"Non piangere, non piangere, non piangere..." Penso, ma non riesco trattenere il flusso caldo e umido delle mie lacrime disperate.
Il nodo che ho in gola si stringe quando faccio un calcolo mentale dei soldi che ho risparmiato nella piccola scatola che si trova in camera mia.
Premo le mie mani fredde e tremanti sui miei occhi, e reprimo un singhiozzo.
È quasi mezzanotte e non ho il coraggio di entrare nell'appartamento in cui abito perché so già chi incontrerò. So chi mi sta aspettando e non sono pronta per affrontarlo...
Sono accucciata con le ginocchia al petto nel corridoio del palazzo orribile in cui vivo, con lo sguardo fisso su un punto indefinito del pavimento e un nodo allo stomaco dovuto all'ansia.
Sono patetica.
So che è sobrio. So che non ha bevuto una sola goccia d'alcol e che non c'è peggior momento per temerlo. Dio solo sa quanto ho bisogno che lui sia affogato nell'alcol perché non cerchi di colpirmi... Perché non cerchi di toccarmi...
Il mio cuore batte con furia contro le mie costole e mi sembra quasi di sentire un buco che si forma nel mio petto perché esso possa uscire dal mio corpo.
"Non piangere. Non piangere. Non. Piangere..."
Serro gli occhi con forza e, allo stesso tempo, ispiro profondamente. Devo tranquillizzarmi.
Stiro con le mani la sporca camicia bianca che indosso solo perché ho bisogno di guadagnare altro tempo per armarmi di coraggio e alzarmi dal suolo.
Asciugo le lacrime dalle mie guance con il dorso delle mani e premo i palmi contro le mie ginocchia piegate, in un debole intento di diminuire il tremore del mio corpo, ma nulla di questo mi aiuta.
"Puoi farcela, Maya" sussurro a me stessa. "Puoi farcela. Porgigli una birra e poi rinchiuditi nella tua stanza."
Ma so che non è così facile come sembra. Non sarà sufficiente una bevanda. Abbatterà quella porta e tornerà a farmi del male.
Le ferite che mi ha procurato la settimana scorsa sono ancora ben visibili sulle mie braccia; però il gonfiore del mio zigomo destro è diminuito notevolmente. Non so cosa diavolo farò per giustificare i lividi al lavoro. Non so per quanto tempo ancora si berranno la storia che mi sono inventata. Quella in cui racconto a tutto il mondo che sono la goffaggine fatta a persona...
L'oppressione nel mio cuore aumenta un po' di più e mi sento affondare lentamente. Non posso evitarlo. E non posso nemmeno chiedere aiuto. Non posso fare nulla perché lui è mio padre.
Un singhiozzo esce dalla mia gola. Non riesco a respirare. Non posso eliminare il peso che porto sulle mie spalle in questo momento. La disperazione è così grande, che faccio fatica a restare lucida.
Sono sul punto di esplodere. Non ne posso più. Non posso continuare così. Finirò per perdere la testa.
I passi provenienti dalle scale mi obbligano a tornare alla realtà. Sposto la mia attenzione a loro e cerco di ricompormi per rendermi conto che qualcuno avanza a passo lento e spensierato. L'umiliazione si insinua dentro di me come l'umidità. Cerco di non alzare la testa per niente, però sono troppo curiosa di sapere chi è.
Ho visto il vicino del piano superiore poche volte da quando vivo qui. È arrivato mesi fa, ma non è un tipo molto sociale.
Riesco a vedere a malapena le sue spalle mentre passa alla rampa di scale successiva. Indossa un cappello di lana in testa, però alcuni capelli color caramello escono da esso, coprendo la sua nuca e parte del suo collo. Indossa una felpa che gli veste un po' larga e un paio di jeans abbastanza attillati. È abbastanza alto e imponente.
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BESTIA » harry styles [italian translation]
FanfictionHarry Stevens trasmette pericolo da ogni parte del corpo e non per le cicatrici che possiede sul lato sinistro del suo volto. E' il tipo di ragazzo con il quale non vuoi avere niente a che fare perché sai già che, tra tutte le altre cose, ti distrug...