Sogno o inganno?

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La mattina seguente mi alzai verso le cinque ed andai subito da Amelie dicendole che l'avrei aiutata.

"Davvero mi aiuterai?"
"Cloe si fidava di me ed io ho un conto in sospeso con i Wilson"
"Grazie"
"Da dove cominciamo?"
"Chiamiamo il centro, sentiamo cosa possono dirci"

Cercammo il sito su Internet ma non trovammo nessun numero di telefono. Amelie pensò di inviargli una lettera ma poi constatammo che ci avrebbe messo troppo tempo ad arrivare. Così, due giorni dopo ci trovavamo a sorvolare Londra in direzione di Cork mentre le nostre domande ci frullavano nella testa come un tornado. Atterrammo in Irlanda verso metà mattina, noleggiamo un'auto e andammo fino a Dirshane Castle. L'apparente cittadina era in realtà una landa desolata dove vi era un cimitero ed accanto il centro di riabilitazione, il Dirshane centre. Una struttura vecchia, decadente e scura chiusa da alti pini secolari. Lasciammo la macchina fuori ed entrammo spingendo i neri ed imponenti cancelli. Mentre attraversavamo il viale principale, i medici vestiti completamente di bianco mi sembravano quasi degli oggetti fuori posto in quel luogo così tetro. Erano l'unica nota di colore nel grande giardino di siepi di alloro e ginepri, persino l'orticello di erbe medicinali era costellato di piante grigie di timo e salvia. Il posto mi sembrava tanto surreale a tal punto che ricordo che mi diedi un pizzicotto sul palmo della mano per svegliarmi nel caso stessi sognando.

"Sembra di essere tornati nel 1800"
"Sono d'accordo questo posto è davvero tetro. Perché l'avete mandata in questo posto diroccato"
"Perché sapevamo dei loro metodi naturali, non volevamo imbottire Aliah di pastiglie"

Entrammo dalla grande porta principale e ci ritrovammo in un enorme corridoio con il pavimento a motivi geometrici bianchi e neri, le pareti sulla destra ricoperte di libri e grandi finestre sulla parte sinistra. Nel mezzo c'era un grande tavolo di ebano con dietro una donna alta e magrissima che aveva un viso magro incorniciato dai lunghi capelli neri e lisci. Amelie le disse che eravamo lì per parlare di Cloe Dillon e la signora chiamò una giovane donna sulla ventina, scura di pelle con i capelli afro. Con un cordiale sorriso ci invitò a seguirla in un dedalo di corridoi e di scale pieni di dipinti e mobili scuri. Ad un certo punto entrò in un grazioso salottino deserto dall'arredamento piuttosto antiquato e si sedette su una delle sedie presenti invitandoci a fare altrettanto.

"Salve, sono Lova la vecchia infermiera di Cloe. Immagino che siate distrutti dalla sua scomparsa..."
"Si molto. Noi siamo i fratelli di Cloe: Amande e Antonie Dillon"

Guardai Amelie cercando di capire cosa avesse in mente ma il suo sguardo non lasciava trasparire un briciolo di insicurezza. Così stetti al suo gioco capacitandomi di decifrare dove volesse andare a parare e perché stesse mentendo.

"Mi dispiace un sacco per Cloe, spero che la polizia la trovi"
"Non le nego che non mi sono mai fidata molto della polizia infatti, come immaginavo, è stata categorica nel non rivelarci alcuna informazione sul caso. Eravamo venuti per sapere qualcosa di più, siamo molto in pensiero per lei"
"Signorina, non so se potrei dirle..."
"Per favore Lova, per noi è molto importante. Nostra madre sta davvero male da quando è scomparsa e solo un barlume di speranza la aiuterebbe a ritrovare la ragione"

Amelie prese le mani dell'infermiera guardandola dritta negli occhi ed infine Lova si convinse a dirci qualcosa in più di quello che già sapevamo. Ci disse che Cloe era sempre stata una ragazza buona e gentile e che adorava stare lì, non era mai cambiata neanche negli ultimi tempi. Amelie chiese all'infermiera di accompagnarci nella sua stanza e proprio in quel momento Lova ebbe qualche attimo di esitazione. Ricordo che guardò davanti a se per qualche impercettibile secondo come se fosse indecisa sul da farsi, come se dentro la stanza di Cloe ci fosse qualcosa che magari non dovevamo vedere. Si alzò dalla sedia e, di nuovo ci guidò all'interno di quel labirinto sinistro punteggiato da camici bianchi. Attraversammo un corridoio con dei busti in marmo esposti su dei piedistalli e Lova si fermò sulla porta con il numero 2114. Prese delle chiavi dalla tasca del camice ed aprì la porta rivelando così una stanza minimale e spoglia.

"La polizia ha già preso i suoi effetti personali per analizzarli credo"
"Immaginavamo si, volevamo solo dare un'occhiata più da vicino. Potrebbe lasciarci soli qualche minuto?"
"Ma certo, prego"

Entrammo e l'infermiera chiuse la porta dicendo che sarebbe tornata subito. Amelie cominciò finalmente a spiegarmi il suo piano. Non si fidava di nessuno e preferiva che la gente non sapesse la nostra vera identità così avremmo potuto agire indisturbati. Dopodiché aprì l'armadio cominciando a tastarne il fondo finché non trovò quello che cercava: uno scomparto segreto. Vi tirò fuori una scatola a forma di pentagono, ma non fece in tempo neanche a capirne il suo utilizzo, che sentimmo dei passi fuori dalla porta. Così Amelie la rimise apposto e chiuse lo scomparto. Lova rientrò nella stanza e mentre ci invitava ad uscire, la bionda mi lancio un'occhiata guardando le chiavi che aveva in mano l'infermiera. Capii subito cosa voleva che io facessi. Amelie urtò Lova che vacillò mentre io le presi le chiavi.

"Mi scusi Lova, non era mia intenzione"
"Si figuri, il pavimento è pieno di buche. Avete trovato qualcosa?"
"Purtroppo no, niente di utile"
"Mi dispiace davvero tanto. Posso fare altro per voi?"
"No, no grazie. Noi possiamo anche andare"

L'infermiera ci riaccompagnò all'ingresso e ci lasciò lì. Io feci vedere le chiavi ad Amelie e lei parve soddisfatta. Prese il posto del guidatore dicendo che dovevamo andare a trovare una persona.

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La ragazza di carta pestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora