Stabilità? Un po' di brio ci vuole ogni tanto

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Mi è sempre parso tutto fin troppo semplice. La vita intendo. Abitudiaria ed a volte quasi monotona. Se ci avete mai fatto caso tutto segue uno schema preciso che, se non rispettato, in qualche modo te la fa pagare. Anche se non sempre è così, guardate me per esempio. Ero fidanzato da cinque anni, avevo il mio lavoro, stavo facendo carriera, abitavo in un bellissimo appartamento con la mia ragazza, non le facevo mai mancare nulla. Eppure, in una frazione di secondo, è cambiato tutto come si Dio da lassù avesse schioccato le dita per dare un po' di brio alla mia vita. Diciamo che il mio reality personale non dev'essere stato così interessante e quindi ha deciso di dargli una bella spolverata. Che poi, se esistesse davvero Dio, perché avrebbe fatto capitare tutto questo a me e non magari ad un assassino o ad uno stupratore, che sicuramente lo meritavano di più? I preti hanno sempre detto che le vie del Signore sono misteriose e che non sempre ci è dato comprenderle. Inizialmente non ero sicuro di nulla mentre ora come ora mi sono dovuto ricredere: sono davvero contorte e misteriose come dicono. Voglio iniziare a raccontarvi la mia storia prima ancora di quel giorno che mi cambiò per sempre la vita (anche se non so ancora con certezza se in meglio o in peggio).

Io ed Emma stavamo per sposarci. Le avevo appena fatto la proposta e i preparativi per il matrimonio stavano lentamente cominciando. Eravamo seduti sul divano quel giorno, lei stava guardando una rivista di abiti da sposa mordicchiando una penna, mentre io le massaggiavo i piedi e fissavo una qualche cosa fuori dalla finestra. Arrivò una chiamata sul suo cellulare e, per non farla alzare, risposi io al posto suo. Il contatto era salvato come Mark Collins, che inizialmente pensai fosse un collega di lavoro di Emma. Come ero stupido. Lui ha cominciato a sputare nomignoli diabetici chiedendo di vedersi sta sera, visto che sapeva che io avevo un'importante riunione di lavoro e che quindi sarei stato via fino a tardi. Misi giù il telefono senza proferire una parola mentre Emma mi chiedeva chi fosse dall'altra stanza. Tranquillamente tornai in salotto e le sfilai l'anello di fidanzamento dal dito indicandole la porta d'uscita. Lei si alzò immediatamente cominciando a blaterare delle stupide scuse mentre io continuavo ad indicarle la porta in silenzio. Lei mi chiese di lasciarla spiegare ma io le risposi che avevo già capito tutto e che non c'era bisogno di dire neanche una parola.

Dopo un mese soltanto vedevo Mark e Emma a braccetto nei corridoi del Museum of London che passavano davanti al mio ufficio ridendo e scherzando come se niente fosse mai accaduto. In quel maggio arrivò anche la lettera di licenziamento da parte del signor Wilson, il mio capo ed il padre di Emma. Non mi diede alcuna spiegazione e mi cacciò fuori così su due piedi. Tornato a casa mia feci una cosa che mai avrei fatto in passato: iniziai a spaccare qualsiasi oggetto che mi capitasse sotto tiro senza neanche pensarci due volte. C'erano cocci sparsi ovunque per l'appartamento che, solo dopo essermi fermato a riflettere, avevo realizzato che era una perfetta copia della mia mente in quel momento: un caos totale. Presi il computer e mi buttai sul letto avviando la ricerca su Google di Mark Collins: un ricco imprenditore della Collins&co a capo del reparto di design degli interni nell'azienda di famiglia. Trovai anche alcuni scandali su di lui, scritti in diversi giornali londinesi, che lo ritraevano come il playboy di turno assieme alla figlia della ricca famiglia Wilson. I tipici titoli dei giornali di pettegolezzi recitavano a caratteri cubitali "Due imperi di Londra finalmente uniti", "Unione d'amore o di convenienza per i figli Collins e Wilson?" e "Imprenditoria e musei sotto lo stesso tetto: sarà vero amore?". Avevo trovato anche delle foto fatte dai paparazzi più disperati a Emma e Mark che camminavano mano nella mano a Hyde Park. Avevo scaraventato il computer giù dal letto mentre una nuova ondata di rabbia si faceva largo nella mia testa.

Emma non era la ragazza d'oro che dipingevano i giornali ma era una grande manipolatrice: mi faceva fare tutto quello che voleva dicendo che era per il mio bene. Non voleva che facessi certe cose, era gelosissima perfino della mie cugine e per finire, non ha mai voluto che io riallacciassi i rapporti con la mia famiglia che mi aveva avvertito fin da subito che l'alta società mi avrebbe rovinato. Io non ho voluto credergli all'epoca, così mi sono trasferito lo stesso con lei a Waterloo lasciando Swan Bottom e tagliando per sempre i ponti con loro.
Mio padre era morto qualche mese prima; io volevo andare al funerale ma Emma ha insistito per non andarci. Continuava a ribadirmi che i miei genitori non mi volevano bene, visto che non rispettavano le mie scelte ed io, da stupido, le ho creduto. Ora mi mangiavo le mani per non averla contraddetta in passato o per non esserci andato lo stesso non lasciando che mi influenzasse. Mia mamma mi aveva avvisato un anno prima che papà aveva la SLA e che quella sarebbe stata la sua fine, ma Emma non voleva che io andassi da lui dicendo che se lo meritava e che solo in quel momento avrebbe capito il dolore che ci aveva recato come coppia. In quel momento di assoluto smarrimento la luce in fondo al tunnel mi era sembrata solo una: chiamare mia madre, scusarmi con lei e farmi aiutare. Il telefono continuava a suonare a vuoto ed io pregavo Dio che mi rispondesse.

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La ragazza di carta pestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora