Quella fu la prima sera in cui io e Filippo facemmo una vera e propria conversazione. Lui mi disse che studiava architettura e che veniva da Modena, che andava spesso in palestra e che era un tipo ordinato, anche se all'apparenza non sembrava. Niente che già non sapessi, a parte la facoltà in cui studiava. Il suo modo di chiacchierare pacato mi stupì, perché era in contrasto con il suo aspetto da duro. Raramente mi ricredevo sulla prima impressione che avevo delle persone, ma a quanto pare c'è sempre una prima volta. Mi raccontò brevemente anche della sua ragazza, Marika, e di quanto lei fosse abbattuta da quella lontananza, dopo aver cercato in tutti i modi di convincerlo ad andare in un'università vicina alla loro città. Lui, però, voleva cambiare aria, con le conseguenze che ne derivavano.
«E a te manca?» gli chiesi, conoscendo già la risposta.
Lui annuì. «Sì, mi mancano molte cose di lei.» disse, guardando il suo piatto. Dopo qualche secondo di silenzio, Filippo mi chiese di più su di me.
«Tu invece cosa studi?»
«Lettere.»
Lui sollevò le sopracciglia. «Interessante. Quindi sei una letterata?»
«Non esattamente. Mi piacciono la letteratura e le lingue antiche.»
«Io invece adoro la matematica e le scienze.»
Gusti opposti.Mai come in quel momento mi resi conto quanto fosse bello mangiare in compagnia di qualcuno. Filippo era un ragazzo simpatico e carino. Mi trovavo bene a parlare con lui e le cene successive, tutte in sua compagnia, furono molto piacevoli. La cena era diventata un momento divertente e spensierato. Mentre in quell'ultimo mese ne avevo il terrore, adesso trascorrevo le mie giornate aspettando impaziente le sette. Per me e Filippo era difficile beccarsi durante il giorno, per cui la sera era l'unico momento in cui poter chiacchierare.
Una sera ci ritrovammo a parlare degli altri due coinquilini.
«Jenny è una tipa un po' strana. Sempre di corsa, dove va è sempre un mistero.» commentò lui, prima di addentare un pezzo di cotoletta.
«Hai ragione. È la classica coinquilina fantasma, non c'è mai.»
«Anche il francese non mi sembra molto socievole.»
«Eppure gli avrebbe fatto bene passare del tempo con noi imparando un po' di italiano.» aggiunsi. «Forse è anche una questione di timidezza.»
«Tu sei timida?» mi chiese.
Io strinsi le labbra. «Abbastanza.» ammisi.
«L'avevo notato.»
«Da cosa?»
«Dal tuo atteggiamento un po' schivo e riservato.»
«Non sono sempre così però.»
«È vero.» disse, spostando lo sguardo dal suo piatto a me. «Quando prendi confidenza con qualcuno sembri quasi un'altra persona.»
Io mi sentii arrossire in volto, senza alcun motivo apparente.
«Penso che per me sia arrivata l'ora di andare a dormire.» dissi, cercando di tagliare corto.
I nostri sguardi si incrociarono per qualche istante, prima che io mi chiudessi nella mia stanza. Mi sdraiai sul letto, ripensando a quello che ci eravamo detti quella sera. Filippo sembrava conoscermi più di quanto pensassi, eppure era raro che parlassi di me e del mio carattere.Quel ragazzo stava iniziando a incuriosirmi e furono diverse le volte in cui decisi di rimanere a casa a studiare anziché andare in biblioteca per sperare di beccarlo in cucina e scambiare due chiacchiere anche di giorno. Raramente, però, lo trovavo in casa, tra lezioni, amici e palestra, e le poche volte in cui eravamo entrambi a casa lui era sempre troppo di corsa per poter fermarci un attimo e scambiarci due parole. Così, mi ritrovavo ad aspettare il momento della cena, le fatidiche ore 19. Mangiare insieme a lui era diventata per me una necessità, un modo per liberarmi di tutto lo stress accumulato durante la giornata. Filippo era un ragazzo divertente e spiritoso, aveva sempre una battuta pronta e mi prendeva in giro per le mie cene striminzite.
«Possibile che non ti stufi di mangiare sempre insalata?» mi chiese una sera, mentre versavo delle foglie di lattuga in una ciotola.
Io lo guardai di sottecchi. «Non mangio sempre insalata.»
«Hai ragione. Ieri insalata di pomodori, oggi insalata di lattuga.» disse, ironico.
Io gli diedi una gomitata sul fianco, che lo spostò di alcuni centimetri, ma lui sembrava divertito.
«È che mi devo ancora abituare a pensare a cosa mangiare. E, prima di tutto, dovei imparare a cucinare.»
«Ho una proposta da farti.» mi disse lui.
