L'interno era pieno di erba secca sparsa, al centro un cerchio di pietre e carboni componeva i resti di un fuoco. Sangue di varie età tappezzava il pavimento, addossato intorno a un tavolo di vecchie assi adeso alla parete. Dai muri spuntavano chiodi e ganci, uno reggeva tre quaglie con le zampe legate insieme da una cordicella. Non vide più il resto. Si fiondò senza pensare, lasciò la spada e a malapena le spennò, giusto qualche manciata, poi le addentò. Non fece distinzione fra carne, ossa e piume. Il sangue fresco le sporcò il muso. Una voce ruvida la colpì alla nuca, grave, raspante; sentiva le note graffiarle le squame.
« Vattene bestiaccia! »
Un omone tarchiato le puntava una freccia addosso, investito alle spalle dalla luce bianca della giornata. Arricciò le labbra e gli soffiò contro, diede dimostrazione di tutti i denti aguzzi. Poi scartò subito di lato. Schivò il dardo per un pelo. L'uomo sbarrò gli occhi e indietreggiò d'un passo, lasciò cadere l'arco e prese dalla cinta un coltellaccio da caccia, di quelli usati per scuoiare le pelli.
« Non ti avvicinare! »
Vaarah si tirò in piedi, la schiena ricurva e le dita arricciate, i piccoli artigli pronti. La coda si agitò alle sue spalle. Per alcuni secondi si studiarono; il viso barbuto del cacciatore si scavò di rughe, le dita di Vaarah ebbero uno spasmo.
« Non lo farei. »
La sua voce era grave, sporcata da un pesante accento straniero. Non era una preghiera. L'uomo sobbalzò e retrocesse di un altro passo.
« Tu... Capisci? »
Vaarah non rispose. L'uomo la squadrò a fondo, senza maglia, smaltata di sangue vecchio e nuovo. Il ventre scarno s'alzava e s'abbassava insieme ai suoi respiri. Un silenzio gravoso scese nel capanno.
« Chi sei? »
Lei rimase a guardarlo. I suoi occhietti gialli ferivano come lame.
« Pensavo non ci fosse nessuno. »
Silenzio. Le fece uno sbrigativo cenno col capo.
« Che cosa ti è capitato? »
C'era tensione, ogni fremito di uno legava a doppio filo un movimento dell'altra.
« Assalitori. »
L'uomo rifletté. Qualcosa nei suoi occhi mutò, e Vaarah sfruttò l'attimo. Si gettò a terra, raccolse la spada e la puntò verso di lui. Era così bassa sul pavimento da sembrare realmente una bestia. L'altro indietreggiò ancora e alzò le mani insieme al coltello.
« Calma, calma! Ho capito chi sei. »
Il suo vocione fu assorbito dalle pareti cadenti. Si abbassò lentamente, un ginocchio ammortizzò sul pavimento di pietra e il coltello fu abbassato per metà.
« Sei una delle paludi. »
Il coltello toccò il suolo e subito la mano callosa se ne allontanò, tornando alta accanto all'altra.
« Mia moglie mi ha parlato di voi, non... ne avevo mai vista una prima. »
Con calma, prudenza, avvicinò le dita ai bottoni e iniziò a spogliarsi della camicia. La rettile sibilò e spinse la spada più avanti, ma lui non smise finché il petto non fu nudo. Era un uomo robusto, screziato dal lavoro, coperto di folti peli neri fino all'addome. Gentilmente ripiegò l'indumento e glielo porse, annuendo. Lei esitò. Gli sguardi altalenavano fra la camicia e le armi.
« Tieni. Prendila. »
Disse agitando appena il braccio. I suoi modi erano duri, grezzi, ma avvolti in una corteccia paterna che infondeva uno strano senso di sicurezza. Era questo che la teneva in guardia. Strappò la camicia dalla sua mano e si allontanò. Se ne vestì velocemente senza mai mollare la spada. Emanava ancora il suo calore. Se la strinse contro le squame e un fuggevole senso di sollievo la fece rabbrividire, ma durò poco. Subito tornò a trapassarlo con le pupille e minacciarlo con la punta.
« Perché? »
Un cauto sorriso si aprì tra le sue guance consumate.
« Offriamo aiuto ai viaggiatori e ai bisognosi. La Sua parola ce lo insegna. »
Lei si ritrasse nell'ombra. L'uomo tirò un basso sospiro, tre file di rughe gli scavarono la pelle. Si alzò in piedi, aprì la porta, la guardò e poi uscì, restando visibile dall'interno mentre si allontanava. Si piazzò a una decina di metri e alzò le braccia.
« Non ti farò del male. »
Ma lei non lo seguì, non prima di aver finito di mangiare le sue quaglie. Lì, davanti ai suoi occhi. Era chiaro lo sforzo dell'uomo nel guardarla, il disagio che la cosa gli creava. Non smetteva di controllarlo, di tenerlo d'occhio. Lo soppesò a lungo. Decise che non si trattava di un assassino e tantomeno di un soldato. Guardò a destra e sinistra oltre la soglia della porta, poi scelse con cautela di uscire. Lui aveva lasciato tutte le sue armi nell'edificio, non gliene vedeva altre addosso, vicino a lui sdraiata sull'erba c'era solo la carcassa di un cervo. Lui se la caricò in spalla fra vari sospiri di fatica. Anche quella sembrò guardarla con i suoi occhi vitrei. Il cacciatore fece un cenno verso di essa.
« Ho un cervo e solo cinque bocche. Mi piacerebbe presentare a mia moglie e ai miei figli una faccia nuova. »
« Non voglio debiti. »
« Nessun debito, solo un invito. Potrai andartene subito dopo, o restare e aiutarmi con il raccolto per qualche giorno. Mi farebbero comodo due braccia in più. »
Si fermò a riflettere. Poteva essere un'opportunità. Per nascondersi, confondere i braccatori. L'avrebbero cercata sempre più avanti e li avrebbe seminati. Poteva funzionare.
« Allora, vuoi? »
« Il tuo è un dio pericoloso. »
La cosa sembrò divertirlo.
« Tu lo sei? »
Lo guardò negli occhi, poi rinfoderò la spada e si raddrizzò. Si sbatté le piume via di dosso e, restando a distanza, lo seguì. Lui sbuffò allegro, un po' troppo soddisfatto, e s'incamminarono. Non andavano veloce, entrambi portavano i propri pesi in silenzio.
« Sono Horst. »
L'assenza di reazione gli diede una scusa per essere più intraprendente.
« E tu? »
« Vaarah. »
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Il Soldato di Porcellana
FantasyAnno 202, Irïedin. Vaarah, una donna rettile appartenente a una civiltá forestiera non può tornare dal suo popolo per ragioni che non racconta. Il suo viaggio con Daeris, la figlia di un cacciatore fuggita di casa, comincia con una meta in comune e...