SECONDA PARTE

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Il giorno seguente il mio arrivo per me fu tutto nuovo: il primo risveglio senza la colazione già pronta, le prime lezioni all'università, le prime conversazioni con alcune mie compagne di corso e le prime ore di studio in camera mia. Al liceo mi chiamavano "la secchia" e in un certo senso ne andavo fiera. Ero sempre stata abituata a dedicarmi allo studio volta per volta e non sempre per me lo studio rappresentava un dovere, ma un piacere. Comunque, nonostante le mie difficoltà a relazionarmi con gli altri, non ero mai stata una ragazza solitaria e senza amici. Nella vita avevo avuto la fortuna di trovare persone di cui potermi fidare davvero, come Nicole. Dopo il liceo, lei aveva scelto di accontentarsi del negozio di spezie di proprietà dei suoi genitori, ed era contenta così. Non era mai stata particolarmente brava a scuola e l'università non le garbava affatto, per cui fu un'idea che scartò a priori. Dopo aver terminato la mia sessione di studio, decisi di chiamarla e chiacchierare un po'.

«Mi raccomando, non prendere l'accento milanese.» mi avvertì.
Io risi. «No, stai tranquilla.»
«Come sono i coinquilini? Li hai conosciuti?»
«Sì, ma non credo che farò molta conoscenza.»
«Perché? Come sono?»
Mentre picchiettavo sulla scrivania, le raccontai di Jenny e del suo stile stravagante. Quella mattina l'avevo vista uscire con un vestito nero borchiato e una borsa giallo fluo, chiaramente truccata in modo impeccabile. Ci eravamo beccate appena cinque minuti in cucina mentre io stavo facendo colazione. Non era una ragazza di molte parole, ma qualcosa mi diceva che con le persone più simili a lei era più espansiva. Poi le raccontai di Theodore, che era come un fantasma. Dalla sera prima non l'avevo ancora visto, tanto che mi chiesi se ci fosse davvero in appartamento un ragazzo che si chiamasse Theodore o se era stato tutto frutto della mia immaginazione. Poi fu il turno di Filippo.
«E lui com'è?» mi chiese Nicole.
«Non so... mi ha dato l'idea di essere un po' pieno di sé.»
«Ti piace?»
Io aggrottai la fronte. «Cosa? No, certo che no.»
«Tutti i ragazzi che ti piacciono dici che sono vanitosi, forse perché vuoi trovare un difetto a tutti i costi.»
«Non so come tu sia arrivata a questa legge universale, ma stavolta non è così, te lo assicuro.»

Io e Nicole parlammo per la mezzora successiva. Mi chiese come erano andate le prime lezioni e se nei prossimi giorni avrei fatto qualche giro in città. Le dissi che mi sarebbe piaciuto, ma che al momento volevo concentrarmi sulle lezioni e non rubare tempo allo studio.
«Non fare la solita secchia, mi raccomando. Sei in una grande città, cerca di godertela un po'.» mi avvertì la mia amica.
«Lo farò.»

Dopo aver fatto una doccia rilassante e aver chiacchierato un po' al telefono con mia madre, mi accorsi che erano già le sette. Io ero abituata a cenare presto, per cui andai in cucina per vedere ciò che avevo in frigo e decidere cosa mangiare. Ben presto però mi resi conto che avevo solo qualche uova e dei pomodori che avevano urgente bisogno di essere mangiati, per cui optai per una omelette e un'insalata di pomodori, promettendomi che il giorno dopo avrei fatto una spesa abbondante. Mentre mangiavo facevo scorrere il dito sulla mia home di Instagram, non badando minimamente ai contenuti.

La mia testa era altrove, sulla mia nuova vita a Milano e su quello che mi aspettava, ma anche su quella cena, quasi identica a quella del giorno precedente. E chissà quante altre cene simili avrei fatto nei giorni successivi, probabilmente sempre da sola, dato che tutti sembravamo avere orari diversi. E infatti non mi sbagliavo; le due settimane successive furono traumatiche: cenare da sola era diventata un'abitudine e potevo ritenermi fortunata se tra coinquilini ci scambiassimo un saluto furtivo. Jenny stava via tutto il giorno e spesso non rientrava nemmeno per dormire e Theodore era sempre chiuso nella sua stanza a parlare in francese al telefono per ore.
Dei tre, Filippo era quello che vedevo più spesso (si fa per dire) e da dei semplici saluti eravamo passati a dei sorrisi di cortesia. A dispetto della mia impressione iniziale, Filippo sembrava essere un ragazzo serio e anche molto ordinato. Il bagno non era mai sporco e non fu difficile organizzarci per le pulizie, anche se spesso né Theodore né Jenny partecipavano. A volte avevo l'impressione che in appartamento ci fossimo solo io e Filippo, ma poi lui ogni tanto usciva (ad esempio, per andare in palestra) e allora venivo travolta nuovamente da un senso di irrequietezza e solitudine.

