Capitolo 13

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Ho fatto da madre e da padre ai miei figli, non perché non l'avessero, ma perché la sua presenza era impalpabile. "Mamma, stasera posso andare alla festa di Carnevale?" chiedeva uno dei due e puntualmente lui rispondeva: "ma dove dovete andare, che dovete andare a fare, rimanete a casa". Questa era la sua risposta a tutte le domande di Fabrizio e Federica e rispondeva in quel modo non perché non capisse la voglia di andare dei bambini o la necessità di questi di fare qualcosa. Rispondeva così perché in lui scattava sempre la negazione di tutto ciò che gli altri volevano o dicevano, doveva sempre dire o fare il contrario di quello che dicevano o facevano gli altri. E all'inizio ho cercato di capirlo e l'ho sempre giustificato: nella sua famiglia non c'è stato né affetto, né amore, e se c'era, io quell'amore non l'ho mai capito e credo neanche lui. I suoi genitori distanti per lavoro e lui cresciuto sballottolato di qua e di là tra una città e l'altra, a volte con le nonne, a volte con le zie, il più delle volte solo con sua sorella in una casa fredda e vuota ad aspettare che uno dei due, padre o madre, tornasse dal lavoro. Era stato cresciuto con la certezza che ogni dimostrazione d'affetto era superflua e che per vivere non era necessaria; solo il duro lavoro e i sacrifici avrebbero portato felicità in famiglia, solo il lavoro era necessario, e i suoi genitori lavoravano per le necessità dei figli, rimandando a mai le dimostrazioni d'amore e di affetto verso loro. All'inizio questo suo comportarsi mi straniva: come poteva un uomo così passionale, che mi amava in mille modi diversi, comportarsi poi freddamente verso l'esigenza dei figli di sentirsi coccolati, protetti e amati. E io per ovviare alla mancanza li coccolavo il doppio, li tranquillizzavo con dei racconti, ero sempre presente a scuola, li aiutavo con i compiti, li accompagnavo in palestra, in piscina, preparavo per loro pranzi semplici impiattandoli come un vero chef, organizzavo le loro feste di compleanno facendo finta di fregarmene del muso lungo del padre, facevo continuamente acquisti per loro spacciandoli per piccoli regali, tutto sempre con il sorriso, li portavo in vacanza fuori Italia dicendo loro che era necessario conoscere luoghi diversi, lingue diverse, tradizioni diverse per capire, comprendere e così accettare le diversità. Quanti viaggi insieme, quante avventure in Francia, in Spagna, in Inghilterra e poi quante isole abbiamo visitato oltre la Sicilia e la Sardegna: Malta, tutte le Canarie, Madeira, le isole greche, ognuna diversa dall'altra, su ognuna abbiamo riso e scherzato e ognuna ha lasciato nei nostri cuori un'impronta indelebile. E poi le estati in Puglia, nel casolare dei miei genitori: tutto il mese di agosto lo passavamo lì, noi tre, inseparabili. Quando i dottori mi dissero che era necessario portare al mare i miei figli, così non si sarebbero ammalati tanto spesso durante il lungo inverno, vivendo in montagna, ero felice ed entusiasta, era un' occasione per poter stare insieme, noi quattro, lontani dai problemi di lavoro, in un posto diverso dalla routine giornaliera, pur non amando molto il caldo che ci avrebbe asfissiato per tutto il mese e invece un altro pezzo del mio cuore si staccò lacerandomi l'anima. Lui mi disse che era giusto portarli al mare se necessario, ma non sarebbe venuto perché non amava il mare, dopo due giorni si sarebbe annoiato e poi non poteva mica lasciare il lavoro per un mese!! Le parole precise furono:" Fai che vuoi, vai, stai quanto vuoi, tanto sei a casa tua, ma a me devi lasciarmi stare, io non verrò". E anche in quell'occasione sbagliai, anziché convincerlo che il concetto di famiglia che aveva non corrispondeva affatto al mio, alle nostre, esigenze, che i bambini avevano bisogno di lui, di giocare con lui, di vederlo sorridere con loro e per loro, mi convinsi che in fondo non avevamo bisogno di lui, che ero una donna autonoma e potevo farlo da sola, ci sarei andata sola tutti gli anni, finché loro ne avessero avuto bisogno. E l'ho fatto per anni, la vedova allegra, mi dicevo, per sdrammatizzare la mia situazione senza speranza quando tutti in spiaggia al mio arrivo mi salutavano e mi chiedevano dove fosse mio marito. Con il sorriso sulle labbra e una voragine profonda nel cuore dicevo di essere come una vedova allegra, di aver errato a ricercare nel matrimonio la felicità: la stessa situazione l'avrei raggiunta rimanendo una ragazza madre, felice insieme ai miei figli ma senza alcun legame con chicchessia. E nascondevo l'umiliazione di sentirmi profondamente sola con l'autoironia, e ricoprivo tutta la sofferenza della mia anima con falsi sorrisi di cortesia e odiavo profondamente tutti quegli sguardi comprensivi che mal celavano la commiserazione di quanti mi guardavano e vedevano nella mia solitudine la forza di una donna autonoma e tenace. Quanti anni sono passati, sbagli su sbagli, e tutti i miei errori sono diventati tragicamente irreparabili: me ne sono resa conto quando Federica e Fabrizio durante la frequenza del liceo mi parlavano, raccontandomi aneddoti dei compagni di classe, nei loro racconti c'erano sempre padri comprensivi, a volte burberi ma presenti, madri felici, a volte inconsapevoli di essere donne fortunate. Quando poi raccontavano a me qualcosa, qualsiasi cosa, interessante dal punto di vista formativo o anche solo divertente, quando dovevano prendere decisioni riguardanti il loro percorso futuro o anche solo decidere una vacanza, allora parlavano solo con me, magari aspettando che il padre uscisse dalla stanza. Allora io pregavo loro di dirlo anche al padre ma rispondevano che era inutile, tanto da lui non sarebbe arrivato alcun consiglio. Mi si stringeva il cuore, era colpa mia, avevo scelto di vivere una vita, la mia vita, prendendo decisioni egoistiche, non riflettendo che quelle stesse decisioni, un giorno, si sarebbero schiantate sulla vita dei miei figli. Avevo voluto vivere il mio amore fregandomene di tutto e tutti, avevo preso quella decisione accecata da una passione, che forse era solo la mia. Ogni mattina mi svegliavo in un letto vuoto e mi alzavo senza una carezza, senza una parola, fosse anche solo buongiorno, ogni giorno pranzavo di fronte ad un uomo perso nei suoi pensieri, sempre distratto da problemi, diversi dai miei, problemi che avremmo dovuto avere insieme e risolvere insieme, insieme si poteva affrontare tutto e magari non ne avremmo avuti di problemi, invece la sera si ripeteva uguale, come ogni sera, allora guardavo i miei figli e sorridevo loro, sperando che non capissero la mia disperazione. E quando distrutta mi mettevo a letto, atterrita dal dolore di una perdita che in fondo non era tale ma che sentivo pressante nell'anima, allora lui mi stringeva al suo petto, mi accarezzava e in silenzio mi amava ancora.

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