Capitolo 1 - Una Mano Nel Buio

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"Kenma, tesoro, allora in bocca al lupo! Spero ti possa piacere la nuova squadra!". La mamma mi saluta con la mano e urla nonostante io sia lì a 3 metri di distanza da lei, che sto aprendo la porta per uscire di casa. La mia casa non è molto grande, è soprattutto bianca, gialla e dipinta con colori chiari, neutri, nulla di particolare. Davanti alla porta d'ingresso c'é una scala che porta al piano di sopra e la mamma è proprio sull'ultimo gradino che si sporge verso la porta tenendo con la mano sinistra la ringhiera metallica della scala. "Non sarai mica spaventato, vero? Spero che tu possa trovare nuovi amici!" e sorride. "No mamma non sono spaventato. Ciao". Giro la testa e mi chiudo la porta alle spalle. Ma che domande mi fa la mamma? Mah.

Entro nella palestra con la cerniera della giacca rossa aperta e il mio borsone scuro da pallavolo che saltella sulla spalla destra. C'é il sole. Alcuni ragazzi sorridono e parlano tra di loro, sembrano amici. A me basta il mio cellulare, la mia console portatile e i miei giochi. Hanno tutti i capelli corti e scuri. E poi ci sono io con i capelli un po' lunghi a caschetto, biondi con la ricrescita nera. Ne noto uno sorridente ma taciturno che si è girato a guardare nella mia direzione. Ma che ha? Ha un taglio di capelli un po' particolare: sono neri e un ciuffo gli ricade davanti alla faccia, sull'occhio destro. Noto che ha gli occhi curiosi e scuri, ma anche in qualche modo piú adulti. Mi starà osservando per i miei capelli o per altro? O forse non sta guardando affatto me? Non lo so, ma ritorno a pensare al nuovo gioco che uscirà a breva per la console.

C'è un uomo austero che aspetta dentro la palestra con le braccia incrociate. Ha un po' di barba ispida, è abbastanza alto e muscoloso. Io e gli altri ragazzi entriamo in uno spogliatoio a sinistra -seguendo le indicazioni di un altro uomo più giovane e alla buona, vestito con un completo e un maglioncino (secondo me fa già caldo cosí, perché lui invece ha addosso anche un maglione?)- che si trova appena prima dell'entrata effettiva nella palestra da gioco.

"Buongiorno a tutti ragazzi. Sono felice di vedervi". L'uomo, che adesso capisco essere l'allenatore -come avevo già pensato in precedenza- ha una voce profonda e austera, come lo è il suo aspetto e, anche se dice di essere felice, si capisce che sono solo i convenevoli e le regole della buona educazione. "Per prima cosa voglio che sappiate questa cosa: se siete entrati a far parte di questa squadra, non è perché mi state particolarmente simpatici o altro. Il fatto di essere qui oggi non vi garantisce il posto al prossimo allenamento, alla prima partita di campionato o alla prossima stagione. E statemi bene a sentire. Perché possiate essere tutti parte integrante di questa squadra, voglio onestà, bravura, perseveranza, determinazione, precisione, giustizia delle regole ed educazione. Non mi interessa se siete molto dotati, ma scortesi. Per me siete fuori. Non mi interessa se siete molto determinati, ma non all'altezza del vostro compito. Per me siete fuori. Non mi interessa se siete educati, ma disonesti. Per me siete fuori. Qualcosa da obiettare?". L'allenatore non dà neanche il tempo minimo per obiettare, ma ovviamente nessuno avrebbe avuto il coraggio -o la stupidità- di farlo.

Passata la presentazione molto invitante -beh non è stato di certo invitante come inizio, ma comunque per chi ha la coscienza pulita questo è stato solo un duro inizio di cui non aver timore- si passa alle presentazioni di noi giocatori. Nome si intende, nient'altro, è già abbastanza cosí: l'allenatore non ha tempo da perdere. Facciamo allora il giro dei nomi e diciamo "piacere" dopo che ognuno di noi si è presentato, per rispetto. Quando arriva il suo turno, mi ricordo il nome del ragazzo che -penso- mi abbia guardato prima. Si chiama Kuroo di cognome e mi sembra Tetsuro di nome.
Appena prima del mio turno, alcuni ragazzi si girano sorridenti e con un'espressione tipo "sono meglio io", gli uni verso gli altri -sono gli stessi che prima di entrare in palestra si stavano parlando- e si sussurrano qualcosa. Capisco che stanno parlando di me "Ma quel piccoletto. Ecco quello, ma è una ragazza o un ragazzo?" "Non pensavo che adesso noi giocassimo anche con le ragazzine". Il gruppetto cerca di trattenere le risate alla stupida battuta. Si certo, saró piú basso di loro, ok, ma non sono mica un piccoletto. E neanche una ragazza. Ci sarà tempo per misurarsi durante il gioco, comunque, per questo io non ho fretta. "Sono un ragazzo" rispondo. E loro si girano stupiti: no, non si aspettavano che li avessi sentiti. Si sbagliavano. Dentro di me sono felice, perché adesso almeno stanno zitti. Sono riuscito ad ammutolirli. Mi sembra un po' strano. "Mi chiamo Kozume Kenma". Vedo Kuroo (sí, dovrebbe chiamarsi cosí) che sorride alla mia destra quando pronuncio il mio nome. Ma perché? Ancora non capisco. Forse sono solo io che mi faccio troppe domande e troppi problemi. Forse non sta sorridendo davvero rivolto a me?

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