Capitolo 4

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"Cara Annie,

ieri sera sono andato di nuovo a cena da Niccolò. Questa volta mi hanno accompagnato Eren e Mikasa. Mi sembra sia passata un'eternità dall'ultima che sono stato fuori con loro. Mi mancavano. Dopo cena abbiamo fatto un giro per i campi, Eren voleva mostrarmi alcuni trucchi con lo skate, ma è caduto almeno sette volte. Alla fine io e Mikasa abbiamo dovuto trascinarlo via. Mentre torvanamo a casa abbiamo incontrato Jean. Ho cercato di convincerlo a venire con noi ma continuava a dire di essere impegnato. Non volevo essere insistente ma ero sicuro che non fosse vero. Mi dispiace non essere riuscito a coinvolgerlo. Alla fine io, Eren e Mikasa siamo andati a casa mia a guardare "Edward Mani di Forbice". Penso potrebbe piacerti. Eren si è messo a piangere più volte mentre lo guardavamo, io e Mikasa abbiamo fatto finta di non essercene accorti. Siamo rimasti svegli tutta la notte a parlare, o meglio, io e Mikasa siamo rimasti svegli. Eren si è addormentato, quindi io e Mikasa siamo stati un po' in giardino per evitare di disturbarlo. Non è di molte parole, ma mi piace stare con lei.
Conosco un po' di film che potrebbero piacere anche a te, non vedo l'ora di guardarli assieme.

Ti voglio bene, Armin."

Gli occhi di Armin sembravano riflettere la luce calante del sole

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Gli occhi di Armin sembravano riflettere la luce calante del sole. Si trovavano di nuovo in mezzo agli sconfinati campi che circondavano il loro paesino. Al trio non dispiaceva la quiete che quel solo luogo sembrava portare - volendo, in cerca di tranquillità, si sarebbero potuti spostare verso i boschi circostanti, ma il nonno di Armin era solito avvisarli di non addentrarsi nella foresta al tramonto. Conoscevano bene quel luogo, probabilmente non si sarebbero persi, ma sapevano bene che i loro telefoni non avrebbero avuto campo e che nel caso fossero inciampati su qualche radice, slogandosi una caviglia o peggio, non avrebbero avuto alcun modo per tornare in paese se non strisciando.

Non si erano mai curati di sporcarsi i vestiti sedendosi al suolo. Gli piaceva il contatto dei lunghi steli d'erba contro la loro pelle. Eren era sdraiato. Osservava distrattaemente il cielo. Seguiva con lo sguardo la scia bianca lasciata da un aeroplano di passaggio. Gli sarebbe piaciuto prendere un aereo e andarsene, ma non aveva soldi e non sapeva dove andare. Per il momento si sarebbe accontentato della prateria dove nessuno se non loro e occasionalmente altri loro compagni di classe andavano.

"Mikasa, metti della musica." ordinò pacatamente Eren. Aveva chiuso gli occhi e inspirato profondamente.

La corvina iniziò a scorrere vari titoli "Cosa vuoi che metta?" domandò incerta.

"Quello che vuoi."

Armin non prestò attenzione a qualunque fosse la canzone scelta dall'amica. I suoi continuavano a seguire il sole, che stava lentamente scomparendo oltre la linea dell'orizzonte.

Non sapeva che ora fossero. Dovevano essere almeno le otto. Forse addirittura le nove. Probabilmente avrebbe dovuto avvisare suo nonno che lui e i suoi amici sarebbero tornati a casa tardi. Ci ripensò. Era loro consuetudine rincasare in tarda serata durante l'estate. Erano soliti girare per il paese e per i campi senza meta, poi andare o a casa sua o da Eren e continuare a non fare niente. Probabilmente suo nonno non doveva essersi allarmato. Non era cambiato niente. Sarebbe tornato a casa, avvisando all'ultimo che Eren e Mikasa sarebbero rimasti lì a dormire. Suo nonno avrebbe chiesto che film avessero intenzione di guardare e avrebbe commentato con un "Capisco". Fine. Non era cambiato niente. Assolutamente niente. Era sempre lo stesso. Sarebbe stato sempre lo stesso. Se lo ripeteva come un mantra, cercando di convincersi. Probabilmente suo nonno doveva aver già telefonato agli Jaeger per accertarsi che il nipote si trovasse con Eren e Mikasa e non fosse in realtà tornato da solo sul luogo dell'incidente. Aveva evitato a tutti costi di tornare lì nell'ultimo mese. Cercava sempre di cambiare strada, anche allungando il tragitto, ma non sarebbe tornato lì. Avrebbe rivissuto quella scena. Di nuovo. Più e più volte. Avrebbe visto le proprie mani sporche di sangue. Jean che urlava, chino sopra il corpo di Marco. Anche le mani di Jean erano sporche di sangue. Non se lo ricordava chiaramente. Avrebbe sentito le proprie urla accompagnare quelle di Jean, mentre chiedeva ad Annie di svegliarsi. Poi le sirene dell'ambulanza. Infine il buio. Si era risvegliato il giorno dopo in ospedale. Nessuno gli aveva spiegato cosa fosse accaduto. Lui e Jean si trovavano nella stessa stanza. Non sapevano dove si trovassero Annie e Marco. Lo scoprirono più tardi. Avrebbe preferito che non venisse detto.

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