Specchio

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"Non è stata colpa mia, vero?"

"No, non lo è.", rispose tranquillo il mio riflesso, guardandomi negli occhi con il suo sguardo profondo.

"Ne sei sicuro?"

"Sicuro."

Dopo essere stato rassicurato dal mio riflesso mi sistemai i capelli, sciacquai la faccia e, dopo essermi vestito, uscii di casa.

Odiavo lavorare con gente come quella. L'incoerenza stessa si sarebbe meravigliata della loro devozione nei suoi confronti. E se così non fosse stato era solo perché loro stessi erano l'incoerenza.
Arrivai a lavoro, firmai il cartellino e mi misi sulla scrivania pronto a passare un'altra terribile giornata grigia e spenta. Digitavo continuamente e freneticamente i dati su quel computer preistorico e sembrava che il tempo si fosse preso un coffee-break, e avesse deciso che forse era da troppo che correva. Anche il tempo aveva bisogno di una pausa ogni tanto. L'unico problema è che prendeva una pausa nei momenti meno opportuni.

Detestavo il mio posto di lavoro.

Mi guardavo intorno e provavo disgusto per le pareti grigie e ingiallite dal fumo delle sigarette, anche se all'interno dell'edificio era vietato fumare. Provavo sdegno per i pavimenti sempre unti e quasi scivolosi. L'addetto alle pulizie se ne stava sempre lì, fermo come una statua per tutto il giorno e ogni tanto dava una passata per terra con il mocio ancora sporco da chissà quanto.
Ovunque mi voltassi vedevo qualcosa di asfissiante.
Le scrivanie scricchiolanti e sporche, e le sedie usurate e bucherellate non andavano a favore di un bel ambiente.
Tutto in quell'edificio sapeva di fumo, cenere, catrame e falsità.

Decisi, per un momento, di rivolgere la mia attenzione alla mia scrivania anziché a quella degli altri, e fui sorpreso nel vedere che non ero messo meglio di loro. Sono sempre stato una persona ordinata e pulita ma il lavoro mi logorava dentro. Avevo qualche attrezzino che nemmeno mi serviva sulla scrivania, e tutti, per qualche motivo a me ignoto, emanavano un odore di pollo stantio. Al solo pensare di quell'odore sento salire il vomito fino all'esofago.

E dove cazzo è l'esofago?
Non lo so.

La cosa peggiore era guardare in faccia i miei colleghi. Erano tutti tristi e guardarli non mi dava altro che ribrezzo. La scrivania a fianco alla mia era quella di Jon. I suoi genitori erano americani e avevano deciso di dargli un nome che potesse rispecchiare la banalità del suo aspetto. Era sulla cinquantina, gonfio e paonazzo. Si beveva qualsiasi cazzata gli dicessero. La sua camicia era sempre sporca in qualche punto, e la sua bocca era costantemente maculata da piccole macchie di una qualsiasi salsa. Le sue dita erano ingiallite a causa del fumo e odiavo i lacci delle sue scarpe, ch'erano sempre di colore diverso.

Poco dietro di me lavorava Matilde, ex-moglie di Jon. Non passava giorno che non rinfacciasse a Jon i suoi errori come marito; Jon ovviamente se ne stava zitto e accusava il colpo. La cosa divertente era che era stata lei a tradirlo perché, a detta sua, è lecito tradire se non si ricevono le giuste attenzioni.

Avevo trent'anni e la mia vita era vuota. Né moglie né figli né niente. Lavoravo qui da cinque anni e mai niente di bello era successo all'interno di queste mura. Non mi era nemmeno mai stata offerta una promozione o un aumento. Ma un lavoro di merda è meglio di nessun lavoro, no?

Quel giorno comunque arrivai puntuale, e poco prima di accendere il computer guardai il mio riflesso sullo schermo ancora nero e lo pregai di darmi la forza per sopportare un'altra giornata così.

C'è una cosa che non-amavo più di tutte: Amanda. Amanda era il male sottoforma di donna. Era fottutamente bellissima e soprattutto, cosa che la rendeva ancora più odiosa, consapevole di esserlo. Quando entrava lei un alone rosa si stendeva intorno alla sua figura e i suoi ferormoni attaccavano qualsiasi uomo eterosessuale o lesbica nel raggio di cento mentri. Ma non è per questo che la odiavo.

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