Il giorno in cui arrivai nel mio nuovo appartamento ero stanchissima. Ero reduce da un viaggio interminabile in treno dalla Puglia e una terribile emicrania mi rendeva la testa pesante. Le gambe mi pulsavano dal dolore e tutto ciò di cui avevo bisogno in quel momento era catapultarmi su un letto e chiudere gli occhi. Tuttavia, questo non mi era possibile, dato che non c'era nessun altro a parte me che sistemasse tutta la mia roba e svuotasse le valigie. L'appartamento era esattamente come lo avevo visto nell'annuncio online: spazioso e luminoso, grazie a una larga vetrata in soggiorno, due bagni dall'aspetto elegante e camere confortevoli munite di letto a una piazza e mezza, comodino, armadio a tre ante, una scrivania e una piccola libreria. I soffitti erano alti e le mura della mia stanza erano colorate di un arancio tenue che le dava un aspetto molto accogliente.
Mi sdraiai sul materasso, emettendo un lungo sospiro, e con sorpresa mi accorsi che era molto comodo. Eppure sono sempre stata difficile nel valutare i materassi: né troppo duro, né troppo morbido, doveva essere ergonomico ma senza avere l'idea di lasciare la mia sagoma sopra. Rimasi ferma per qualche istante, mentre percepivo la stanchezza assalirmi di colpo, ma subito mi imposi di alzarmi in piedi. Se fossi rimasta sdraiata ancora per qualche istante, non so se avrei avuto la forza di tirarmi su e convincermi a sistemare tutte le mie cose. Mi guardai attorno per qualche secondo, poi mi feci coraggio e pian piano aprii la valigia e iniziai a mettere in ordine i miei vestiti all'interno dell'armadio. Dopo una ventina di minuti andai in cucina e riposi le mie pentole su uno scaffale. Sono sempre stata gelosa delle mie cose, non avrei mai usato oggetti di altre persone o acconsentito al fatto che gli altri usassero i miei. Era una questione di principio, se ognuno adoperava le sue cose, non ci sarebbe stato nessun motivo di litigio.
Mentre pensavo a questo, mi ricordai che avrei dovuto trascorrere i prossimi dieci mesi con delle persone che, al momento, non conoscevo ancora. Era un appartamento misto: avrei avuto tre coinquilini, di cui due ragazzi e una ragazza. Chissà com'erano, che abitudini avevano e se avrei potuto creare un legame di amicizia con almeno uno di loro o, perlomeno, con la ragazza. Quando, però, quella sera arrivò a casa e si presentò, mi resi conto che avrei dovuto concentrarmi sul rapporto con i due ragazzi.
La mia coinquilina si chiamava Jenny: di origini americane, snella, vanitosa e di buona famiglia, sembrava la classica figlia di papà che era sempre stata abituata ad avere tutto e subito. La sua voce stridula mi faceva vibrare il cervello e i suoi argomenti si limitarono al trucco e alle ciglia finte che portava. Argomenti di spessore, insomma. Certo, non conoscevo ancora bene Jenny, ma abbastanza da capire che eravamo troppo diverse per poter aspirare a un'amicizia e immaginare lunghe chiacchierate insieme. Comunque, non mi demoralizzai. Pazienza, avrei fatto amicizia con un ragazzo. Da ferma sostenitrice dell'esistenza dell'amicizia tra uomo e donna, trovavo assolutamente normale l'ipotesi di diventare amica di un ragazzo. Uno dei due, Theodore, era uno studente francese in Erasmus e capii che avrebbe avuto molto da imparare di italiano quando mi rispose con il suo nome alla domanda "Da dove vieni?". Sembrava simpatico e alla mano, ma anche molto riservato e serioso. All'appello mancava solo l'ultimo ragazzo.
Quella sera per cena preparai un'insalata veloce e un pezzo di pane. La stanchezza della giornata mi aveva tolto l'appetito e non avevo nessuna voglia di cucinare a poche ore dopo dal mio arrivo. L'appartamento era vuoto: dopo la breve chiacchierata iniziale, Jenny era uscita con le sue amiche (era il suo secondo anno di università a Milano, dunque aveva già un suo gruppetto) mentre Theodore si era rinchiuso in camera sua e non si era più fatto vedere. La consapevolezza di essere lì, da sola, in un appartamento a Milano, in una città tanto grande quanto sconosciuta per me, mi creò un'improvvisa sensazione di smarrimento e tristezza. Subito dopo il mio esame di maturità ero al settimo cielo. Mi sentivo leggera come una piuma ed ero sicura che Lettere era la facoltà che faceva per me. Eppure, adesso, davanti a quell'insalata scondita e mesta, non ne ero più così certa. Andare via di casa a 18 anni in una città in cui ero completamente sola era stata davvero la scelta giusta? E se con la mia laurea non avrei trovato niente? Quanti sacrifici avrebbero fatto i miei genitori per permettermi di studiare in quegli anni? Con lo sguardo fisso sul piatto, mi sembrava di essere la protagonista di uno di quei film depressi senza lieto fine. Forse, però, iniziare quell'avventura in modo così pessimista non era la cosa migliore. Io stavo crescendo e aveva deciso di dare una bella svolta alla mia vita, che mi avrebbe permesso di maturare e prepararmi al meglio per il futuro. Pur nelle difficoltà, insomma, pian piano mi sarei abituata a quella città e sarebbe stato tutto in discesa. Oppure no.
In quel preciso istante, sentii la porta d'ingresso aprirsi. Pensai fosse Jenny, anche se mi sembrò strano che rientrasse così presto, e quando sporsi la testa vidi un ragazzo e una ragazza, all'incirca della mia età. Lui visibilmente carino, con dei jeans scuri e una maglia bianca a maniche corte che lasciava intravedere le forme del corpo, dei bei capelli scuri ricci e un paio di occhiali da sole sulla testa. La ragazza affianco aveva i capelli castani lisci e, a giudicare dalla sua espressione, sembrava un po' spaventata.
«Mi prometti che appena puoi tornerai a Modena?» gli chiese lei, con gli occhi da cerbiatta. Lui le sorrise e le diede un bacio sulla fronte. «Certo, non preoccuparti che il tempo volerà.» rispose lui.
Solo in quell'istante si accorsero di essere spiati. Quando incrociarono il mio sguardo sorrisi e mi alzai, andando verso di loro. Lui quasi non mi degnò di uno sguardo ed ebbi l'impressione che mi porgesse la mano con riluttanza.
«Filippo.» mi disse, sistemando un grosso borsone sulla spalla.
«Lucia, piacere.»
La ragazza al suo fianco mi sorrise, ma la sua espressione lasciava intravedere un po' di diffidenza. Nessuno dei due mi fece domande e, sentendomi di troppo tra loro due, tornai in cucina per terminare la mia insalata. Mentre passavano davanti alla porta, buttai nuovamente l'occhio su di lui. Gran bel ragazzo, sì, ma anche un tantino spocchioso. Avevo già capito che era uno di quei tipi da discoteca che si vantano con gli amici di essersi sbronzati la sera prima e di aver rimorchiato qualche ragazza. Insomma, uno di quei ragazzi da cui stare il più possibile alla larga. Forse, mi dissi, non ero stata fortunata in fatto di coinquilini e non potevo sperare in un'amicizia nemmeno con uno dei ragazzi. Pazienza, in università avrei conosciuto probabilmente qualcuno di più simile a me e mi sarei creata anch'io la mia cerchia di amici.
Terminai la triste cena con una mela e, mentre lavavo la mia ciotola, intravidi i due ragazzi tornare all'ingresso, stavolta senza tutto il carico delle valigie. Le loro espressioni mi fecero capire che era arrivato per loro il momento dei saluti. Lei gli accarezzò il petto e lo abbracciò forte.
«Mi mancherai amore.» gli disse lei con un filo di voce.
Anche lui la strinse a sé e posò la testa sulla sua spalla, esattamente qualche istante prima che si accorgesse che li stavo guardando. Io mi girai subito, vergognandomi per non essere stata discreta. Quelli non erano certo affari miei.
«Sei sicuro che il tempo volerà?» gli chiese lei.
«Certo cucciola.»
Subito dopo ci fu uno schiocco che mi fece intuire che si fossero baciati. Nonostante la forte curiosità, non mi azzardai a voltarmi e tenni lo sguardo sulla ciotola, che non era mai stata così pulita. Mentre la asciugavo si scambiarono un altro paio di baci, poi lei si staccò dalle sue braccia e andò via con la voce rotta, mentre continuava a salutarlo. Lui rimase sull'uscio finché la sua ragazza non sparì dalla sua vista, poi chiuse la porta. Lo vidi passare davanti alla cucina un po' rattristito, prima di chiudersi nella sua camera. Non doveva essere facile accettare una relazione a distanza quando, magari, erano sempre stati abituati a vedersi ogni giorno o quasi. Io non ero mai stata fidanzata, per cui potevo solo immaginare ciò che si provava, ma ero contenta di non avere problemi di quel genere. Era già complicato pensare a sé stessi, specialmente in una situazione tutta nuova come quella.
Quando terminai di sparecchiare, spensi la luce della cucina e andai in camera mia. Dopo neanche un'ora ero già sul letto e, prima di cadere in un sonno profondo, pensai a come sarebbe cambiata la mia vita da quell'istante.
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STORIA DI DUE COINQUILINI
RomanceLucia, ragazza pugliese al primo anno di Lettere, arriva a Milano nel suo nuovo appartamento. Spaesata e disorientata in una grande città in cui si sente sola, pian piano riuscirà ad ambientarsi. Tra i suoi coinquilini c'è Filippo, un ragazzo di bel...