Io lo guardai con aria interrogativa e lui rimise le foglie di lattuga all'interno del sacchetto.
«Vuoi buttare la mia cena?»
Filippo si mise davanti a me e mi disse: «Ti piacciono le scaloppine?»
«Certo, perché?»
«Stasera cucinerò per entrambi.»Filippo in cucina se la cavava molto bene. Era ordinato e paziente, non bruciava niente e mangiava sempre cose diverse. Mentre lo osservavo ricoprire di farina le fettine di maiale, mi concentrai sui suoi movimenti: sicuri, decisi, equilibrati.
Equilibrati? Forse stavo solo dando di matto e comunque dovevo smetterla di fissarlo in quel modo mentre cucinava. Chissà che idea si era fatto di me.La sera in cui mangiammo le scaloppine fu una delle più belle di quegli ultimi mesi, ma quello che non avevo immaginato era che Filippo avrebbe cucinato per me anche le sere successive. Io mi limitavo a preparare l'insalata per entrambi e, quando gli dicevo che mi sentivo in colpa per il fatto che lui si occupasse anche di me, lui mi sorrideva e mi ripeteva che se non aveva problemi lui, non dovevo farmeli io. Alcune sere, specialmente il sabato, lui usciva con i suoi amici e, nonostante i suoi continui inviti, sceglievo sempre di restare a casa. Senza di lui l'appartamento era vuoto e la tavola era sempre troppo spoglia. Spesso mi passava l'appetito e finivo per sgranocchiare dei pop corn sul divano.
Una settimana di novembre uscì tre sere di fila, dal lunedì al mercoledì, le più brutte dal mio arrivo a Milano. Mangiare da sola mi ricordava le prime settimane in appartamento, mentre cercavo di soffocare la nostalgia di casa e della mia famiglia. Fu mercoledì che mi resi conto che a mancarmi non erano le cene che mi preparava Filippo, ma Filippo stesso. Eravamo diventati dei buoni amici e io mi ero affezionata molto a lui.
Il giorno dopo, il giovedì, le mie amiche di corso mi dissero che quella sera ci sarebbe stata l'inaugurazione di un nuovo locale in zona Navigli e mi proposero di andare con loro. Io non amavo uscire, specialmente la sera, ma lo sguardo implorante delle mie amiche e la consapevolezza che, in caso di rifiuto, avrei trascorso un'altra serata da sola in appartamento, mi spinse ad accettare. Alle otto eravamo già nel locale, usufruendo del buffet gratis di benvenuto e chiacchierando del più e del meno. Era la mia prima vera uscita dal mio arrivo a Milano e, tutto sommato, ne rimasi contenta. Dopo giorni di solitudine, mi serviva svagarmi un po' e iniziare ad ambientarmi davvero a quella città che non conoscevo minimamente. A fine serata, verso l'una, dissi alle mie amiche che ero stanca e che sarei tornata a casa. Una di loro, che come me non era abituata a stare fuori fino a tardi, si offrì di accompagnarmi e, dopo aver preso l'autobus insieme, ci salutammo e prendemmo strade diverse. Arrivata in appartamento, salii le scale con l'ultimo briciolo di energie che mi era rimasto e aprii la porta. Di colpo mi fermai, vedendo la luce accesa in salotto.
Strano, chi poteva essere a quell'ora?
Quando entrai provai una stretta allo stomaco. Filippo stava dormendo su una poltrona con il tablet sulle gambe che mostrava i titoli di coda di un film su Netflix. Evidentemente si era addormentato. Vederlo lì, con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta, mi fece pensare a quanto fosse carino. Non era giusto; possibile che l'unica sera in cui ero uscita, lui invece era rimasto a casa? Se l'avessi saputo non sarei uscita, ma ormai era troppo tardi per rimediare. Facendo piano per non svegliarlo, gli presi il tablet e lo poggiai su una mensola. Presi una copertina che era poggiata a un'altra poltrona e gliela misi sopra, coprendogli le gambe e parte del busto. Non volevo svegliarlo, per cui pensai fosse la soluzione migliore.Mezz'ora dopo mi misi a letto ma, mentre chiudevo gli occhi per addormentarmi, mi balenò in mente l'idea di dormire con lui in salotto, sulla poltrona affianco alla sua, poi però mi convinsi che non era il caso. L'immagine di lui addormentato sulla poltrona mi bastava per fare sonni tranquilli.
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STORIA DI DUE COINQUILINI
RomanceLucia, ragazza pugliese al primo anno di Lettere, arriva a Milano nel suo nuovo appartamento. Spaesata e disorientata in una grande città in cui si sente sola, pian piano riuscirà ad ambientarsi. Tra i suoi coinquilini c'è Filippo, un ragazzo di bel...