Armin. Anche il cameriere sembrava preoccupato per i due adolescenti.
“Jean, non è che paghi tu? Io ho speso tutto ieri per quella nuova edizione di patatine gusto menta e fragole.” commentò Sasha fiduciosa.
“Menta e cosa?” ripeté perplesso Jean.
“E fragole.”
Jean sospirò, per poi estrarre dalla tasca dei jeans il portafogli. I suoi occhi si soffermarono sui piatti ormai vuoti appoggiati sulla tavola, poi si spostarono al contenuto del portafogli. Impallidì.
“Se non ordinate altro magari riusciamo a evitare di dover lavare i piatti per i prossimi sei mesi...” affermò Jean, facendosi scorrere esasperatamente una mano tra i capelli. Sapeva che sarebbe finita così. La prossima volta avrebbe pensato più attentamente prima di farsi trascinare in giro dai due combinaguai.
“Grazie Jean, sei il migliore!” esclamò Connie, gettandosi addosso all'amico, che si scostò immediatamente notando le mani sporche di condimento dell'altro.
Armin rise sommessamente alla scena. Erano quelli i momenti che avrebbe voluto ricordare. Il suono di voci allegre. I sorrisi sui volti dei suoi amici. Non il suono delle sirene dell'ambulanza e le domande allarmate degli adulti che non si erano minimamente resi conto di come si sentissero loro ragazzi.
Il suo sguardo ceruleo si spostò all'altro capo della sala. Si posò sulla sedia vuota di un tavolo per due vicino alla finestra. Il sorriso abbandonò il suo volto. Era lì che lui ed Annie avevano preso posto l'ultima volta che erano stati in quel locale. Ed era stato fuori da quella vetrata che si erano baciati per la prima volta sotto la pioggia battente.
“Mi sono ricordato di avere un impegno. Devo tornare a casa.” sussurrò cercando di mantenere la calma. Doveva andarsene immediatamente. Non voleva ricordare quei momenti che non sarebbe mai stato in grado né di dimenticare né di rivivere. Prima che i suoi amici potessero anche solo accorgersi del suo turbamento, Armin era già fuggito.
Il rumore della sedia che si scontra con il suolo e il rinnovato sbattere della porta. Jean lo sta seguendo. È l'unico che può capirlo.
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Piove. Annie immagina in questo modo il diluvio universale. Non sa quando smetterà di piovere, ma non ha altra scelta se non rimanere ad aspettare un autobus che probabilmente non passerà prima di un paio di giorni. Siede su un muretto, cercando di ripararsi sotto il cornicione di un edificio. Ormai però è inutile, è sicura che si ammalerà. Un minuto ancora sotto quella pioggia incessante e si ritroverà a trascorrere le prossime due settimane a letto con l'infuenza.