Il mercoledì, il giorno in cui avevo meno lezioni, trascorrevo il resto della giornata nella mia stanza e mi mettevo al passo con lo studio. Le lezioni iniziavano a diventare intriganti e avevo già conosciuto un paio di ragazze con cui mi trovavo molto in sintonia. Nonostante le difficoltà, pian piano la mia nuova vita a Milano stava prendendo forma e tutto sommato ero soddisfatta. Nei momenti di sconforto chiamavo Nicole e passavamo ore a parlare di quello che ci succedeva durante la giornata. Spesso mi ritrovavo a pensare che lei era l'unica vera amica che avessi mai avuto, e lo confermava il fatto che lei ci fosse sempre per me, soprattutto in quel periodo in cui ero sottotono.
Una di quelle sere io e Nicole restammo al telefono più tempo del previsto, mentre lei mi parlava di un nuovo ragazzo che aveva conosciuto ma che non la convinceva del tutto. Quando mi accorsi che erano già quasi le otto, tagliai corto e le dissi che avevo fame. Non mi piaceva cenare tardi perché dalle otto e mezza in poi la cucina era occupata dagli altri tre coinquilini. Dalla mia stanza sentivo spesso le chiacchiere: Jenny e Theodore mangiavano spesso insieme, prima che lei uscisse di nuovo e lui si rintanasse in camera, mentre Filippo era solito cenare più tardi di tutti. A volte, mentre lui era in cucina che cenava, mi scoprivo a pensare che magari anche lui soffrisse un po' di solitudine. Poi però spesso di dopo cena usciva con gli amici e mi ricordavo che ero solo io ad essere sociopatica. Quella sera avanzai di livello: fettine di pollo e patate al forno (già pronte, si intende). Seduta a tavola, come al solito aprii Instagram, se non altro per avere l'impressione di essere in compagnia, e in quel momento mi trovai Filippo davanti. Quasi mi venne un colpo e feci un piccolo scatto sulla sedia.
«Ciao Lucia.» mi disse. Era la prima volta che mi chiamava per nome.
«Ciao.»
Dietro di me sentii che aveva aperto il frigo e bevve un bicchiere d'acqua. Sicura che non ci sarebbe stata nessuna conversazione fra noi, rimasi con la testa piegata sul telefono, finché sussultai, ritrovandomelo affianco. Aveva i capelli un po' spettinati e indossava una canotta a motivi militari che gli dava un certo fascino.
Io lo guardai con aria interrogativa, sforzandomi di nascondere lo spavento che avevo provato.
«Mangi sempre a quest'ora?» mi chiese, guardando il mio piatto. Chissà se si era accorto che le patate erano quelle già pronte confezionate.
«No, di solito sono qui alle sette.» ammisi.
Lui spostò lo sguardo su di me. «Ah, ecco perché non ci becchiamo mai.»
Io annuii, un po' a disagio. «Già.»
Lui mi sorrise. Quando lo faceva gli si formavano delle fossette ai lati della bocca che erano adorabili. Non bastava il resto, aveva anche un bel sorriso.
«Buona cena, Lucia.»
«Grazie, anche a te. Voglio dire, quando cenerai...» Mi sentii così stupida, ma lui continuò a sorridermi, mentre tornava nella sua stanza.

Il giorno seguente fu uno di quelli che definirei "giornate no" o "giornate mai una gioia": dopo aver scoperto che la sveglia si era rotta, dovetti saltare la colazione e correre in università, per poi arrivare comunque in ritardo a causa di uno sciopero dei mezzi; quel giorno le lezioni furono più soporifere del giorno e l'insegnante di letteratura greca mi sorprese a sgranocchiare dei crackers rumorosissimi in prima fila (eh lo so, sono davvero senza rispetto, ma non avevo fatto colazione); le mie due compagne di corso erano rimaste a casa perché avevano l'influenza e dovetti pranzare da sola; nel pomeriggio mi venne un terribile mal di testa e non riuscii a studiare e, last but not least, mi ricordai di non aver fatto la spesa. Alle sette in punto mi ritrovai in cucina a perlustrare ogni angolo del frigo in cerca di qualcosa di commestibile, e alla fine riuscii a comporre un piatto con radicchio, noci e una confezione di ricotta. Niente di più triste.

Mi ero appena seduta a tavola quando Filippo entrò in cucina. Mi guardò per qualche istante, poi da uno scaffale prese un tagliere e iniziò a tagliare qualcosa, forse delle zucchine.
Mi voltai e ne ebbi la conferma.
«Mangi così presto?» gli chiesi, stupita.
«Sì, non mi va più di mangiare tardi.» disse.
Io continuai a mangiare, mentre mi scappò un sorrisino. Non sapevo perché ma qualcosa mi diceva che aveva deciso di cenare presto per farmi compagnia. E l'idea non mi dispiaceva affatto.

STORIA DI DUE COINQUILINIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora